Il motto della città di Manchester è Concilio Et Labore, in latino Saggezza e Fatica. Su saggezza e fatica si basa il credo calcistico dei due allenatori delle squadre di calcio più importanti di Manchester. La saggezza, per uno, nel dire sempre la cosa giusta al momento giusto, nel riuscire a comunicare ai propri giocatori un qualcosa che va oltre le “semplici” indicazioni tattiche, mantenendo la leadership. Perché chi è padrone della propria lingua è padrone di se stesso. La saggezza, per l’altro, nel capire quando inventare, quando cambiare, quando trasformare la sua squadra in una macchina perfetta. La fatica, per entrambi, mentale nel reggere la pressione psicologica a cui sono costantemente sottoposti, da stampa, media e tifosi. La fatica fisica trasmessa ai propri giocatori, e come dosarla. Perché nel calcio non importa quanto corri, ma come corri. Tornando a parlare della città di Manchester, nell’immaginario collettivo compaiono grandi fabbriche tessili che gettano quel fumo che la rende ancor più grigia di quanto già non sia. Perché Manchester è stata una delle più importanti città della rivoluzione industriale in Inghilterra, che ha vissuto il suo momento di massima espansione nel XVIII secolo. Le precipitazioni, costanti tutto l’anno, non aiutano a rendere la rappresentazione mentale di Manchester meno sconfortante. Ma il grigio, ogni volta che giocano le due squadre di calcio della città più industriale d’Inghilterra, si trasforma romanticamente in rosso, come il Manchester United, e in azzurro, come il Manchester City, dividendo il suo mezzo milione di abitanti in due insiemi che non si intersecheranno mai; e mai, come da un anno a questa parte, il clima è arrivato a temperature tanto alte. Questo perché alla guida delle due squadre troviamo José Mourinho e Pep Guardiola, forse i personaggi più mediatici all’interno del mondo del calcio. I due si conosco da più tempo di quanto la vox populi dica, e se il loro rapporto è ormai compromesso, una volta non era così.
Quasi venti anni fa…
Paolo Condò, nel suo ultimo libro Duellanti, fa risalire l’inizio delle ostilità fra i due ai tempi di Barcellona, quando Guardiola era il regista e capitano della squadra catalana, e Mourinho il vice allenatore, affianco a Robson. L’episodio avvenne al San Mames, leggendario stadio dell’Athletic Bilbao, quando, durante un parapiglia tra i giocatori delle due squadre, Guardiola si erse davanti a Mourinho, colpevole di aver fomentato ulteriormente la situazione, placando gli animi ma umiliando quest’ultimo e soprattutto facendolo sentire inferiore per importanza, ruolo e carisma. L’alchimia formatasi tra Mourinho e Guardiola è simile a quella che le loro Nazioni – Portogallo e Spagna – hanno forgiato nel corso dei secoli, fatta di affinità e divergenze. Come ci fa notare il filosofo portoghese Eduardo Lourenço, quando pensiamo alla Penisola Iberica ci immaginiamo una parte dell’Europa a se stante formata appunto dai due Paesi, geograficamente plasmati in un tutt’uno, che formano un’identità chiaramente riconoscibile soprattutto se messa a confronto con le altre Nazioni europee, e che condividono molteplici somiglianze: dalla religione ed il concetto di religiosità alla lingua, che possiede radici comuni. L’avventura coloniale dei due paesi è stata ripresa dai due allenatori, spostandosi però sempre all’interno del Vecchio Continente: Mourinho è andato alla conquista dell’Italia e dell’Inghilterra, dove ha ritrovato appunto Guardiola; quest’ultimo invece è approdato oltremanica reduce dalle conquiste in terra teutonica, dopo gli anni passati in Spagna dove ogni Clasico era una guerra iniziata settimane prima, e che non terminava mai al triplice fischio finale.
