Graziano Missud
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Nell’immaginario collettivo son visti come giganti biondi dal fisico statuario, con la cui forza potrebbero riuscire a sollevare il mondo; inevitabilmente anche lo sport vede i tedeschi così. Il calcio non fa nessuna eccezione: Briegel, Brehme, Kahn, Klinsmann, Neuer, Voller e via dicendo… Tra tutti loro, però, un piccoletto ha dettato legge nella retroguardia tedesca degli ultimi lustri e a giugno appenderà le scarpe al chiodo: Philipp Lahm si ritira. Centosettanta centimetri conditi da poca massa muscolare hanno messo in difficoltà gente come Zinedine Zidane, Thierry Henry, Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, portando in alto lo stendardo della squadra della propria città: il Bayern Monaco. Tantissimi calciatori storici stanno chiudendo in questi mesi la loro carriera dopo mille battaglie, ma il ritiro di Lahm ha qualcosa di unico. Il capitano bavarese, a 33 anni e con un contachilometri sulla tibia che farebbe invidia a una datata Volkswagen, sta benissimo. Nessun acciacco, nessun turn-over, nessun problema con dirigenza e allenatore – il nostro Carletto Ancelotti lo ammira e non discute la sua leadership – domina la fascia senza problemi e non soffre il ricambio generazionale. Ormai, però, ha deciso: vuole lasciare Monaco di Baviera al top della forma fisica e mentale; una considerazione onorevole per chi ha sempre giocato al meglio ogni singola partita, onorando sempre la maglia con cui ha militato, una scelta – forse – d’altri tempi. Ma come è diventato il simbolo del Bayern questo tedesco atipico?
Nato calcisticamente nel Munchen Gern ma cresciuto nel Bayer Monaco, Philipp si fa notare nel panorama calcistico giovanile di Germania conquistando per due volte l’AJunior Bundesliga (una da capitano) e pone alla cronaca una domanda sulle sue prestazioni: in che ruolo gioca precisamente Lahm? Terzino, mezzala, centrocampista di rottura, regista, difensore centrale? Gioca bene ovunque, è un predestinato.
Nel 2003 viene promosso in prima squadra, a soli 17 anni, ma la concorrenza spietata in quel Bayern allenato da Ottman Hitzfeld lo porta per un breve periodo lontano da casa, direzione Stoccarda; per inciso sulla fascia destra si alternavano Lizarazu e Sagnol, non proprio due novellini. A Stoccarda passa a sinistra e gioca per due anni sgaloppando per la tundra, esordendo in Champions League e pensando solo al suo ritorno in “terra natia”: l’esilio dura solo due anni e il ritorno a Monaco di Baviera è finalmente arrivato. Lo colpisce però un infortunio che lo terrà lontano per mesi. A Monaco diventa un normal one, non certo una superstar. È l’uomo giusto al posto giusto, un porto sicuro al momento del bisogno. Infortunato il terzino destro? Philipp! Squalificato il mediano di rottura? Philipp! Passaggio alla difesa a tre, con avanzamento del terzino a mezza ala? Philipp! Si devono battere i calci d’angolo? Philipp! Devo alzare una coppa internazionale? Philipp! Diventa l’emblema dei successi bavaresi, sempre presente, con classe e determinazione. La carriera al Bayern è un susseguirsi di gioie, successi, palcoscenici internazionali calcati da capitano indiscusso e qualche dolore per forgiare il carattere – si deve citare la sconfitta in finale di Champions League ai rigori in casa (Allianz Arena) contro il Chelsea di Di Matteo.
Ma cosa lascia Lahm al calcio tedesco e mondiale dal 2001 ad oggi? Una cosa su tutte: la professionalità. Da capitano del club d’appartenenza e della nazionale tedesca, il tuttofare bavarese ha saputo dimostrare che la dedizione al duro lavoro paga sempre le aspettative. La dimostrazione di questa affermazione è sicuramente il suo palmares; in un calcio cambiato dall’avvento delle superstar patinate, un terzino vecchio stampo ha saputo collezionare ben otto Bundesliga, una Champions League, una Supercoppa Europea, un Campionato del Mondo per Club, sette Coppe di Germania, tre Supercoppe di Germania e una Coppa di Lega tedesca, non dimenticando una Coppa del Mondo con la nazionale tedesca nel 2014 in Brasile. 113 presenze in nazionale: numero che lo piazza al quarto posto nell’all time tedesca. Numeri spaziali per un terrestre che con semplicità ha dominato la fase difensiva del nuovo millennio e – in fondo – ha reso a tutti noi molto più simpatici i tedeschi, almeno sul rettangolo di gioco. Dopo la sua ultima partita in Champions, al Santiago Bernabeu contro i Galacticos lo scorso 18 marzo, il profilo ufficiale dal Bayern Monaco sui social network ha postato semplicemente Danke, un ringraziamento sincero per chi ha conquistato il trofeo più importante della carriera: rispetto ed affetto di società, nazione e tifosi.