Calcio
07 Maggio 2025

Inter 4-3 Barcellona: oltre ogni calcolo

Una partita che ha sancito l'assoluta imprevedibilità del gioco.

Quando Copernico osò sfidare le leggi dell’apparenza e del buon senso, non poteva immaginare le conseguenze delle sue ipotesi scientifiche. Dire che, in verità, siamo noi a girare intorno al sole e non viceversa, molto più che un guaio per l’antropocentrismo significa infatti asserire, per la prima volta nella storia, che i nostri sensi ci ingannano. Al contrario dei sensi, il calcolo, la probabilità e la logica matematica possono inquadrare l’avvenire in un orizzonte razionale – anche se a noi, di primo acchito, questo orizzonte appare assurdo. Ma Copernico non conosceva il calcio.

In questo sport che non è uno sport, in questi 90 – 120, 130? – minuti che racchiudono la bellezza di un’esistenza, è ancora il sole a girare intorno alla terra, è ancora la meraviglia ad avere il sopravvento sul calcolo. Come te la spieghi, altrimenti, una partita come Inter v Barcellona quattro a tre? Come si può prevedere, o lontanamente ipotizzare, che sia proprio un difensore, nella notte che ancora una volta ha coronato la fase offensiva, a buttarsi nella mischia e a dare la zampata del 3-3 a una manciata di minuti dal termine della partita, e quindi – sul 2-3 per il Barcellona – dalla qualificazione dei blaugrana alla finale di Monaco?

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Come l’anatomopatologo all’ispezione di un corpo ormai privo di vita, ci si aspetterebbe dal bravo giornalista sportivo un’analisi distaccata della traccia lasciata sul campo dalla partita ormai conclusa. Come Copernico, bisognerebbe forse sospendere l’emozione e il giudizio affrettato che i sensi inebriano per valutare, con calma e compostezza, ciò che è stato. Copernico però, come l’anatomopatologo, opera da uomo di scienza. Ieri invece abbiamo assistito ad un evento mistico. E la mistica, come è noto, richiede preghiera, non ragionamento.

Così Inzaghi, quasi un folle di Eupalla, zuppo e appesantito dall’acqua battente impregnata sui propri vestiti, sbraitava, s’agitava, indicava. Una specie di profeta pazzo, che a poca distanza dall’omologo Hansi Flick vedeva compiersi sotto i propri occhi il destino agognato: 1-0 con palla filtrante di Dimarco a bucare la difesa, dopo aver recuperato alto il pallone – à la Flick, paradossalmente. 2-0 dagli undici metri dopo l’ennesima imbucata nerazzurra, favorita – ecco il ritorno di Copernico – dall’atteggiamento quantomeno ingenuo della difesa del Barcellona, che avrebbe causato anche il gol di Acerbi (di cui sopra).

Nella ripresa, con un San Siro apparentemente caldo ma pure impaurito dalla portata dell’impresa, la qualità dei catalani e l’ansia dell’Inter avrebbe costretto migliaia di giornalisti a cancellare la bozza fantasma del pezzo da far uscire fresco di stampa il giorno dopo: è la meraviglia dell’evento, che nel calcio si dà sempre in modo totalmente inaspettato e imprevedibile.

2-1, prima. 2-2, poi. 2-3, infine. Ma non alla fine. Eppure, sul gol di Raphinha, neanche il più ottimista tra i tifosi dell’Inter avrebbe scommesso sul 3-3 di qualche istante dopo: l’uscita dallo stadio di più di un tifoso nerazzurro lo testimoniava. Neanche un miracoloso Yann Sommer sembrava poter salvare l’Inter dalla valanga danzante degli uomini in maglia fluo.

D’altra parte, bello Raphinha, forte Pedri, ma quando hai in squadra un paradosso di Zenone l’impossibile rimonta la sfera del possibile. Lamine Yamal ci costringerà ad arditissime metafore, persino più ardite di quella appena scritta, nei prossimi 20 anni 1. Parliamo di un calciatore che, potesse cogliermi un fulmine, rischia di provocare sulla storia del calcio lo stesso effetto che Nietzsche provocò sulla storia della metafisica: distruzione (dei vecchi idoli Messi e Ronaldo, nello specifico).



Per fortuna, però, persino il destino può subire delle bizzarre inversioni. È un pensiero che ci tranquillizza e ci spaventa al contempo: non tutto è scritto, anche i grandi possono cadere. E, come insegna Tolkien, alla fine sono i piccoli a incidere davvero sulla storia. Il gol di Frattesi è proprio questo. È l’irruzione dell’imprevisto nel tempo circolare, l’assurdità del reale che deborda sempre sull’ideale. Il suo gol, bellissimo e giunto al termine di una sgroppata commovente di Thuram, è a tal punto emozionante da togliergli il fiato per un paio di minuti. Onestamente, non so come San Siro abbia potuto sostenere – con la voce, s’intende – l’Inter negli ultimi 10 minuti dei supplementari. Provando a immedesimarmi nel contesto, sarei rimasto impietrito, in un silenzio gravido di emozioni.

Lo stesso che ha inghiottito gli oltre 70.000 presenti quando Lamine Yamal è rientrato sul mancino e ha calciato sul palo lontano della porta di Yann Sommer, dove però il genitivo va inteso in senso soggettivo. Di Yann Sommer, perché la porta (almeno ieri) era di sua proprietà. Qualcosa o qualcuno deve averlo aiutato in quello slancio che dai neuroni ai muscoli delle gambe si è protesto fino alla punta delle dita, in una delle parate più belle della storia della competizione. Qualche minuto prima, quando eravamo ancora dentro i 90’, ne aveva fatta un’altra, sempre su Yamal, sempre togliendola dalla morte in rete.

Il fatto che la UEFA lo abbia premiato migliore in campo, in una partita terminata 4-3, la dice lunghissima sul tipo di contesa alla quale abbiamo assistito ieri sera. Stiamo parlando, probabilmente, della più bella semifinale di Champions League di sempre. O così, perlomeno, da che ne abbiamo memoria. Certo, so di espormi all’indice dei copernicani, che richiedono ipotesi, esperimenti, calcoli e certezze empiriche. Ma chi di noi, ieri sera, non ha rischiato di perdere il lume della ragione? Chi di noi, oggi, osa dire a Sua Maestà il Sentimento: te l’avevo detto?


Immagine di copertina: Rivista Contrasti


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