Una guerra totale che Guardiola non perdonerà mai a Mourinho, e in cui ogni mezzo era valido
Quest’anno si sfideranno ancora per aggiudicarsi molto probabilmente, viste le rispettive partenze, la Premier League, in una Manchester mai così poco grigia; e dopo l’exploit del Chelsea di Antonio Conte – capace come nessuno nel formare un gruppo vincente dalle macerie, vedasi i casi Juventus e Nazionale Italiana – mentre i due rivali erano alle prese con più di un problema riguardante formazione, ambientamento, idee tattiche e credo calcistico, questo sembra l’anno buono per riportare Manchester sul trono d’Inghilterra. Dal mercato sono arrivati infatti giocatori fondamentali per continuare la costruzione di squadre già pensate ed elaborate più di un anno fa. In maglia azzurra, hanno sposato il progetto di Pep giocatori che si incastrano alla perfezione sia col modello di gioco che ha in mente l’allenatore catalano sia col calcio inglese molto fisico, come Mendy (purtroppo infortunatosi a lungo termine), Walker, Danilo Bernardo Silva e l’enigmatico portiere, dai piedi di un regista ma dalla non eccelsa abilità tra i pali, Ederson. In maglia rossa invece sono arrivati i muscoli di Lindeloff, ma soprattutto quelli di Matic e Lukaku – entrambe vecchie conoscenze di Mourinho –, nuove e perfette armi per permettere a José di vincere il campionato, obiettivo sempre centrato al suo secondo anno da allenatore di qualsiasi squadra.
Il miglior inizio possibile per Romelu Lukaku: sette gol in sette partite, e vetta della classifica marcatori di Premier
Comunque i risultati, per ora, sono dalla loro parte: entrambi in testa alla classifica in Premier League, entrambi avendo dimostrato una palese superiorità in campo rispetto ai loro avversari, sia a livello di gioco espresso che a livello mentale e psicologico, mostrando un dominio quasi imbarazzante contro le squadre finora incontrate. Laddove però Mourinho non ha ancora incontrato avversarsi di spessore, o quantomeno in grado di reggere l’urto dei muscoli dei diavoli rossi, la squadra di Guardiola ha invece ridimensionato nell’ultimo turno proprio il Chelsea di Antonio Conte campione in carica; non è stato tanto il punteggio finale quanto il modo in cui è arrivata la vittoria, in costante controllo, senza aver mai dato la sensazione di poter perdere la partita e impartendo una lezione di calcio ai campioni d’Inghilterra. Per di più giocando in trasferta a Stamford Bridge e con la formazione titolare orfana del Kun Aguero (anche se per correttezza c’è da dire che Morata è uscito dal campo dopo neanche mezz’ora per i blues, reduci tra l’altro da una pesantissima trasferta a Madrid e con un giorno di riposo rispetto agli uomini di Pep). A differenza dell’anno scorso il City sembra cresciuto molto nella consapevolezza, il che si ripercuote nei big match dove i Citizens hanno alzato l’asticella ad un livello forse mai visto prima in Premier League. Entrambi inoltre, Pep e Josè, hanno inanellato i primi due risultati positivi in Champions League, partendo da underdog ma guadagnandosi pian piano gli sguardi timorosi delle dirette concorrenti per la vittoria finale; anche perché si sa, che nella coppa dalle grandi orecchie, la sorpresa è sempre dietro l’angolo.
Guardiola si coccola Kevin De Bruyne, autore del gol vittoria in casa del Chelsea
L’attesa impaziente ci consumerà almeno fino allo scontro diretto del 9 dicembre all’Old Trafford, il Teatro dei Sogni, casa del Manchester United, quando andrà in scena in derby fra red devils e citizens. Le sfide fra i due allenatori, tra l’altro, non saranno mai semplici partite di calcio. In esse si racchiudono e si scontrano due identità e due visioni del mondo, anche nel pubblico che si identifica in una delle due dottrine per farla sua, per difendere un credo ed un’idea e scegliere una parte della barricata, che sia sul web, al bar con gli amici o anche solo in famiglia. È l’eterna lotta del bene contro il male, dove il bene ed il male sono sempre radicalmente soggettivi. Eppure Pep e Josè sembrano come quei fratelli che una volta cresciuti interrompono ogni legame affettivo, arrivando a non rivolgersi più la parola se non per attaccarsi, sia mediaticamente che all’interno del rettangolo di gioco. Ce li immaginiamo, magari fra venti anni, a farsi la guerra per l’unico posto auto rimasto libero nel condominio dove, ovviamente, sono vicini di casa. La guerra per il posto auto se la aggiudicherebbe Mourinho, perché Guardiola, a cui piace giocare con lo spazio rendendolo un elemento a suo favore, paradossalmente non avrebbe neanche un’auto. Quello che possiamo dire con certezza è che il rapporto di eros e thanatos che si è formato tra i due è come lo Yin e lo Yang nell’antica filosofia cinese. In ognuno di loro due ci sarà sempre qualcosa dell’altro, in un legame indissolubile e saldato da ciò che nel calcio, in fin dei conti, conta più di ogni altra cosa: la vittoria.