Intervista al giovane allenatore romano che sta guidando il Mirandés in Segunda Division.
A Miranda de Ebro non hanno problemi con le vertigini. Tutto quello che arriva tendenzialmente è visto come qualcosa di guadagnato, specie a livello calcistico. La squadra più sorprendente tra Liga e Segunda División infatti viene da lì, da questo paesone di 30mila abitanti, ricco di fabbriche e poco altro.
Il Club Deportivo Mirandés, o semplicemente Mirandés, è infatti secondo nella Serie B spagnola, miglior momento di sempre nella storia quasi centenaria del club, che non è mai stato non solo nella massima categoria del fùtbol professionistico, ma proprio a questa altezza, con la possibilità remota di partecipare ai playoff. Il merito è anche e soprattutto di Alessio Lisci, un allenatore italiano, una strana figura di tecnico che da noi è un perfetto sconosciuto, ma che in Spagna è già stato protagonista di alcuni momenti interessanti, come quando nel campionato 2021-22 venne gettato nella mischia dal Levante e in 23 partite racimolò 28 punti: niente salvezza, ma la sensazione di aver lasciato in qualche modo il segno.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Al Levante in fondo aveva compiuto un percorso normale, forse, per uno spagnolo, ma totalmente inedito per un italiano. Dalle giovanili della Lazio a un tirocinio laggiù, nel secondo club di Valencia: l’idea di lavorare nel calcio come preparatore atletico e la svolta, la panchina, dai ragazzini fino alla prima squadra, classica situazione di traghettatore senza lieto fine, ma facendosi notare.
Il Mirandés lo ha scelto nell’estate del 2023: salvezza sofferta il primo anno, conferma e ora il secondo posto con la miglior difesa della Segunda División. Numeri di alta quota, 10 vittorie in 18 partite, appena 14 gol subiti 34 punti in 20 partite, miglior difesa del campionato e una squadra che nell’ordine è la più giovane del torneo, quella dal minor valore di mercato secondo Transfermarkt e quella con il budget più basso, intorno ai 5 milioni di euro (anche se se la gioca con altri club piccoli, tipo il Racing de Ferrol che però è terz’ultimo).
Siamo andati a trovare Alessio Lisci sul campo, letteralmente, nel contesto non solo di Miranda ma della squadra, in una città dove non si parla d’altro e dove si respira l’atmosfera del futbol de barro, come si dice da queste parti, del pallone che rotola nel fango.
A Miranda fa freddo. Del resto questa cittadina di 30mila abitanti pur senza essere capoluogo di provincia (rimane sotto quella di Burgos, da cui dista circa un’ora in macchina, questo vi dice quanto è grande la Spagna e nello specifico la regione di Castilla y Leon) strategicamente è fondamentale: porta d’entrata da sud verso i Paesi Baschi, è circondata da altre grandi città importanti e diversissime tra loro, da Pamplona a Logroño, da Vitoria-Gasteiz a Bilbao, lontane tutte al massimo un’ora.
Questo anche calcisticamente è importantissimo per quei club che hanno bisogno di prestare giovani talenti in zona: da un lato possono tenerli sotto controllo, dall’altro i calciatori stessi non devono adattarsi a niente. E poi il Mirandés è in Serie B, quindi il livello è ottimo.
Piccolissima parentesi: la Segunda División è un campionato davvero particolare nel panorama delle serie B europee. Ventidue squadre e 42 partite, è vero, quindi è lunghissimo e finisce tardi, anzi è quello che finisce dopo tutti gli altri, a metà giugno compresi i playoff. Ma poi al suo interno troviamo realmente un minestrone con pochi eguali, anche geografici: ci sono le nobili decadute (Saragozza, Malaga), i club yo-yo che fanno su e giù con la Liga (Cadice, Granada), il nord profondo (Oviedo, Sporting Gijòn), le realtà locali peculiari (Eibar, Castellòn), le semi-matricole (Eldense), il caldo delle Canarie (Tenerife), dell’Andalusia (Cordoba) o del valenciano (Elche, Levante) e il freddo dei Pirenei (Huesca), l’umidità della Galizia (Ferrol) e ogni tanto anche le squadre-B, quindi le formazioni giovanili delle big (Barcellona, Villarreal, Athletic Bilbao).
In tutto questo il Mirandés si è costruito una reputazione di club solido, piccolo ma solido, senza nessun grande gruppo alle spalle ma con un presidente, Alfredo de Miguel (in carica dal 2013), che ha un tacito accordo con i club più importanti della zona: “Dateci i vostri migliori giovani talenti in prestito e noi li valorizziamo”.
