Tifo
14 Marzo 2025

Boixos Nois, o del fascismo in Catalogna

Storia del più pericoloso gruppo ultrà di Spagna.

Il tiki-taka di guardioliana memoria ha commesso un attentato persino più grande di quello ordito nei confronti del gioco: ha infatti offuscato la memoria di uno dei gruppi ultrà più antichi, numerosi e controversi del panorama non solo spagnolo ma internazionale. Un gruppo ultrà che, curiosamente, combatteva per la propria libertà – con buone ragioni messa in discussione dal presidente del club Joan Laporta – mentre la squadra tifata, il Barcellona, incantava il pianeta e vinceva tutto ciò che era possibile vincere.

I Boixos Nois, che in catalano significa «ragazzi pazzi», sono tutto ciò che una visione mainstream di Barcellona [1] e della Catalogna in generale non può restituire e mal sopporta. Figuriamoci in regime di calcio spettacolo, dove la locuzione è volutamente ambigua: quel Barcellona, infatti, (i) mentre incantava i calciofili di tutto il mondo, (ii) permetteva al suo leader massimo Laporta di accecare coi suoi luminosissimi riflettori l’immagine troppo scomoda di un’altra Barcellona, decisamente poco democratica, nient’affatto inclusiva e soprattutto non spendibile sul mercato [2].

Altrettanto curiosamente, era stato proprio il carattere autoritario e fascista dei membri dei Boixos Nois a permettere la scalata al vertice di Joan Laporta a presidente del club nel 2003, contro il candidato ebreo Lluis Bassat, fortemente osteggiato, per usare un eufemismo, dal gruppo ultrà catalano.

Sulla sinistra Bassat, sulla destra Laporta, all’epoca della contesa presidenziale

Da poco subentrato al comando, Laporta era riuscito prima nelle dichiarazioni, poi nei fatti, a fare piazza pulita del gruppo fondato il 7 luglio del 1981. Come aveva fatto? Identificando, uno ad uno, i membri dei Boixos Nois [3], i quali comunque per molto tempo – e ancora oggi – avrebbero popolato il settore ospiti durante le trasferte del Barcellona. Per loro, il calcio è sempre stato un mezzo, fin dagli inizi. Un mezzo di rivendicazione sociale, meglio culturale, più che politico, anche se la connotazione fascista di gran parte dei suoi membri ha finito con l’oscurare il sottobosco skinhead – inizialmente apolitico, poi tinto di venature neonazi – dei Boixos tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta.

Se conosciamo questo lato, sottoculturale appunto, del gruppo, lo dobbiamo essenzialmente al romanzo di Kiko Amat Il segreto di Amador (E/O, 2023), che in un’intervista di Guido Caldiron al Manifesto rivelava:

«Nella Barcellona degli anni Ottanta, quando ero un ragazzino, i naziskin erano circondati da una specie di mito, erano quasi delle celebrità: anche chi non era legato ad alcuna subcultura aveva sentito parlare almeno una volta delle loro imprese. Diciamo, per capirci, che le generazioni precedenti avevano i loro folk devils: per la mia erano gli ultras e gli skinhead; erano loro i nostri Babau

A questo va aggiunto che molte di queste storie erano riportate in modo sensazionalistico dai media mainstream o circolavano per sentito dire, attraverso il passaparola che ne esagerava e amplificava molti aspetti. Perciò dico che le vite e le azioni dei naziskin di quel periodo erano più miti che realtà. In pochi li conoscevano personalmente, e quindi per ragazzini come me non restava che l’immaginazione».



Ciò che impressiona dei Boixos è la grandezza del gruppo dal punto di vista numerico. Nei documenti dell’epoca, si passa dai 50 baldi giovani degli inizi, che si identificavano fortemente con il nazionalismo catalano indipendentista e il socialismo di sinistra, ai 700 di appena quattro anni dopo (sotto la presidenza Núñez, che secondo alcuni, tra cui proprio il futuro presidente Laporta, avrebbe fomentato e stretto legami col gruppo per il proprio tornaconto politico, in ottica anti-europeista) [4].

Con il passare degli anni e l’immissione dei naziskin nel gruppo, i Boixos Nois sono diventati simbolo dell’estremismo fascista nel tifo spagnolo. Non a caso è di quegli anni, tra gli Ottanta e i Novanta appunto, l’amicizia con alcuni membri del Frente Atletico.


[1] Quella rappresentata, ad esempio, dall’altro gruppo – assai meno numeroso – della tifoseria catalana: i Penya Almogàvers, che sostengono l’indipendenza catalana ma sono anche antifascisti e non violenti, con ideologie liberali, socialdemocratiche e di socialismo democratico. Nel corso degli anni, le fonti parlano di numerosi scontri tra i Penya e i Boixos.

[2] Un’operazione che accomuna il presidente dei blaugrana con il madridista Florentino Perez. Ne avevamo parlato qui.

[3] Un articolo di Emmanuel Baldo su Infobae parla di «700 ultras tra il 1983 e il 1984». Baldo, con “ultras”, si riferisce ai tifosi violenti, quelli cioè disposti allo scontro con le altre tifoserie. La stima è troppo precisa per essere infondata, anche se è molto alta: se fosse vera, parleremmo di cifre impensabili anche per le grandi piazze del calcio italiano.

[4] Ci riferiamo ad un’organizzazione di protesta, formata in parte da Joan Laporta appunto, soprannominata L’Elephant Blau. Il 20 dicembre 1997, prima dell’inizio della partita Barcellona-Atlético de Madrid, Núñez aveva deciso di osservare un minuto di silenzio per la morte di Sergio Soto, uno dei capi dei Boixos, dalle chiare ideologie nazionaliste, tra lo stupore (lo shock) generale del Nou Camp.

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