Il rientro del capitano è cruciale per i bianconeri.
«In alcuni momenti delle partite siamo troppo passivi, avere un calciatore come Chiellini ci aiuterebbe tanto nel trovare quel sano agonismo e quell’attenzione mentale fondamentale per conquistare le vittorie». Maurizio Sarri ha avuto l’opportunità di schierare Giorgio Chiellini solo a Parma, al suo debutto sulla panchina della Juventus, nella partita inaugurale della Serie A 2019/2020 (oltre naturalmente ai quindici minuti di domenica contro il Brescia).
Eppure il tecnico toscano, in una singola frase pronunciata dopo la sconfitta contro il Napoli, ha saputo racchiudere tutta la leadership e il valore del capitano bianconero: un valore che trascende i metri di giudizio comuni a tutti gli altri difensori. Perché, prima di essere un grande difensore, Chiellini rappresenta un tipo di mentalità vincente con pochi eguali non solo nel calcio, ma nello sport in generale.
«Credo che Chiellini sia qualcuno di unico. Quando si parla di personalità, leadership, cattiveria agonistica e voglia di vincere, io penso a lui. L’acquisto migliore per una società sarebbe l’anima di Chiellini».
Le azzeccatissime parole sono di Christian Bucchi
Kurt Cobain diceva che non si apprezzano mai le cose che si hanno finché non le si perde: bene, l’infortunio di Chiellini dello scorso agosto è un perfetto esempio di questo principio applicato (al calcio). Nel corso dei mesi infatti la fragilità della Juve di Sarri è diventata sempre più evidente, così come sempre più pressante era la ricerca di un modo di stare in campo più “elaborato” rispetto allo standard richiesto dal gestore Allegri.
Perdere Chiellini durante questo percorso, per la Juventus, è stato come smarrire una torcia nel bel mezzo di una caverna buia. E non si tratta di un discorso tanto legato all’ambito tecnico-tattico: il cuore del problema riguarda invece il modo di stare in campo di Chiellini, che alza in automatico il rendimento difensivo dei compagni indipendentemente da quale sia la strategia scelta dall’allenatore.
Un calciatore così esperto e completo, un leader come si usa ormai dire un po’ troppo spesso per un po’ troppa gente, che riesce ad influenzare inevitabilmente anche il contesto; qualunque siano il modulo, l’allenatore, le tattiche, i compiti dei singoli difensori e più in generale del reparto difensivo. Non è un caso che Chiellini sia l’unico calciatore in corsa per lo storico record della vittoria di nove campionati di Serie A consecutivi (l’unico altro potenziale “concorrente”, Barzagli, si è ritirato a maggio scorso).
Durante il ciclo vincente della Juventus dell’ultimo decennio si è parlato sempre di una differenza tracciata dai singoli calciatori. Ma troppo spesso, mentre parlavamo dei vari Pirlo, Pogba, Tévez, Dybala, Higuaín e persino Cristiano Ronaldo, ci siamo dimenticati di rendere i dovuti meriti a Chiellini – che paradossalmente è stato l’unico ad essere sempre fondamentale, non solo per esperienza maturata e carattere ma anche per rendimento.
«Quando sono arrivato qui mi sono innamorato di questa maglia e il sentimento è cresciuto negli anni. Dopo Calciopoli si è rafforzato, anche perché vivere certe situazioni non ti lascia indifferente».
Giorgio Chiellini
Certo, sappiamo che sono i difensori in senso lato a dover scontare questo crudele destino di oblio mediatico e critico (basti guardare il povero Van Dijk, che in una stagione letteralmente perfetta con 0 dribbling subiti e una Champions vinta non è stato ritenuto degno del massimo riconoscimento individuale), ma dobbiamo renderci conto che Chiellini è stato il primo e più importante rappresentante del miglior ciclo bianconero della storia.
Tutte le versioni della Juventus che si sono susseguite in questi anni sono state squadre di carattere, soprattutto negli anni di Allegri: squadre con un’autostima incredibile, in grado di capire e ribaltare le partite anche nei momenti psicologicamente più difficili. Insomma, squadre che ragionavano con la testa del loro numero 3.
