Estero
13 Febbraio 2022

Perché nessuno parla del City Football Group?

Più che un gruppo una multinazionale.

Dalle ultime indiscrezioni emerse dal Brasile, per la precisione dall’articolo di Galacticos Online, ripreso in Italia da Pippo Russo su Calciomercato.com, il City Football Group sarebbe in trattative avanzate per aggiungere l’Esporte Clube Bahia alla propria collezione di figurine – pardon, di club. Una multinazionale calcistica che avrebbe così l’undicesima tessera del suo mosaico e metterebbe la propria ✓ anche sul Brasile – poi vedremo perché e soprattutto perché adesso. Il Bahia sarebbe dunque l’undicesimo club ad entrare nella rete del CFG dopo il Manchester City (Inghilterra), il New York City FC (Stati Uniti), il Melbourne FC (Australia), gli Yokohama Marinos (Giappone), il Montevideo City Torque (Uruguay), il Girona (Spagna), il Sichian Juniu (Cina), il Mumbai City (India), il Lommel (Belgio) e il Troyes (Francia).

Perché investire sul Brasile è facilmente intuibile, come ipotizza lo stesso sito brasiliano: banalmente, «il City Group sta valutando la possibilità di trasformare la squadra in un bacino di stelle per le sue altre “franchigie” principali». Quello che anzi appare strano è perché non avesse ancora pensato al più grande produttore mondiale di talento grezzo che esista. In realtà, se qualcosa si è mosso solo ora è a causa della recente creazione per iniziativa governativa della SAF (Sociedade Anônima do Futebol), una modifica normativa che consente ai club brasiliani di diventare società per azioni, “company club” sull’esempio del modello europeo. Fino ad oggi infatti i club brasiliani erano trattati come società senza scopo di lucro, mentre ora il governo ha puntato a regolamentare e ristrutturare il settore.

Un’occasione che la holding, controllata ricordiamo per il 78% da Abu Dhabi United Group, non vuole farsi sfuggire. Per il resto però, a nessuno sembra interessare nulla che una multinazionale allunghi i propri tentacoli in giro per il globo calcistico, ben più della sempre citata Red Bull. In una vecchia inchiesta di The Athletic poi, ripresa in Italia da Rivista 11, veniva analizzato il modello del City Football Group e la sua gestione puramente imprenditoriale delle squadre: per citare il professor Simon Chadwick, direttore del centro studi Eurasian Sport,

«Soriano (l’amministratore delegato del CFG) vede il calcio come un’impresa di intrattenimento in continua espansione, come se fosse la Disney».

Un modello piuttosto inquietante, che punta a centralizzare e uniformare tutti i club, in barba alle tradizioni, alle culture dei club ed alle loro particolarità nazionali. Insomma, l’approdo di un calcio senz’anima diventato definitivamente industria e calcolo, che spera piano piano di costituire un’imponente ragnatela internazionale secondo un business plan degno della Silicon Valley. In molti dicono che sia questo il futuro del pallone: non più singole proprietà, anche ricche, bensì gigantesche holding con diversi club sotto il proprio controllo. Sarebbe da chiedere un parere a Pep Guardiola, storico fautore dell’autodeterminazione dei popoli. Chissà se è un modello che gli piace: è vero che gli garantisce 23 milioni di euro all’anno (esclusi gli sponsor) ma si sa, i soldi non sono tutto nella vita e vige libertà di critica! Giusto?


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