E ogni estate si ricomincia da zero o quasi. Perché molti di quei giovani poi finiscono in pianta stabile nei rispettivi club, e i soldi che girano al Mirandés sono pochini, non sufficienti sulla carta per costruire una squadra di successo. Salvezze all’ultima giornata, rischi continui, anche una retrocessione in terza serie nel 2017 con ritorno in Segunda solo nel 2019, ma una costante: l’allenatore tendenzialmente non si tocca. Magari restano per poco tempo, come i giocatori, però la fiducia rimane.
L’exploit più recente dei “Jabatos” (i cinghialotti) a tal proposito è stata la semifinale di Coppa del Re nel 2020 con Andoni Iraola, attuale tecnico del Bournemouth, in panchina, e vari giovani di talento in prestito. Sconfitta a testa altissima contro la Real Sociedad, futura vincitrice di quella competizione, pochi giorni prima della chiusura del mondo per Covid. Ancora più clamorosa la scalata in Coppa nel 2012 quando il Mirandés era in terza serie: altra semifinale e sconfitta contro l’Athletic Bilbao.
Ricostruire da zero ogni estate può essere un problema, è vero. Non sempre però chi arriva da fuori è un atomo inconciliabile con il resto del gruppo. Il Mirandés ha anche dei giocatori di proprietà, naturalmente, non moltissimi ma ci sono.
Per il resto i prestiti sono di ragazzi che si conoscono, che magari si sono già sfidati in altre competizioni, magari giovanili, e che faticano meno a trovare un’intesa in campo. Sono i baschi di una delle 3-4 squadre della zona, Athletic-Real Sociedad-Alavés-Osasuna, che in questa stagione per esempio si riassumono in nomi che stanno facendo clamorosamente la differenza: l’attaccante argentino Panichelli (8 gol) e il basco Izeta, il cervello di centrocampo Gorrotxategi o l’esterno destro Rincon.
Miglior difesa con 14 reti subite, lo stadio Anduva come fortino. Uno stadio vecchio stile, ostentato con orgoglio: da lontano, un rettangolone che spicca in un quartiere residenziale di recente costruzione, con una scuola che si trova esattamente davanti a una delle tribune, e dietro campi, solo campi, che portano a una zona industriale e all’uscita dalla città, alla rotonda dove un cartello, letteralmente, indica l’inizio dei Paesi Baschi, che di fatto cominciano dove finisce Miranda de Ebro. Le macchine parcheggiate fuori dallo stadio, quelle dei calciatori, denunciano stipendi decisamente più bassi rispetto a tutti quelli della Segunda Divisiòn.
Anduva è uno stadio quasi sudamericano, più che inglese. La curva dei tifosi locali che è come se saltasse dentro il campo, la tribuna stampa in sostanza è una lunga fila di cabine monoposto separata dai distinti da un plexiglas. Capienza totale, 5759 spettatori, ma che sembrano almeno il doppio nei momenti più caldi.
Qui si allena il Mirandés a volte durante la settimana, esiste anche un centro tecnico costruito solamente nel 2016, ma Alessio Lisci ha bisogno di testare i suoi nel fortino di Anduva: nel suo staff c’è anche un altro italiano, il preparatore dei portieri Gianluca Troilo. Il freddo si sente, sferza nelle giornate di vento, anche se d’estate si soffoca. Vediamo tutti belli imbacuccati, esercizi tecnici e poi ad allenamento finito le sfide tra i giocatori, prove di tecnica in un ambiente molto informale, anche se concentrato. Del resto il Mirandés vola, ha 34 punti dopo 18 giornate e l’obiettivo salvezza è distante 16 punti con la quota più o meno stabile intorno ai 50.
Eccoci con Alessio Lisci, cappottone d’ordinanza, sulle tribune di Anduva. Adoro vedere gli sponsor che circondano l’impianto, che a parte la consueta bevanda americana di cui non si conosce la ricetta sono tutte entità locali, da ristoranti a industrie di Miranda de Ebro.
E anche la prima volta in cui ero venuto qua a vedere una partita, lo spareggio-salvezza della precedente stagione contro l’Amorebieta (1-0), la sensazione di una sorta di ritrovo domenicale della buona borghesia locale, industriali o mandriani che fossero, il vestito buono per una comunità che vede la squadra come fiore all’occhiello, mi aveva reso immediatamente simpatico il Mirandés.
Lisci era già lì e aveva vinto “la sua Champions League” il giorno dopo la finale vera tra Real Madrid e Borussia Dortmund, con un punteggio italianissimo: grande difesa e gol su una mezza ripartenza, errore a centrocampo dell’Amorebieta e break vincente firmato da Gabri Martinez, in prestito dal Braga, suo attuale club. Sarebbe bastato anche il pareggio per rimanere in Segunda, molto meglio vincere.
