Le dichiarazioni di Allegri nel post-partita accendono una speranza per l'essenza del calcio.
Tattiche, schemi, temporizzazioni, zone di influenza. Basta!, come direbbe Giorgio Gaber: non se ne può più. Da tempo abbiamo preso posizione in questa battaglia meta-letteraria, contro il giornalismo che si fa scienza e si allontana sempre più dal calcio originario, dall’essenza di questo sport. Ecco perché sentire Massimiliano Allegripronunciare certe parole, nel post-partita di Inter-Juventus, ci ha aperto il cuore.
Venendo a noi, la partita l’abbiamo vista tutti: possiamo tirar fuori almeno un centinaio di interpretazioni, ricostruzioni e letture diverse, l’unica certezza è che un incontro come quello di ieri sera non si può analizzare con la tattica e con gli schemi. Questo era il senso profondo della risposta di Allegri ai microfoni di Sky, che poi ha spostato il discorso ancora più in là.
https://www.youtube.com/watch?v=9qQMb_8Sjwo
Grazie ad Allegri, per riportare un po’ di buon senso in un dibattito cervellotico e drogato
Ebbene vogliamo essere estremamente onesti: una simile dichiarazione per noi è motivo di orgoglio e di speranza. Orgoglio perché ci sentiamo meno soli, in una battaglia contro i giganti che abbiamo intrapreso da tempo; speranza perché queste parole avvicinano al calcio. E qui si ribalta l’argomento tradizionale, per cui sembra quasi che lo scontro tra Juventus e Napoli di quest’anno sia la resa dei conti dell’alto contro il basso, in cui la Juventus rappresenta l’èlite, assediata nei palazzi del potere, e il Napoli l’espressione della volontà popolare, che intende finalmente riportare un po’ di sacrosanta giustizia socialista su questa terra.
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Sarri allora è l’uomo della gente, con la moka durante il ritiro a Dimaro, che dà del frocio a Mancini (si può dire?), che si lascia andare ad espressioni colorite e gesti impulsivi, come farebbero molti di noi: per questo gli siamo idealmente vicini, pur con tutti i suoi limiti, perché quei limiti sono anche i nostri. Ma le parole di Allegri di ieri rimandano a un calcio originario, senza droni e studi geometrici; rimandano al calcio che si gioca sotto casa, e che ha prodotto l’unico autentico talento italiano al momento, quello stesso Insigne che Federico Buffa ha definito “il profeta del calcio di strada”.
Moka e sigaretta, da lì iniziammo ad amare Sarri
Quella delineata da Massimiliano Allegri allora è una filosofia originaria, pratica e delle differenze: pratica perché l’applicazione della regola è la regola stessa, che si compie. Non c’è una teoria, che si trasferisce nella pratica, è invece la pratica che diventa teoria. E questo incrina quel cupo castello del calcio come scienza che è stato edificato da troppi in questi ultimi anni; chiedere a Zidane e al Real Madrid per credere: i più forti vincono e noi perdiamo tempo a scervellarci con le tattiche, anziché esaltarne il gesto. Per questo quella di Allegri è anche una filosofia delle differenze, perché lo facevamo anche noi, giocando da piccoli: quando eravamo in difficoltà davamo la palla al più forte, al Modric, al Marcelo o al Dybala di turno, e gli permettevamo di esprimere il suo spirito creatore.
“Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. E a loro non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio”. (Così parlò Zarathustra, Friedrich Nietzsche)
Attenzione, questo non significa che la tecnica sia l’unica cosa che conta: ieri Dybala ha passato infatti un’ora buona in panchina, osservando i suoi compagni mentre giocavano. Vuol dire piuttosto che l’approssimazione della scienza è limitata, e soprattutto le partite irrazionali si spiegano con i singoli, con la loro classe, con la loro forza fisica, con la loro intelligenza. È una reazione naturale all’intellettualismo dei salotti. A sentire gli infiniti dibattiti televisivi spesso si dimentica questo fondamentale aspetto, e si chiamano in causa lavagne tattiche multimediali e ultimo modello con mille frecce, colori, zone di influenza e di pressing.
Così il calcio diventa auto-referenziale, materia da addetti al settore. E invece ha totalmente ragione Allegri: si dovrebbe parlare di scuole calcio, di come esse già diventino gabbie tattiche collettive, livellanti verso il basso, in cui si costringono i ragazzi ad imparare e ripetere dogmaticamente schemi ed esercizi. Ma soprattutto si dovrebbe ragionare di tecnica e di tattica individuale, prima di tutto. E colpisce il fatto che debba essere l’allenatore della squadra più forte d’Italia a ricordarcelo.
Dopo lo scaricabarile seguito all'eliminazione mondiale, eccoci da punto e a capo: intrecci malsani tra sport e politica, giornalisti compiacenti e leggi ad personam.
L'Ajax è il romanzo della sfrontatezza che ciclicamente si ripete, di capitolo in capitolo: da Cruijff a De Jong, da Hulshoff a De Ligt, ma anche da Overmars a Neres e da Rinus Michels a Eric Ten Hag.