Calcio
17 Marzo 2020

Le Figurine Panini hanno sconfitto il tempo

Un mito, quella della figurina, capace di attraversare le generazioni.

Al pomeriggio, tornato da scuola, un bel pomeriggio di fine aprile, denso e tenero d’azzurro, ero infilato di corsa alla prima edicola e avevo comperato una busta da lettere, di quelle giallo ocra, severe, perché un po’ ingenuamente ritenevo di fare maggior figura nei confronti della scrupolosa segretaria o del garbato addetto alla posta di turno.

 

Dentro alla busta, elencavo con assoluta perizia cronologica i pezzi del mosaico mancanti. Nell’occasione precisamente sette; sette per me introvabili figurine nonostante un inverno di cantilena sull’unico dirimente spartito del “celo mancaattorniato da babeliche pile di doppioni. Nell’ordine risultavano vuote la cornice numero 101 di Maurizio Restelli della Fiorentina, la 177 di Pietro Ghedin della Lazio, la 262 di Renato Zaccarelli del Torino, la 355 di Venerio Pari del Foggia, la 507 di Leopoldo Fabris del Varese, poi la 543 e la 581, rispettivamente le foto di squadra del Barletta e del Rende, società a cavallo fra la serie C1 e la serie C2, ormai club esotici o inesistenti.

 

Esternamente alla busta, sul lato destro, previa “Spettabile Ditta”, con un appuntito maiuscolo, calcai bene l’indirizzo esatto riportato sul retro dell’album in caso di richieste: Viale Emilio Po 380, Modena. La mattina seguente andai frettolosamente a imbucarla nelle vecchie, solenni, cassettone rosse della posta appese ai muri, stando bene attento a infilare la mia preziosa missiva nella fessura giusta, quella con incisa sul ferretto basculante la dicitura in rilievo: “per tutte le direzioni”.

 

Pietro Ghedin figurina panini
La figurina Panini di Pietro Ghedin, stagione 1978/79

 

Ecco come completai, dopo una quindicina di quaresimali giorni d’attesa, il mio primo album Panini datato 1978/79, quello del campionato del Perugia imbattuto per 30 giornate allenato dagli occhi azzurri di Ilario Castagner e vinto dal Milan (che si cucì la stella sul petto) capitanato dall’ultimo, un pochino triste, Gianni Rivera. Cosa ti aspetti da Modena oltre alle figurine Panini?

 

Dicono ci sia solo nebbia, la nebbia della leggenda del suo canuto patrono, Geminiano, che invocando la grazia divina fece calare su “Mutina” una bruma degna d’Albione e il ferocissimo Attila non si accorse della presenza della città schermata dalla protezione caliginosa calata dal Signore, ingrassando il pregiudizio che il Re degli Unni fosse un maldestro “scoglionato” sanguinario che stava oltrepassando l’Emilia come una polverosa steppa mongola senza far caso alle lastricate strade romane.

 


Sì, MA LE FIGU?


 

Ma intanto laudato si’ Geminiano per l’intercessione al miracolo, dichiarato Santo, e traslato nei marmi, lucidi e corposi, del Duomo nel 1106 alla presenza di Papa Pasquale II e della Contessa Matilde di Canossa. Sì ma le figurine Panini? Riprendiamoci per un attimo quella nebbia, aggiungiamoci una piazza adagiata ai piedi del suddetto Duomo, un via vai di biciclette, il rumore canagliesco di autobus verdognoli, di passi sull’asfalto bagnato, cappotti e cappelli, lampioni ad arco ancora accesi in una mattina fresca d’autunno, bar borbottanti dove gli gnocchi fritti facevano coppia con schiumosi cappuccini e quella torre, il faro di Modena, “la Ghirlandina” annuiva al 1955.

 

Il “boom” economico non era iniziato ma delle avvisaglie c’erano state e allora qualche rischio si poteva pure prenderlo. E così, in tutto questo bailamme, spuntò un chiosco, uno di quei chioschi tipici italiani con la tettoia da circo, la finestrella per l’esercente munita di piatto d’appoggio in resina, e tutt’intorno un assedio di quotidiani e riviste di ogni genere.

In principio, le figurine Panini non erano altro che una modesta edicola locata in Piazza del Duomo a Modena.

Oh, non proprio tutte, con la dovuta precauzione quelle più “hard” – malviste da ombrosi ispettori della “buoncostume” – erano da tenere rigorosamente sotto il banco nell’attesa che insospettabili padri di famiglia le comprassero ansanti infilandole dentro l’Unità; o aspettando viziosi sacerdoti che, rapidi come giaguari, se le facevano scivolare dentro la tonaca chiedendo Famiglia Cristiana e il “solito”, alla stregua di quando si va in una trattoria conosciuta e si ordina il vino ormai noto al consueto zelante cameriere.

