Papelitos
28 Gennaio 2025

L'addio di Danilo significa molte cose

La Juventus continua ad odiare i propri simboli.

Tra le maglie dei blancos madridisti che festeggiano l’ennesima Champions League, quella notte di Cardiff di sabato 3 giugno 2017, c’è anche un ragazzo di ventisei anni. Arrivato al Real la stagione precedente, Danilo Luiz da Silva non ha brillato in Spagna. E infatti è prossimo all’addio. Chissà se in quei momenti avrebbe immaginato di fare parte della rosa degli avversari di quella finale.

La Juventus, come la conoscono tutti, come la amano i suoi tifosi e la odiano gli aficionados delle altre squadre, è scomparsa quella piovosa sera. Non nei risultati, alti e bassi che sono il sale dello sport, quanto nella mentalità, nella mistica e nel legame, fortissimo, con la sua ultra centenaria storia. Nei giorni in cui, dopo l’ennesima delusione di stagione, i fan bianconeri sono costretti a vedere ammainare la loro ultima bandiera, i pensieri tornano alla batosta di otto anni fa.



Tutti dicono Cristiano Ronaldo e invece l’inizio della fine di un ciclo irripetibile non coincide con l’ascesa al potere di un degno rivale (almeno, non allora), quanto con una serie di scelte arroganti e autolesioniste. Dopo la sconfitta in finale, Massimiliano Allegri se ne vuole andare. Sembra tutto fatto per il suo passo d’addio. Invece, la nuova triade Agnelli – Marotta – Paratici rilancia. In quel rilancio si leggono i titoli di coda di un film che ancora si trascina ai giorni nostri.

Sconfessato in un amen un calciomercato dispendioso, ma oculato, ecco arrivare pedine costose e poco utili. I doppioni Bernardeschi (acerbo) e Douglas Costa (fragile), sino a giungere al grottesco Ramsey. Stipendi esponenziali. Acquisti e cessioni illogiche e la conclamata voglia di disfarsi di uomini spogliatoio allo stesso ritmo di un bimbo viziato che si stufa dei suoi vecchi giocattoli. E allora Higuain tra Milan e Chelsea (con stipendio pagato da Madama), Khedira e Matuidi tra Arabia e America, Mandzukic in Qatar.

Totem sacrificati sull’altare di nuovi progetti che assomigliano sempre più al ponte sullo Stretto.

Se ne parla da anni, ma non si parte mai. E mentre i vari De Sciglio, Milik e Arthur ringraziavano la dirigenza scaldando faraoniche panchine, giungevamo all’estate 2024. Prima Szczęsny poi Danilo (e il prossimo ha la maglietta numero 9) buttati fuori come ubriachi molesti da una discoteca. Lesa maestà, parlando del capitano. Voci che raccontavano di un Danilo contrariato dagli esperimenti di Motta, con il tecnico, uomo facile all’offesa, che lo escludeva da ogni match. Dicerie? Forse. Come quelle che raccontano di un Chiellini voglioso di urlare in faccia alla squadra cosa voglia dire essere Juventus e che trova le porte chiuse dello spogliatoio. Comandano i nuovi, non si scappa.

Fuori da quella stanza, il caos. I tifosi sono ormai abituati alla combo fatale “Quarto posto + finale di Coppa Italia”, sperando di vincere quest’ultima. Di quella fame da bava alla bocca del ciclo dei nove scudetti nulla è rimasto e quel poco lo potete trovare nei pressi di Fuorigrotta. Per gentile concessione di un presidente rancoroso, un’altra bandiera ha le porte sprangate a Vinovo.

Quell’Antonio Conte che ha dato il via alla rinascita zebrata, “bannato” direbbero i social, da un mondo che è sempre stato il suo. Proprio come il mito Del Piero, ormai losangelino e sempre più lontano dalla Signora. Come Danilo Luiz. Capitano coraggioso. Uomo colto e mai sopra le righe. Quello che dopo il rigore fatale nella sconfitta della Coppa Italia 2020 disse di “aver finalmente capito cosa vuol dire Juventus” scusandosi con la tifoseria.

Quello che, piuttosto che accasarsi a un’odiata rivale, rinuncia a tutto e torna in Brasile. Quello che, in tre minuti, ha condensato più juventinità di quanta ne sia passata tra Stadium e dintorni negli ultimi dieci anni. La scelta del numero 6 non a caso. Ricordando Gaetano, un altro Signore con la S maiuscola. Come Ulisse, traghettando un gruppo ebbro di trionfi dentro il grigiore dell’ultimo lustro.

Osservando sconsolato “i fantasiosi progetti” sciogliersi come neve al sole, mentre un andirivieni di comprimari varca i cancelli di Caselle senza aver la minima idea di cosa voglia dire indossare la maglia bianconera. L’ultimo a trasmetterla, il primo capitano straniero in oltre 120 anni, è tornato a casa. Eppure, se di storia si parla, chi comanda, tra campo e scrivania, dovrebbe saperlo. Nella sabauda e conservatrice Juventus rivoluzionari e rivoluzioni fanno sempre rima con fiasco.

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