La scomparsa degli Ultras Sur e i nuovi pupazzi del Bernabéu.
Nel dicembre del 2013, gli Ultras Sur del Real Madrid sono stati espulsi dal Santiago Bernabéu dopo anni di rapporti travagliati con la società, nettamente peggiorati in seguito al ritorno di Florentino Peréz alla presidenza del club. L’attuale patron blancos ha deciso di revocare gli abbonamenti agli individui ritenuti scomodi, svuotando il settore da questi occupato sin dal 1980, anno di fondazione degli Ultras madridisti. Già nel 2003 gli omologhi di Barcellona, i Boixos Nois, erano stati allontanati dal presidente Laporta e più recentemente la stessa fine è toccata anche agli Yomus del Valencia, seppur in modalità leggermente differenti.
Torniamo però nella capitale. Nell’estate del 2014 parte dunque il progetto volto a rimpiazzare gli Ultras Sur dal punto di vista canoro, coreografico e di sostegno alla squadra, con l’obiettivo primario di creare da zero un settore di tifosi uniti unicamente dall’amore per il “Madrid”: tutte le peñas madridistas ricevono perciò una lettera ufficiale dalla società, con la proposta di far parte dell’iniziativa. Oltre 40 gruppi rispondono positivamente consegnando la lista dei propri membri interessati, la cui ammissione sarebbe comunque dovuta passare prima al vaglio del club. Una vera e propria selezione all’ingresso in stile discoteca.
È interessante analizzare a fondo quali siano i termini – tuttora in vigore – per poter rientrare nel novero dei nuovi tifosi. Per diventare membro della Grada è infatti necessario sottoscrivere un dettagliatissimo contratto con cui ci si impegna a rispettare le norme imposte dalla società. Tra queste, le principali sono il supporto incondizionato alla squadra, la rinuncia alla violenza e all’espressione di idee e messaggi razzisti, omofobi o intolleranti (e più in generale all’uso della Grada come luogo per mostrare ideologie politiche) e il rispetto assoluto verso i membri del club e di chiunque popoli gli spalti.
Tutto molto bello. Ad un esame più dettagliato, tuttavia, risulta come gli abbonamenti stagionali di questi tifosi siano caratterizzati da marcate differenze rispetto a quelli di tutti gli altri frequentatori del Bernabéu. I possessori di questa speciale tessera hanno infatti l’obbligo di alzarsi in piedi e sostenere la squadra per tutta la partita, da prima che inizi fino alla fine. Dal momento che in alcuni stadi – specie in Inghilterra – vige l’obbligo contrario, questa può sembrare un’ottima soluzione per gli amanti delle “standing areas”, ma c’è un’abissale differenza tra essere liberi di tifare ed essere obbligati a farlo.
Vediamo ancora meglio. Nella clausola è presente l’obbligo di vestirsi di bianco, pena divieto di accesso alla Grada. Viene da chiedersi quale sia la necessità di imporre il dress code ai propri tifosi, soprattutto se a farlo è il presidente di una squadra di calcio. Per Florentino, evidentemente, l’abito fa il monaco. E i monaci, in questo caso, obbediscono senza colpo ferire.
Per non parlare della regolamentazione dei cori. Sono infatti vietate tutte le forme di protesta: insultare l’arbitro, contestare un giocatore o – figuriamoci! – la società. Non importa se il Presidente porta il club sull’orlo del fallimento o specula sull’acquisto di giocatori per interessi personali. Se hai firmato, sei costretto a incitare senza mai cadere nella polemica; non bensì per una cieca fede, ma perché sei vincolato ad un contratto.
Inoltre, l’ingresso all’impianto sportivo avviene attraverso un sistema di riconoscimento dell’impronta digitale (anche negli aeroporti ci sono misure di controllo più blande). E ancora: è consentito un numero limitato di assenze calcolato sul totale delle partite casalinghe stagionali. E non importa che nella vita reale ci possano essere impegni e difficoltà che talvolta impediscono di essere presenti alla partita domenicale, al turno infrasettimanale del martedì sera, al recupero di campionato del giovedì pomeriggio o all’anticipo del venerdì. Se si oltrepassa il limite, si è fuori.