 

Joachim Löw figurina
La figurina Panini di Joachim Löw, con tatto di toccata (o goffo tentativo di nascondimento) del baffo, stagione 1981/82

 

In principio, le figurine Panini non erano altro che una modesta edicola locata in Piazza del Duomo a Modena. Gli otto fratelli Panini, distribuiti imparzialmente fra maschi e femmine, acquistarono la rivendita ma nonostante un discreto andamento degli incassi il numero delle bocche da sfamare risultavano troppe e serviva un’altra idea, qualcosa di diverso, di innovativo, audace e sorprendente, qualcosa per cui i bambini e i ragazzi potessero andar pazzi e costringere i genitori ad assecondarli nel desiderio. L’idea la ebbe una notte Giuseppe Panini.

 

Un’idea a dir poco meravigliosa: le figurine dei calciatori. Egli fondò un’agenzia di distribuzione andando ad impattare con chi quel ramo lo aveva già sperimentato da un po’ di anni, l’editrice Nannina che dal 1947 pubblicava alla somma di lire 30 un giornalino per piccoli appassionati di sport e cinema, allegandovi un inserto contenente le figurine di attori del cinema e degli atleti in voga nel periodo; da Tazio Nuvolari al Grande Torino, a, naturalmente, Coppi e Bartali.

 

Per quei ragazzini in pantaloni corti, che sognavano le imprese dei loro campioni preferiti ascoltando forsennate radiocronache in affollatissimi bar, poter infilarsi in tasca i “santini” di Valentino Mazzola o di Giuseppe Meazza fu un’epifania straordinaria, un trip con qualche annetto di anticipo rispetto ai “riff” di Jimi Hendrix. I fratelli Panini cominciarono a imbustare migliaia di figurine, le gettavano con un badile contro un muro per mischiarle con cura, dopodiché le raccoglievano dal pavimento e le imbustavano.

 

Figurina Panini Torino
Le figurine Panini del Grande Torino, l’anno della tragedia di Superba (foto da Old School Panini)

 

In breve, quando si accorsero che la faccenda stava avendo un successo inaspettato, si misero in proprio. Nel 1961 le originarie macchine di Viale Po erano pronte alla produzione con quello stile e quella soddisfazione tutta emiliana unita alla certezza di poter arrivare lontano. L’album d’esordio sarà associato alla stagione calcistica 1961/62 con in copertina un Nils Liedholm fresco di ritiro. La prima figurina uscita dalle rotative fu quella di Bruno Bolchi, granitico moro, mediano dell’Atalanta. La collezione inaugurale vendette circa 3 milioni di bustine che divennero 15 l’anno dopo e 30 il successivo.

 

Ma adesso facciamo un passo indietro, doveroso, essenziale. Il 15 gennaio del 1950 al Comunale di Firenze i viola affrontano la Juventus. Al novantesimo il risultato continua ad essere inchiodato sullo 0-0 ma la Fiorentina continua ad attaccare per cercare di trovare la rete del vantaggio. C’è un lancio lungo del difensore Magli verso Egisto Pandolfini, uno dei migliori della Fiorentina; tra lui e la rete c’è solo Carlo Parola che per evitare la segnatura avversaria si esibisce in un colpo divenuto storico grazie alla fotografia di Corrado Bianchi, un ex fotografo di guerra prestato al calcio.

 

Si scrive la leggenda: il gesto stilisticamente perfetto, la gamba sinistra piegata ad accompagnare il movimento, la destra tesa a mostrare forza e il pallone colpito di collo. Nasce la rovesciata di Parola, l’ideale di massima bellezza calcistica, il sogno di ogni aspirante calciatore. Uno spettacolo che dal 1965 Panini tramuterà in quadretto devozionale giacché, guarda caso, sulle tribune dello stadio c’era proprio lui, Giuseppe Panini, che senza pensarci troppo acquistò subito i diritti di quella foto facendo diventare la rovesciata di Parola il simbolo delle sue raccolte.

 

Figurina Panini Milan
Il Milan targato stagione 91/92, una delle squadre più forti di sempre (foto da Old School Panini)

 

Nel frattempo le “figu” hanno fatto scoppiare un autentico fenomeno di cultura popolare, al pari del Festival di Sanremo, o del Giro d’Italia; un fenomeno dal sapore di coccoina fino all’autentica rivoluzione del 1972, quando finalmente arrivarono le figurine adesive moderne che la celebre macchina automatica “Fifimatic” imbustava senza soluzione di continuità, espellendo le scatole già confezionate contenenti le prodigiose bustine.

