Intervista a Daniele Rielli.
Scrittore italiano tra i più bravi e originali in circolazione (qui la sua bibliografia), Daniele Rielli (nato a Bolzano nel 1982) ha portato in Italia un nuovo modo di fare podcast, più americano che europeo: il suo PDR (Podcast di Daniele Rielli) analizza i più disparati temi della contemporaneità (tra scienza, arte, filosofia, politica, in una parola cultura) dando ampio spazio (con una media di quasi due ore a podcast) ad ospiti magari poco noti al grande pubblico (con delle eccezioni di rilievo) ma proprio per questo tanto più interessanti.
Lo abbiamo intervistato su diversi temi: sport e tecnologia, mania per le statistiche, forme di narrazione e giornalismo alternative, infine sull’hockey e la fede per l’hockey a Bolzano (sul cui tema ha realizzato un documentario), sue grandi passioni insieme all’NBA. Lo ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità.
Nel tuo libro Odio (Mondadori, 2020), ora anche nella collana Oscar Bestsellers (Mondadori, 2025), uno dei temi portanti è senza dubbio il rapporto tra l’uomo e la tecnica. Credi che sia in atto, per l’uomo, quindi anche per lo sport, un cambiamento epocale e irreversibile, o è una fase di un processo più ampio? A livello sportivo, avverti anche tu questo cambiamento?
A livello antropologico il problema è complesso e articolato, invece per gli sport che seguo io, ovvero basket e hockey, devo dirti che non vedo effetti negativi riguardo all’implementazione della tecnologia.
La video review la ritengo ottima, specie perché tifo una squadra come l’Hockey Club Bolzano che nel suo campionato, ora anche in Champions League, dà fastidio a tutti perché fa risultati spendendo una frazione di quello che spendono gli altri, e almeno con i video è un po’ più tutelata dagli abusi arbitrali. Ovviamente poi internet, lo streaming e i social hanno fatto esplodere l’importanza e la copertura di tutti gli sport, riducendo il cono d’ombra che in Italia il calcio imponeva a qualsiasi cosa.
Sono molto contento, ad esempio, di poter guardare in streaming da Roma le partite dell’HCB così come mi piace molto svegliarmi al mattino e poter guardare gli highlights notturni di Steph Curry, o sentire i podcast della Bay Area con le ultime sugli Warriors. Certo, poi andare in curva è un’altra cosa, e infatti appena posso ci vado, ma nel mio caso sono 650 chilometri, non è proprio agilissimo.
Sono andato anche in quella degli Warriors, in quel caso i chilometri sono credo più di 10 mila e non è manco veramente una curva. Mi sembra di capire comunque che nel calcio le cose siano più complicate, un po’ per via dei fuorigioco millimetrici che sono spesso piuttosto ridicoli e levano spettacolo alle partite, e un po’ per il fatto che, mi dicono, in Serie A si riesce a interpretare anche il VAR a favore dei club più importanti. Ma questi sono il calcio e l’Italia, più che la tecnologia in sé . . .