E la paura dei vincitori.
Abbiamo da poco superato la mezzora di Germania-Ungheria quando una pioggia sferzante e selvaggia si abbatte sull’Allianz Arena, costringendo i “tifosi” tedeschi a rifugiarsi nelle vecchie e care mantelline, per l’occasione dipinte d’arcobaleno. In una sequenza che neanche Quentin Tarantino avrebbe saputo ideare, le telecamere dell’UEFA prima riprendono la grande fuga dei tedeschi spaventati dall’ira di Thor, poi l’entusiasmo incontenibile dei tifosi ungheresi che, noncuranti dell’acqua, cantano nudi, sporchi ma felici. È un’immagine di una potenza inaudita. Da una parte il Paese più europeo d’Europa, abbattuto, stanco, timoroso e scontento. Dall’altra quello meno europeo d’Europa.
Tutto questo all’indomani di una super-polemica scoppiata in seguito al raggelante moralismo – e spirito bacchettone – della Germania. Meglio, del sindaco bavarese, che voleva illuminare l’esterno dell’impianto con i colori arcobaleno, definendo la scelta come “un segno visibile di solidarietà con la comunità LGBT in Ungheria”. Quest’ultima qualche giorno fa si vedeva infliggere un duro colpo dal retrogrado e medievista governo Orban: il passaggio della legge contro la “promozione dell’omosessualità”, che vieta ai minori di 18 anni film e libri a contenuto LGBT. L’UEFA, dal canto suo, aveva risposto che “a ragione dei propri statuti di organizzazione religiosamente e politicamente neutrale ed alla luce del contesto politico – mirato in reazione ad una decisione del Parlamento ungherese – l’Uefa deve respingere la richiesta”. Lo scoppio della Terza Guerra Mondiale avrebbe fatto meno scalpore.
La partita, in fondo, non era ancora iniziata. Dopo 11’ Adam Szalai portava in vantaggio gli ospiti – che per il calore dimostrato dal suo popolo sembrava giocasse in casa. Un sogno ad occhi aperti che tutti sapevamo non potesse durare. E invece passavano i minuti, i secondi, cadeva tanta pioggia e cadevano, in area ungherese, altrettanti palloni. Fedele alla durezza del proprio leader e capo-popolo, il gentleman Marco Rossi, l’Ungheria continuava imperterrita a resistere agli attacchi dei tedeschi, forti del proprio talento ma spenti come la stella che va a morire in cielo.
Fino al 66’, quando Gulacsi, il portiere che gioca nel Lipsia e che ha spesso rimproverato Orban sulle questioni LGBT, manco a farlo apposta, bucava clamorosamente l’intervento aereo, regalando prima ad Hummels poi ad Havertz, giocatore senz’anima alcuna, il facile tap-in del pareggio. La pioggia aveva già dato. Altra, leggera, ne sarebbe caduta. Ma i conti qui sembravano già fatti. Non per l’Ungheria, l’11 più pazzo nella storia degli europei – altro che total voetbal. Perché alla prima azione dopo il pareggio dei tedeschi, al minuto 68, il sogno dell’1-0 ungherese si trasformava in delirio ad occhi aperti. Andràs Schafer, mister nessuno, si lanciava di testa tra due difensori tedeschi (uno è Sané, letteralmente l’anti-agonismo) e Neuer, anticipandoli tutti e portando nuovamente in vantaggio gli ungheresi. Almeno fino all’84’ perché, ci sembra ovvio, in un calcio così povero di contenuti il vero miracolo, per chi ci crede, era già accaduto due volte. Andava bene così, i vinti avevano già vinto. E ai vincitori non sarebbe rimasta che una grande paura.