Il documentario Netflix è insieme inquietante e rivelativo.
Il documentario Netflix “El caso Figo: el fichaje del siglo” (“Il caso Figo: il trasferimento del secolo”) è solo l’ultimo di una sempre più imponente produzione filmica e documentaria sul mondo del calcio. È un fenomeno che non può sorprendere: in un’epoca caratterizzata dall’immagine, filmare il calcio e i suoi protagonisti (dal vivo, dentro gli spogliatoi o a posteriori, ricostruendone il racconto) significa amplificarne infinitamente le possibilità. Il calcio sul grande schermo è come un film al quadrato: spettacolo dello spettacolo.
Nel caso del trasferimento più costoso (all’epoca) della storia del gioco, poi, a maggior ragione: 60 mln di euro è la clausola che Florentino Perez, prossimo e promesso presidente del Real Madrid, pagò al Barcelona per portare nella capitale un calciatore che dell’opposizione alla capitale (la Catalogna e il mes que un club) aveva fatto la propria biografia fino a quel momento.
Il caso Figo è davvero l’icona primordiale del calcio moderno: che sia stato Florentino Perez a inciderne il tratto nella storia, lui che poco più di vent’anni dopo proverà – chissà, forse per noia – a riformare un nuovo calcio superleghista, non è certamente un caso. Perez è a tutti gli effetti il primo grande imprenditore calcistico della storia. Guardare questo documentario è un’esperienza simile a quella provata da Alex nella cinetortura di Arancia Meccanica. Il Figo del 2022 ha uno sguardo furbesco, inquietante e diabolico. Come lui il suo procuratore José Veiga, altra figura chiave e simbolica del nuovo calcio – caratterizzato da Azzeccagarbugli succhiasoldi (il caso del doppio trasferimento farsa a Parma e Juventus di Figo nel ’95 è in questo senso emblematico).
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