Trovare un colpevole per non considerare il quadro della situazione.
Andiamo subito al sodo: veramente nel 2021 possiamo scandalizzarci se il primo giocatore del mondo ha firmato un contratto da mezzo miliardo per quattro anni? Il pallone è uscito di senno, ma purtroppo non lo scopriamo certo oggi. Ormai gridare allo scandalo suona fuori luogo e fuori tempo. Però possiamo compiere lo sforzo di sottrarci all’onda d’urto di ipocrisia che la deflagrazione della notizia pubblicata da El Mundoha suscitato in primis sul web.
Di questi tempi, tocca meravigliarsi di chi si meraviglia: questo tipo di accordi economici è soltanto uno degli ultimi risultati della deriva intrapresa dal calcio, il nostro amato meraviglioso gioco, che secondo alcuni non è mai stato “vergine” nemmeno ad inizio secolo. Negli ultimi quarant’anni il pallone è diventato a tutti gli effetti un’enorme industria, i club sono società private finalizzate al guadagno, e i calciatori professionisti che godono, in maniera ormai spropositata, dello status di privilegiati che gli atleti vantano sin dai tempi dell’Antica Grecia. Il quadro è perfettamente coerente.
Per scrivere un contratto bisogna essere in due: club e giocatore, datore di lavoro ed impiegato, offerente e richiedente (tralasciamo ora l’agente, il terzo più incomodo di sempre). Come ricorda puntualmente Marco Bellinazzo, se il Barcellona ha ritenuto conveniente dal punto di vista economico offrire un tale contratto al suo calciatore più rappresentativo, lo ha fatto sulla base di un preciso piano.
“Nell’era Messi, dal 2004 al 2019, il fatturato annuale del Barcellona è passato da 170 a 850 milioni e avrebbe superato il miliardo nel 2021; i 130 milioni lordi a stagione d’ingaggio per la Pulce sono anche il riconoscimento per l’apporto dato alle performance economiche del club.” (Marco Bellinazzo via twitter, 01/02/21)
Si parla di mezzo miliardo in quattro stagioni, cifre astronomiche, quindi non possiamo pensare che sia stata un’improvvisazione. Stesso discorso per l’esborso sostenuto all’epoca dalla Juventus per l’acquisto di Cristiano Ronaldo: davvero pensiamo che una società quotata in borsa decida a cuor leggero di fare un investimento da oltre 100 milioni di euro per l’acquisto di un asset?
Facciamoci il favore di accantonare i sentimentalismi, da un po’ è arrivato il momento di fare i conti con la crudezza delle leggi del mercato. Tifiamo per delle Spa e trovare in esse significati simbolici diventa sempre più difficile. Purtroppo, in un certo senso, perfino noi tifosi siamo complici di questo sistema; almeno non prendiamoci in giro e rendiamocene conto. Tra l’altro quest’opera di sputtanamént mediatico (scusate il francesismo), si inserisce in una perfetta narrazione dove il club è vittima e ostaggio dell’avidità del suo capitano, che peraltro è sull’uscio dall’estate.
“Il contratto faraonico di Messi che rovina il Barça”: la miccia è accesa. (sportmediaset)
Non ci sentiamo sicuramente in dovere di difendere Messi, ma se il Barcellona si trova oggi sommerso da circa 1,2 miliardi di debiti, sembra più facile attribuirne la responsabilità all’annosa incapacità gestionale della sua dirigenza piuttosto che all’animo crematistico dell’argentino.
Infine, sempre nell’ottica di aprire gli occhi, questi episodi confermano quanto sia sciocco investire il calcio di una missione etica e morale. Il soldo (soprattutto se virtuale) rispetta soltanto sé stesso ed oggi l’universo del pallone ruota attorno al Dio Denaro, perfettamente inserito e coerente in un modello economico che appare sempre più insostenibile a livello globale. Svestiamo i panni delle beghine e riconosciamo il meccanismo. Se oggi siamo complici, forse domani potremmo essere dalla parte della soluzione.