La destinazione è l'origine.
Tre quarti del mondo è meridione, il punto in cui il sole s’innalza maggiormente e lumeggia le terre fino a renderle, nella poetica descrizione di Marcello Veneziani, “suolo della vita, credenza dei ricordi e calore materno delle origini”. La vicenda di Edinson Cavani trae origine da una terra tanto meridionale e profonda come l’Uruguay, regione fertile e spirituale, luminosa e illuminata a partire dal simbolismo della bandiera, in cui un Sol de Mayo col volto del dio Inti veglia lucente sul bianco candido e sull’azzurro mariano.
Tutto ciò fa scaturire in Cavani un sentimento di appartenenza pressoché religioso, un amore celeste per la sua terra e per il pallone, sublimato dalla convinta fede cattolica che lo ispira secondo il Vangelo di Matteo (10, 16-18) – “siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” – e nelle parole del profeta Isaia (40, 30-31) – “quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, s’alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano”.
L’anelito all’eterno diventa motore di una passione nobile e fervente per il gioco del pallone, coltivata in quel paese capace di mantenere incorrotti i caratteri del calcio: “In Uruguay ci insegnano a competere. Molti di noi hanno gareggiato a piedi nudi, sotto la pioggia, con i sassi, rompendosi un dito e giocando lo stesso. […] Quando sono in nazionale, mi rendo conto che l’essenza del calcio è ancora qui. Qui si viene per dare tutto”.
E sì che sempre ha dato tutto, Edinson Cavani, fin quando da giovane l’ossatura esile lo relegò al nomignolo di Botija, bambino: da principio […]