E allora, ecco la soluzione: non essendo consentito prestare il proprio abbonamento a terzi – altro punto del contratto – in caso di assenza è possibile cedere il biglietto esclusivamente al club, il quale gestirà la rivendita a suo piacimento senza riconoscere alcun compenso economico al proprietario del tagliando. Come se la quota annuale l’avesse pagata Florentino Perez.
Infine, il ricavato della vendita di questi biglietti viene depositato sul conto bancario della Grada, la cui gestione è appannaggio esclusivo della società, la quale – almeno in teoria – utilizza il denaro per finanziare coreografie e trasferte. Ma la parte più divertente riguarda le conseguenze: nei confronti di chiunque non rispetti tali restrizioni – perché di questo si tratta – la società si riserva il diritto di revocare l’abbonamento in qualsiasi momento, non garantendo inoltre la possibilità di sottoscriverlo nuovamente la stagione successiva.
Quello che spaventa non è tanto il comportamento dittatoriale del club di Chamartín, legittimato d’altronde dal contratto, quanto il fatto che una persona in teoria libera di tifare la propria squadra possa sottomettersi a tale ricatto, firmando coscientemente la propria morte sportiva e spirituale.
Ancora, non dimentichiamoci il capitolo relativo alle trasferte. Abolendo ogni forma di organizzazione autonoma, le gite fuori porta dei tifosi vengono pianificate solo nel caso in cui la società riceva da parte del comitato della Grada almeno tre proposte organizzative comprensive dei seguenti dettagli: a) numero di partecipanti, b) totale della spesa prevista, c) proposta su come finanziare costi ed entità della quota in denaro che ogni membro dovrebbe pagare.
Una volta ricevute le proposte la palla passa al club, che si riserva il diritto di scegliere l’opzione migliore e, una volta approvato il budget, provvede a fornire i mezzi di trasporto necessari. Sorvolando sul meccanismo contorto di tale procedimento, risulta paradossale il fatto di dover ricevere l’approvazione da parte della società per poter seguire la propria squadra in trasferta. È la contraddizione stessa del tifo, del suo spontaneismo, che deve invece sottostare alle opprimenti regole proprietarie.
Insomma, l’obiettivo di Florentino, così come quello di molti suoi colleghi e colletti bianchi del calcio spagnolo – vedasi Javier Tebas – , è stato quello di sradicare gli Ultras Sur per rimpiazzarli con una banda diindividui passivi e telecomandati, al servizio del club e sottomessi alle sue imposizioni liberticide. Dunque, la critica non è indirizzata solo alle società di calcio, bensì a tutte quelle persone che invece di lottare per i propri diritti e per la propria libertà individuale – di uomini e di tifosi -, si umiliano accettando passivamente ciò che viene loro imposto senza la minima reazione.
In buona sostanza, qui non si tratta di prendere posizione sugli Ultras Sur, sui Boixos o sugli Yomus – giusto per citare tre gruppi Ultras spagnoli fortemente colpiti dalla repressione societaria – ma di prendere posizione, o almeno coscienza, sulla tirannia di certe società di calcio che si arrogano il diritto di decidere chi, dove, quando e soprattutto come deve sostenere la propria squadra del cuore.
Il tentativo di plasmare un tifoso-automa e acritico in questo caso è tristemente riuscito. Se in futuro altre squadre internazionali dovessero prendere spunto da un’idea così lontana dai valori autentici del tifo, il calcio rischierebbe di perdere una delle sue componenti vitali. I tifosi non a caso vengono da sempre definiti “il dodicesimo uomo in campo”: la loro viscerale passione, lo spirito di aggregazione spontaneo, la voglia di esserci in un modo unico e caratteristico di ogni gruppo, o anche di manifestare il dissenso con genuine ribellioni, proteste e forti affermazioni identitarie, sono sicuramente alcuni degli elementi che da sempre rendono lo stadio, e di conseguenza il calcio, una delle più potenti bandiere di libertà espressiva sociale.