Il rifiuto dell'UEFA può portare la Groenlandia in CONCACAF.
Venti di cambiamento sembrano sospingere la più grande isola non continentale del pianeta verso la propria naturale collocazione geografica. La Groenlandia è l’avamposto terrestre più settentrionale della Terra, apparentemente anche il più periferico. Ma la storia, nella sua per nulla improvvisa e straordinaria accelerazione, ha oggi impresso alla contea di proprietà del Regno del Danimarca un’importanza esistenziale.
La Groenlandia è l’ultimo bastione prima dell’Artico. Un Artico che, al netto di tante e vuote dichiarazioni in merito alla lotta al cambiamento climatico, si sta oggi progressivamente ritirando. Molto presto la calotta polare diventerà una delle più importanti rotte marittime del pianeta, nonché un luogo interessato da ingenti investimenti e dalla spartizione delle sue immense e finora nascoste risorse.
Idrocarburi, oro e minerali essenziali nella corsa all’intelligenza artificiale hanno già attirato l’interesse da parte della Russia (che considera l’Artico una sorta di “lago russo”) e specialmente della Cina. Forti di una rinnovata mentalità imperiale, connessa con il ritorno di una nuova Dottrina Monroe, gli Stati Uniti guardano con crescente interesse all’Artico, per evitare che cada in mano ai suoi nemici. La sfida per la Groenlandia, fondamentale bastione di difesa del Nord America, è oggi più che mai essenziale.
Gli Stati Uniti esercitano in realtà da decenni la propria influenza sull’isola danese, consapevoli del disprezzo nutrito dagli inuit groenlandesi nei confronti dell’ex potenza coloniale di Copenaghen. Già occupata durante la seconda guerra mondiale, in funzione anti-tedesca e poi trasformata in base militare al confine con l’Unione Sovietica, l’isola artica è passata apparentemente in secondo piano con la fine della Guerra Fredda. Conseguenza delle vertigini e dell’illusione dell’unipolarismo. Il “ritorno della storia” (mai scomparsa, se non nella dormiente Europa occidentale) ha fatto scaturire la necessità per Washington di tornare a consolidare la propria posizione e i propri interessi in Groenlandia. Tornando a sfoderare il suo ben collaudato soft power.
La Groenlandia si percepisce già da decenni esterna allo spazio economico e culturale europeo, protesa da un punto di vista identitario verso il Nord America, di cui è appendice geografica e frontiera settentrionale. Nonostante la scarsa popolazione e la quasi totale dipendenza dai sussidi provenienti dalla Danimarca, i groenlandesi hanno in effetti deciso tramite referendum di uscire dalla Comunità economica europea nel 1983.
Meno noto è, tuttavia, lo scontro in atto tra la piccola federazione calcistica dell’isola artica e la UEFA.
Alle origini di tale disputa è stata la richiesta da parte della Groenlandia di vedersi riconosciuta la possibilità di disputare partite ufficiali nei confini della propria terra, pur non disponendo delle strutture sportive e delle infrastrutture necessarie secondo la UEFA. Tra le proposte formulate da Kenneth Kleist, presidente della federcalcio groenlandese, la costruzione di un campo da calcio al coperto, con almeno 3000 posti a sedere e la possibilità per gli spettatori di raggiungere lo stadio a piedi dall’aeroporto.
«La Groenlandia non fa parte di alcuna federazione calcistica – ha dichiarato in esclusiva al Manifesto il presidente della Kak Kenneth Kleist. Non possiamo essere ammessi dall’Uefa, poiché i loro requisiti sono troppo elevati per noi, quindi stiamo puntando alla CONCACAF. I requisiti non sono gli stessi, e inoltre il percorso di qualificazione alla Coppa del Mondo risulta più accessibile. Mi aspetto che saremo ammessi come 42° membro della Concacaf, poiché soddisfiamo tutti i criteri e sia la federazione che l’intero paese sono pronti. Ora andiamo a Miami e sono sicuro che insieme troveremo la soluzione. Sono ottimista».
Proponendo, su modello delle Isole Far Oer, di disputare le proprie partite casalinghe fuori dal proprio territorio nazionale (in questo caso, in Canada o negli Stati Uniti), la Groenlandia si è vista “snobbata” dalla UEFA, a dimostrazione di una profonda incomprensione del problema . . .