Calcio
25 Novembre 2024

Belli, infelici e in vetta alla classifica

Gli azzurri di Antonio Conte rispecchiano l'animo di Napoli e dei napoletani.

Secondo una recente indagine dell’Istat il 33% dei napoletani è insoddisfatto della propria vita. Altro che sole, pizza e mandolino: Napoli è la capitale dell’infelicità. Demolito il luogo comune del popolo felice e spensierato, in una città che tende ad aggrapparsi a una meravigliosa nostalgia per colmare il vuoto di una realtà scadente. Una fotografia scattata anche da “Parthenope”, l’ultima opera di un figlio del Vesuvio come Paolo Sorrentino. È il monologo della splendida Greta Cool, la diva decadente interpretata da Luisa Ranieri, a raccontare Napoli e i napoletani di oggi:

«Siete sempre pronti a buttare la croce addosso a qualcun altro, all’invasore di turno, al politico corrotto, al palazzinaro senza scrupoli. Ma la disgrazia siete voi, siete un popolo di disgraziati. E vi vantate di esserlo, non ce la farete mai».

In un’altra scena della pellicola si definisce Napoli «il posto più bello del mondo in cui è impossibile essere felici». La chiosa migliore, ampliando l’orizzonte della felicità al calcio come fenomeno sociale e culturale, per raccontare il Napoli di Conte capolista della Serie A. Sull’argomento è intervenuto anche il capitano Di Lorenzo: «Se il Napoli vince, tutta la città è felice», ha detto a margine del successo sulla Roma.



E il Napoli di quest’anno declina forse più di ogni altro l’animo di Napoli e dei napoletani: una squadra che non regala sprazzi di felicità ma che vince. Un gruppo di calciatori che soffre e lotta, valorizzando le proprie qualità più che lanciarsi nella ricerca di ciò che non gli appartiene, di ideologie aliene: una sublimazione dell’arte di arrangiarsi e di adattarsi tipica dell’indole partenopea. Il Napoli viaggia su un equilibrio sottile, sempre pronto a risollevarsi quando è sul punto di precipitare. La traslazione di una città in bilico tra enfasi e declino, amore e rancore, poesia e droga.

Gli azzurri vincono, spesso di corto muso, e sono in testa alla classifica: il posto più bello del mondo in cui non sempre è facile essere felici. Specie se l’artefice del primato si chiama Antonio Conte: contro rivoluzionario, pragmatico, talmente lavoratore da non potersi permettere il lusso delle ideologie. Anche contro la Roma, il Napoli l’ha spuntata per 1-0. L’ha decisa Lukaku, che fa a sportellate con i difensori avversari, che sembra vagabondare nel deserto, che riceve palloni col contagocce. Eppure è uno dei più criticati nonostante cinque gol e quattro assist all’attivo.

Per l’ennesima volta il Napoli ha tenuto per larghi tratti il pallone mancando tuttavia del guizzo finale: il gioco è macchinoso, fisico, generoso e dispendioso. Ma tremendamente efficace. Gli unici sprazzi di fantasia sono affidati all’estro di Kvaratskhelia e alle geometrie di Lobotka, ogni tanto alle giocate di Politano.

L’undici partenopeo ha saputo affinare l’antica attitudine prima sarrista e poi spallettiana della ricerca della bellezza con la pratica tutta contiana della resistenza.

È un festival di varietà: da bello, ha saputo diventare anche brutto e cattivo. Una creatura che Conte sta forgiando a sua immagine e somiglianza, basti vedere la dedizione nei ripiegamenti di Politano e l’energia in mediana di Anguissa. Una abnegazione generale che fa dei partenopei la seconda difesa meno battuta del campionato, con appena 9 reti subìte in 13 giornate.



Il Napoli è dunque il contro manifesto della (sub)cultura ‘giochista’, dell’ideologia che si autoproclama verità e tutto livella. È il trionfo della tradizione italiana. E allora diciamolo, scriviamolo, urliamolo a gran voce: il Napoli di Conte è bello, bellissimo. Una squadra che è un unicum nel panorama odierno del football-show business di squadre e calciatori confinati in un piattume desolante, prigionieri di schemi, ideologie e di allenatori che pretendono di sostituirsi al talento.

E invece questo Napoli rispolvera alcune delle antiche virtù che si legano all’animo umano: la sofferenza, il sacrificio, il talento, l’astuzia. Altro che pressing alto e possesso palla: il Napoli è l’elogio di un calcio che saprà sopravvivere all’ondata woke nel pallone. Un calcio più umano e identitario, che va contro la narrazione di media e pay tv e l’imposizione di un nuovo pensiero dominante: il bel gioco sempre e comunque. Il Napoli e Conte se ne infischiano. E, per ora, vincono. Belli e ‘infelici’.


Immagine di copertina, sfondo: Vesuvius in Eruption di Clarkson Stanfield

Ti potrebbe interessare

Udinese, la squadra e la storia dei friulani
Italia
Jacopo Gozzi
17 Agosto 2022

Udinese, la squadra e la storia dei friulani

C'era una volta Forum Iulii.
Suning naviga in cattive acque
Calcio
Luca Pulsoni
08 Febbraio 2021

Suning naviga in cattive acque

Nel frattempo l'Inter non può concedersi distrazioni.
Eriksen è una questione di rispetto
Papelitos
Lorenzo Santucci
10 Dicembre 2020

Eriksen è una questione di rispetto

Per l'uomo prima che per il calciatore, al di là dei risultati.
Il Napoli di Spalletti è totalizzante
Calcio
Marco Armocida
06 Novembre 2022

Il Napoli di Spalletti è totalizzante

Una nuova bellezza: razionale, efficace, consapevole.
La leggenda di Osvaldo Bagnoli
Ritratti
Marco Metelli
03 Luglio 2021

La leggenda di Osvaldo Bagnoli

Compie oggi 86 anni un mito della panchina.