E in assenza di Chiellini la Juve era già stata un po’ meno cannibale, un po’ meno feroce, un po’ meno Juventus. Due esempi, negli anni, sono le due eliminazioni dalla Champions tra il 2015 e il 2016. La prima, nella finale contro il Barcellona, marchiata a fuoco da quel gol di Rakitić dopo pochi secondi: un’azione in cui i blaugrana avevano avuto vita – e possesso – troppo facile tra le maglie bianconere. La seconda, a Monaco contro il Bayern, tristemente ricordata dal pubblico juventino per l’errore di Evra allo scoccare dell’ultimo minuto dei tempi regolamentari.
Due eliminazioni dolorose, molto diverse tra loro, ma entrambe legate a leggerezze evitabili. Leggerezze che senza Chiellini in campo, come a Berlino e come a Monaco, la Juventus commette con maggiore frequenza: qualcosa che va oltre le statistiche e il semplice aspetto tecnico-tattico.
Non che l’aspetto tecnico-tattico, poi, sia poco rilevante. Chiellini è arrivato nel grande calcio come un terzino vecchia scuola di cui immediatamente si sono intraviste le capacità in marcatura. Negli anni il ragazzo di Pisa si è quindi imposto come un difensore centrale quasi anacronistico, in un calcio sempre più modellato su qualità tecniche di spessore anche nei reparti arretrati. Ecco perché il centrale bianconero, italianissimo e quinta colonna di una Juventus vincente perché tricolore, a differenza di altri suoi compagni è stimato anche da molti che non parteggiano per la Vecchia Signora.
In primis per il comportamento e le dichiarazioni fuori dal campo sempre misurate e mai sbruffone, e anche per l’atteggiamento nel rettangolo verde ruvido ma non sleale; ma soprattutto perché è l’ultimo figlio di una visione del gioco ormai superata e che, nel momento stesso in cui viene apparentemente superata, ci fa aggrappare a Chiellini quasi in un istinto conservatore. Un marcatore senza mezzi termini, fisicamente possente e ruvido, (quasi) mai elegante e (quasi) sempre efficace: nell’era in cui crollano tutte le certezze un punto fermo, lo stereotipo che tutti abbiamo del difensore fin dall’alba dei tempi.
«Giorgio Chiellini. Come può uno scoglio arginare il mare: col punto interrogativo è Lucio Battisti, senza è Giorgio Chiellini».
Sandro Veronesi
Ma col passare degli anni, abituatosi a giocare in squadre dominanti, Chiellini ha sviluppato anche abilità e personalità non comuni nella gestione del possesso, migliorando secondo i canoni richiesti dalle filosofie contemporanee. È indiscusso che con i piedi non sarà mai al livello di Piquè o dello stesso Bonucci – come è chiaro che questi in marcatura non si avvicineranno mai alle doti del 3 bianconero – ma la progressiva crescita lo ha portato ad essere adatto a qualsiasi tipo di compagno e di sistema, e anche a variare lo stile di gioco in base alle partite o ai vari momenti delle stesse.
Potrebbe non bastare, certo, ma il ritorno di Chiellini sarà fondamentale nella seconda parte della stagione bianconera; anche per quanto riguarda le voci sui mal di pancia interni allo spogliatoio che, a ben vedere, potrebbero pure essere la causa delle prestazioni in campo, poco brillanti e ancor meno grintose. Il rientro del capitano bianconero inoltre rappresenta un recupero cruciale anche in ottica Nazionale: sarebbe quantomeno ingeneroso che quella tremenda eliminazione, contro la Svezia, segni l’ultimo capitolo della carriera internazionale di un simile giocatore.
E allora chissà che l’Europeo 2020 non possa diventare l’Europeo di Chiellini, sperando che la condizione fisica lo accompagni in crescendo nelle settimane che seguiranno. Anche Mancini avrà una ritrovata certezza su cui contare, perché possiamo essere calcisticamente progrediti e progressisti quanto vogliamo ma avere uno come Giorgio Chiellini, là dietro, farà sempre tutta la differenza del mondo.
A inizio 1985 Juventus e Liverpool, nella neve di Torino, si sfidarono per la Supercoppa europea: circa quattro mesi dopo ci sarebbe stato il duello ben più noto, nella tragedia dell'Heysel.