La conferenza stampa di Sarri (e Lotito): uno spettacolo surreale.
Ben al di là dei più rosei erotismi della sponda opposta del Tevere, le sventure – e le «sviste», cit. Fabiani – di casa Lazio nell’ultimo anno e mezzo, da quando cioè Maurizio Sarri si è dimesso da allenatore della prima squadra (eravamo a marzo del 2024) ad un mese da una delle più importanti imprese nella storia del club – battere il Bayern Monaco in casa 1-0 negli ottavi di finale di Champions League –, non si contano sulle dita di una mano. Dal “caso falconiere” alle delusioni in campo (due settimi posti di fila, quest’anno perdendo il treno europeo dopo 9 stagioni consecutive sotto le stelle), dai tantissimi proclami (sul fronte Stadio, sul “progetto giovani”) [1] alle tristi realtà di fatto (mercato bloccato, comunicati contraddittori o dai toni epici dopo un pareggio, prese in giro all’allenatore, necessità di vendere: in una parola caos totale), non c’è pace per i tifosi della Lazio.
Ma forse, come nella gravità della tempesta si fa strada, tra le nuvole, uno spiraglio di luce, qualcosa in cui sperare ancora c’è. Più che qualcosa qualcuno: Maurizio Sarri, che ieri sera si è (ri)presentato alla stampa come (nuovo) allenatore del club.
La sua figura è decisamente ingombrante nel contesto desolante che lo ha richiamato al lavoro – dove il richiamo, si badi bene, va inteso nel duplice senso attivo e passivo: Sarri è stato richiamato da Lotito, ma ha lui stesso sentito il richiamo dell’ambiente Lazio, come sottolineato a più riprese anche ieri.
«La Lazialità ti invade. I tifosi oggi giustamente si incazzano (per il blocco relativo al mercato, ndr), ti criticano, ma poi alla fine son lì. Questo significa essere laziali. È uno dei motivi per cui sono tornato in questo ambiente», insieme – ha poi aggiunto – all’affetto umano per il presidente, il direttore sportivo, lo staff, lo chef, tutti coloro che abitano (a) Formello – compreso lui, che prima dormiva praticamente accanto ad Olimpia, l’aquila vittima dell’esibizionismo del falconiere Bernabè.
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Anche dal punto di vista tecnico, di campo (i.e. l’elogio del PSG e la critica al Mondiale per Club), le parole del tecnico toscano sono la solita ventata d’aria fresca, in un mondo – quello calcistico, ma anche quello giornalistico tout court – dove non accade più niente di nuovo, tutti si parlano addosso e confezionano frasi fatte. Sarri può non piacere per toni e modi, spesso burberi e coriacei, ma almeno – viva Dio – in lui arde ancora uno spirito di cose nuove, impreviste, spesso dunque scorrette agli occhi del mondo circostante. Non ha mancato di darne prova anche ieri, rimproverando al presidente Lotito di avergli nascosto la verità sul mercato bloccato.
«Il presidente m’ha ingannato», ha ammesso ridendo. Per poi aggiungere che non avrebbe mai abbandonato la Lazio in un momento di difficoltà, ciò che lo aveva spinto a lasciare il club nel marzo del 2024, per ragioni familiari. «Il calcio non è tutto, purtroppo».
I suoi toni, schietti e propositivi, contrastano decisamente con quelli del senatore, che accanto a lui, tra una smorfia, una risata, una stropicciata d’occhi e un accenno di assopimento, svia con parole farfugliate e folli le opportune domande dei giornalisti. Chi si aspettava un clima da Pyongyang, viste le premesse, è stato parzialmente smentito (menomale). Le premesse c’erano tutte, però. Fabiani a inizio luglio, giustificando il divieto (poi rimosso su pressioni dell’Ordine) di stampa in presenza alla conferenza dell’allenatore, aveva parlato di “idea carina e innovativa” (sic!).
Presentato in pompa magna dall’ufficio stampa Lazio Style, il nuovo studio adibito alle conferenze stampa appare pulito, digitalizzato, immersivo, ma innovativo lo sarebbe solo se fossimo nel 1918. Una data che ho citato non a caso: a questa si è richiamato il patron Lotito parlando di “ente morale”. Lui, dice, ne è fiero custode. Salvo, certo, accordarsi con club (Maccabi Tel Aviv) di uno Stato genocida (Israele) per discutibili partnership.
Nel mezzo, le solite supercazzole, i soliti slalom alle domande più scomode – poche, invero – e le solite strambe risposte, come quando ha citato (come fosse una scusante al mercato bloccato!) i 6 milioni annui spesi per la squadra femminile, al contrario di altri club che non ce l’hanno proprio la sezione rosa – come “il Napoli, che non ha la Lazio femminile”, sic. O come quando, incalzato sulla disastrosa questione economica del club, unico al mondo ad avere il blocco del calciomercato, ha preferito la strategia “simpatia” ad una risposta sensata e rispettosa (sia mai) dei tifosi:
«Questo andrebbe chiamato indice di stupidità, non di liquidità. La fotografia economica per l’indice di liquidità è al 31 marzo, ma al 30 giugno, quando chiude la stagione, la società può averne un’alta».
Che però, curiosamente nel caso della Lazio, sarebbe stata persino peggiore, avendo mancato la squadra di Baroni l’accesso all’Europa. Infine, il momento più alto, in risposta ad Alberto Abbate del Messaggero, che chiedeva a Lotito se si sentisse di chiedere scusa ai tifosi per la situazione attuale: «Io non devo chiedere scusa a nessuno, ho sempre lavorato per far crescere le potenzialità di questa squadra».
Ora, grazie a Sarri e agli oltre 26.000 tifosi per ora abbonati, solo grazie a loro, Lotito può sperare nell’ennesimo miracolo sportivo. Grazie a Sarri, allenatore straordinario anche nell’atteggiamento («si riparte con le mille difficoltà che conosciamo, ma possiamo sfruttarle in maniera positiva, rafforzando il gruppo», ha detto il tecnico toscano); grazie ai tifosi, che nonostante ne chiedano da tempo immemore un passo indietro, non hanno mai smesso di sostenere la squadra. Per loro, l’ente morale è una promessa d’amore, una cosa seria. Non parole al vento, ma vita vissuta. Apparentemente, è così anche per Maurizio Sarri. Per fortuna dei tifosi e, come in uno strano cortocircuito, anche di Claudio Lotito.
[1] Piccolo inciso: la Lazio è la seconda rosa più anziana della Serie A, dopo l’Inter.