 

Se devo aprire il vaso dei miei ricordi targati “Panini”, l’album a cui mi sento più legato resterà quello corrisposto al“Mundial” spagnolo del 1982, un torneo fra l’altro allargato da 16 a 24 nazionali e dove con un impegno certosino e un discreto sforzo economico, soprattutto congiunto alla sempre bonaria economia dei nonni, circumnavigai alla stregua di un novello Vasco da Gama ogni edicola o rivendita della mia città e zone limitrofe, giungendo alla seconda fase del Mondiale con solo un tris di figurine mancanti, esattamente la 131 del “nostro” baffuto diciottenne Beppe Bergomi, la 145 dell’austriaco Friedrich Koncilia e la 131 del “guerrigliero” cileno Elias Figueroa.

 

Stavo per affrancare e spedire la busta in quel di Modena quando al termine di una doppia scampanellata si presentò trafelato in casa un amico con il quale mi dedicavo più o meno quotidianamente alla scambio. Chissà per quale atipica congiunzione astrale, aveva addirittura pescato le mie tre bramate “figu” in un’unica bustina. Fu una gioia incontenibile concludere quella collezione. Si rivelerà la collezione dell’Italia campione del Mondo.

 

Italia 82 figurine Panini
L’immancabile doppia pagina Panini per le figurine dell’Italia Campione del Mondo nell’82

 


CONTRO LO SPIRITO DEL TEMPO.

IL RITUALE DELLE FIGURINE PANINI


 

Dire cosa rappresentano le figurine è materia di studio, complesso se vogliamo. Nella loro capacità di resistere alla crescente tecnologia c’è indubbiamente qualcosa di stupefacente e poetico. Nell’epoca dell’immediatezza delle immagini la figurina è teatro, l’esperienza fisica pronta a battersi da coraggioso soldato di ventura contro la piovra virtuale, la carta contro il digitale. E le armi a sua disposizione sono immutate nel tempo: l’effetto sorpresa, il rumore delicato dello strappo, l’odore inconfondibile e la spensieratezza della condivisione con gli altri collezionisti.

 

Ci sono state figurine che hanno contrassegnato la nostra vita, nomi e cognomi al limite del circense, diventate famose al pari di un quadro di Caravaggio o di un affresco di Giotto, su tutte la figurina per eccellenza entrata di diritto nel patrimonio di conoscenze di massa: Pier Luigi Pizzaballa detto “Pisabali”, portiere dell’Atalanta, uno che da ragazzo lavorava come garzone in una drogheria a Verdello. Non fosse che un pretino di campagna, un tipo alla Don Camillo per intenderci, si accorse delle sue doti da atleta, portandolo in giro su una moto Guzzi a 4 marce verso ogni provino dei dintorni finché non lo presero a difendere i pali della Dea.

 

Solo che Pizzaballa non c’era il giorno delle foto alla squadra a causa di un infortunio e la sua figurina andò in stampa più tardi, diventando icona introvabile, la più ricercata, al punto che ancora oggi il suo valore di mercato si aggira intorno ai 100 euro. E con Pizzaballa vanno menzionati De Marchi e Zoppeletto del mitico Lanerossi Vicenza, Bui e Franzini del Bologna, Scesa e Rosato del Torino, Faustino Goffi del Padova (venduta a 121 euro su Ebay e ritenuta ormai esaurita), tutti protagonisti di errori o scambi di nominativi che produssero una gran confusione ma che di fatto, a cose ristabilite, diventarono ricercatissimi “gronchi rosa”.

 

Sono solo figurine. “Solo” è puro elogio della follia Erasmiana.

 

La lista non si esaurisce: Antonello Cuccureddu nella Juventus (73-74), il portiere del Cesena Lamberto Boranga (75/76), Pietro Battara della Sampdoria (68/69), il terzino sinistro del Livorno Umberto Depetrini (67/68), o l’accoppiata del Cagliari Riva-Rizzo (63/64). Sembra numismatica di alto livello, o vini di qualità incommensurabile, e invece sono solo figurine. “Solo” è puro elogio della follia Erasmiana.

 

Oggi la Panini è una ditta tornata totalmente italiana dopo essere passata di proprietà negli anni ’90 a imprese inglesi e americane. Ci lavorano 1200 dipendenti, hanno 12 filiali e un numero enorme di licenziatari. Durante gli ultimi Mondiali in Russia le stime hanno riportato un’impacchettatura di circa 12 milioni di bustine al giorno. Tuttavia, nonostante tracce di modernità fisiologiche, esiste ancora il reparto per incalliti collezionisti e appassionati: il “Collectibles Customer Service Online”, naturalmente sempre in Viale Emilio Po, dove fra scaffali e scalette se ne stanno nascosti i miti numerati e sorridenti di ogni gioventù, pronti a partire per allietare la nostra infinita ricerca del tempo perduto.

 

 

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