The Notorious ha subito la furia di Poirier per un round intero, poi la caviglia ha fatto crack.
Solo la Sorte, quella Tiche che gli antichi greci ritenevano artefice delle vicende umane, poteva far saltare ogni pronostico in uno dei match più attesi dell’anno in UFC. Alla vigilia, McGregor-Poirier 3 non era visto semplicemente uno scontro tra due fenomeni dell’ottagono, entrambi determinati a guadagnarsi la title shot contro il detentore della cintura dei leggeri Charles Oliveira. Lo scontro era atteso soprattutto in quanto spartiacque nella carriera del più chiacchierato fighter degli ultimi otto anni. Ma la Tiche non è solo casuale: è inevitabile: se Conor McGregor si è rotto brutalmente la caviglia a fine primo round vuol dire che gli dèi delle MMA avevano deciso così.
Era tornato, più cafone di prima
Di parole sul capitolo conclusivo della trilogia se ne sono spese a fiumi: McGregor, ormai star globale con sempre più interessi fuori dalla gabbia, sembrava tornato quello degli anni d’oro. L’eloquio sciolto e volgare, gli insulti sparati a mitraglia, la spavalderia perenne: tutti fattori che avevano portato gli appassionati a rivedere colui che dal 2013 al 2016 aveva scioccato il mondo UFC, battendo fenomeni come Josè Aldo e laureandosi campione mondiale in due categorie di peso diverse. “Ti porterò a spasso come un cane”, una delle tante minacce rivolte a Poirier nel face to face: frase da bullo di periferia, e perciò così meravigliosamente adatta alla bocca del Notorious.
Freddo come può essere un diamante
Dall’altra parte, “The Diamond” aveva condotto una strategia opposta nei giorni pre-match: basso profilo, non si era esposto in violenti dissing. Striker eccelso, il nativo della Louisiana ha fatto passi da gigante rispetto al primo confronto (perso) con Conor nel 2014, arrivando al match in forma eccelsa. La mancata donazione di 500mila dollari alla fondazione benefica dell’americano, promessa poi rimangiata da McGregor, aveva aggiunto combustibile alla faida nei mesi scorsi, e a giudicare dal faccione sorridente di Dana White – affidabile barometro del successo di ogni evento UFC – il carrozzone messo in scena ha fruttato parecchio.
Quando un infortunio ti salva dall’umiliazione più netta
Pronti, via e McGregor vuole far ricredere i detrattori che ne avevano criticato l’impostazione troppo “pugilistica” del match di gennaio scorso. Negli Emirati Arabi Uniti – proprio contro Poirier – Conor infatti era stato attendista, e aveva inibito quei guizzi che lo avevano portato sulle vette più alte, così da perdere malamente. A Las Vegas l’avvio è promettente: uno spinning kick, seguito da scambi in piedi. Poirier sembra non aspettare altro dal rivale, e forse anche gli haters di McGregor sono contenti di vederlo così pimpante. Ma per quanto tirata a lucido, se a una macchina sportiva il motore non gira più come dovrebbe, sono guai: Poirier buca la guardia dell’irlandese con un montante e un diretto, e lo spinge sulla rete metallica.
Conor non si scompone e tenta una ghigliottina: per il tempo che la riesce a mantenere, il pubblico è in delirio.
Ma McGregor in primis sa di non essere forte nelle sottomissioni, non lo è mai stato. Dustin si divincola e carponi sul rivale lo castiga con pugni e gomitate in testa. La mattanza dura per quasi tutto il resto del primo round, e quando Conor si alza ha il viso tumefatto. Nel suo cuore sa che perderà, non sa però quando. Tenta un diretto destro seguito da un sinistro, Poirier rintuzza e incrocia il suo, di destro: arretrando, l’irlandese mette male la caviglia sinistra che cede e si spezza. Fine anticipata e sconfitta per ko medico. Dustin è felice come un bambino, McGregor che in conferenza urla “Non è finita qui!” pare invece Robert De Niro nei panni di Al Capone, quando ne “Gli Intoccabili” sbraita frustrato contro Kevin Costner/Elliott Ness.
La UFC non mollerà Conor a cuor leggero
Ma il protagonista è sempre Conor: non è Poirier ad aver vinto, ma McGregor ad aver perso. Nel bene e nel male, il personaggio (costruito quanto vi pare, ma carismatico) sopravvivrà all’atleta. Con un’operazione e un lungo recupero da affrontare, il roscio barbuto avrà tutto il tempo per valutare il suo futuro. Le possibilità di tornare re dei pesi leggeri sono bassissime, il corpo è usurato ma soprattutto la voglia non è più la stessa. Eppure il quasi 33enne muove sempre milioni in sponsor, attrae nuovi fan in tutto il globo e, cosa più importante, genera visibilità: la UFC farà di tutto per tenerlo nel roster, iniziando già adesso a mettere le basi per il terzo confronto con Nate Diaz. Ma la magia è finita, e Conor ne è consapevole.