Le dichiarazioni di Allegri nel post-partita accendono una speranza per l'essenza del calcio.
Tattiche, schemi, temporizzazioni, zone di influenza. Basta!, come direbbe Giorgio Gaber: non se ne può più. Da tempo abbiamo preso posizione in questa battaglia meta-letteraria, contro il giornalismo che si fa scienza e si allontana sempre più dal calcio originario, dall’essenza di questo sport. Ecco perché sentire Massimiliano Allegripronunciare certe parole, nel post-partita di Inter-Juventus, ci ha aperto il cuore.
Venendo a noi, la partita l’abbiamo vista tutti: possiamo tirar fuori almeno un centinaio di interpretazioni, ricostruzioni e letture diverse, l’unica certezza è che un incontro come quello di ieri sera non si può analizzare con la tattica e con gli schemi. Questo era il senso profondo della risposta di Allegri ai microfoni di Sky, che poi ha spostato il discorso ancora più in là.
Ebbene vogliamo essere estremamente onesti: una simile dichiarazione per noi è motivo di orgoglio e di speranza. Orgoglio perché ci sentiamo meno soli, in una battaglia contro i giganti che abbiamo intrapreso da tempo; speranza perché queste parole avvicinano al calcio. E qui si ribalta l’argomento tradizionale, per cui sembra quasi che lo scontro tra Juventus e Napoli di quest’anno sia la resa dei conti dell’alto contro il basso, in cui la Juventus rappresenta l’èlite, assediata nei palazzi del potere, e il Napoli l’espressione della volontà popolare, che intende finalmente riportare un po’ di sacrosanta giustizia socialista su questa terra.
.
Sarri allora è l’uomo della gente, con la moka durante il ritiro a Dimaro, che dà del frocio a Mancini (si può dire?), che si lascia andare ad espressioni colorite e gesti impulsivi, come farebbero molti di noi: per questo gli siamo idealmente vicini, pur con tutti i suoi limiti, perché quei limiti sono anche i nostri. Ma le parole di Allegri di ieri rimandano a un calcio originario, senza droni e studi geometrici; rimandano al calcio che si gioca sotto casa, e che ha prodotto l’unico autentico talento italiano al momento, quello stesso Insigne che Federico Buffa ha definito “il profeta del calcio di strada”.
Quella delineata da Massimiliano Allegri allora è una filosofia originaria, pratica e delle differenze: pratica perché l’applicazione della regola è la regola stessa, che si compie. Non c’è una teoria, che si trasferisce nella pratica, è invece la pratica che diventa teoria. E questo incrina quel cupo castello del calcio come scienza che è stato edificato da troppi in questi ultimi anni; chiedere a Zidane e al Real Madrid per credere: i più forti vincono e noi perdiamo tempo a scervellarci con le tattiche, anziché esaltarne il gesto. Per questo quella di Allegri è anche una filosofia delle differenze, perché lo facevamo anche noi, giocando da piccoli: quando eravamo in difficoltà davamo la palla al più forte, al Modric, al Marcelo o al Dybala di turno, e gli permettevamo di esprimere il suo spirito creatore.
“Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. E a loro non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio”. (Così parlò Zarathustra, Friedrich Nietzsche)
Attenzione, questo non significa che la tecnica sia l’unica cosa che conta: ieri Dybala ha passato infatti un’ora buona in panchina, osservando i suoi compagni mentre giocavano. Vuol dire piuttosto che l’approssimazione della scienza è limitata, e soprattutto le partite irrazionali si spiegano con i singoli, con la loro classe, con la loro forza fisica, con la loro intelligenza. È una reazione naturale all’intellettualismo dei salotti. A sentire gli infiniti dibattiti televisivi spesso si dimentica questo fondamentale aspetto, e si chiamano in causa lavagne tattiche multimediali e ultimo modello con mille frecce, colori, zone di influenza e di pressing.
Così il calcio diventa auto-referenziale, materia da addetti al settore. E invece ha totalmente ragione Allegri: si dovrebbe parlare di scuole calcio, di come esse già diventino gabbie tattiche collettive, livellanti verso il basso, in cui si costringono i ragazzi ad imparare e ripetere dogmaticamente schemi ed esercizi. Ma soprattutto si dovrebbe ragionare di tecnica e di tattica individuale, prima di tutto. E colpisce il fatto che debba essere l’allenatore della squadra più forte d’Italia a ricordarcelo.