Difesa a tre, due esterni di gamba, molta attenzione a non prenderne, di gol, visto che comunque qua non è che ci si possa concedere chissà quante licenze e occorre portare a casa il risultato. E Alessio si copre anche per combattere il freddo, che proprio fatica a sopportare, si tira su il bavero della giacca e cominciamo a chiacchierare, con le domande che fluiscono e riguardano soprattutto lui, questo prodotto del calcio spagnolo, di fatto, che però è uno dei nostri, l’accento romano è impossibile da cancellare nonostante sia “sporcato” da una tonalità spagnoleggiante e certe parole che rimangono nella lingua di Cervantes.
Posso chiederti da dove arrivi? Calcisticamente intendo.
Sono laureato in Scienze Motorie, volevo fare il preparatore atletico. Niente Coverciano, sono diventato allenatore qui, a Las Rozas, la “Coverciano spagnola”.
In Italia però sei stato poco.
Un passato da calciatore a livello basso, alcune stagioni nel settore giovanile della Lazio. Il giocatore forse più famoso che ho allenato nella mia carriera lì credo sia stato il portiere Lezzerini, quello ex Fiorentina che adesso è al Brescia.
Di dove sei di preciso?
Romano del centro, ma trasferitosi sulla Cassia. Però ho vissuto tanto alle Isole Tremiti, come Lucio Dalla. Infatti ho fatto il corso per il patentino Uefa-B a Taranto. E ho visto tante partite del Foggia.
Quello di De Zerbi?
Lui, assolutamente. Come giocava, ragazzi, Iemmello e Sarno davanti. Persero solo in finale playoff di Lega Pro contro il Pisa. Cercavo di andare sempre allo Zaccheria quando potevo a vederlo dal vivo.
È un tuo punto di riferimento oggi De Zerbi?
Ne ho avuti tanti durante la carriera, a dire il vero. Tanto oggi si allena più per princìpi che per altro. Di lui mi limito a dire che è un grande allenatore. Però ho avuto il mio periodo zemaniano, nel senso che da giovane mio padre che era un suo grande fan mi faceva vedere un sacco di partite della Lazio o della Roma, e altri. Sarri, Guardiola, cerco di studiarli sempre. Poi naturalmente anche i seguros de vida, Ancelotti e Allegri, quelli che portano sempre a casa il risultato.
Grande difesa la tua, va detto: 14 gol subiti in 19 partite.
A livello difensivo l’Italia è ancora molto avanti rispetto alla concorrenza. Non io, attenzione, ma quando penso al nostro approccio a quella fase del gioco penso sempre che per me è un aspetto molto positivo, qua non la curano come facciamo noi italiani.
E in Spagna come arrivi?
Faccio un tirocinio nel 2011 con il Levante ed entro nelle grazie, diciamo così, di uno dei pesi massimi delle giovanili, Miguel Angel Villafaina. Mi mettono a seguire alcune delle squadre dei ragazzi e da lì inizio una lunga trafila, o gavetta, fino a quando divento l’allenatore della squadra-B del Levante, di fatto la Primavera che però come tutte le squadre-B giocava in campionati professionistici. Comunque ho vissuto anche a Barcellona, sono sempre stato attirato dalla Spagna.
Da lì il salto al Levante dei grandi.
Esattamente, dopo 15 giornate del campionato 2021-22. Sette punti appena, mi chiamano e io ne faccio 28 in 23 partite, con il quinto attacco della Liga in quel periodo (38 gol). Ma non ci salviamo, pazienza. Dopodiché saluto il Levante e il suo centro sportivo che pur essendo a Valencia è in una specie di conca naturale dove fa sempre freddo, incredibile. Io sono un po’ freddoloso, però che sfiga!
Lì eri nella fase zemaniana?
No, avevo un gruppo di giocatori molto creativi (la stella era “El Comandante” José Luis Morales, un trequartista elettrico e completissimo, in difesa anche gli ex “italiani” Caceres e Mustafi, ndr), un pochino “pazzerelli”, e io che dovevo fare? Un allenatore deve saper lavorare con il materiale che ha a disposizione.
E poi il Mirandés e questo exploit inatteso.
Occhio che anche nella passata stagione a metà campionato eravamo circa a metà classifica con 28 punti in 21 partite, poi abbiamo avuto una raffica di infortuni che ci ha costretto a improvvisare molto con uomini e schemi, son dovuto passare alla difesa a 3 con due esterni ma avevo cominciato a 4.
Salvi all’ultima giornata e ora in lotta per i playoff. Si sogna?
No, io resto con i piedi per terra. Certo, quest’estate la squadra dell’anno scorso non solo è stata smembrata, moltissimi erano in prestito, ma i nuovi sono arrivati tutti quasi a inizio campionato. Sembrava una strada in salita e invece abbiamo trovato la quadra da subito. Io comunque ero a conoscenza di tutto questo fin dai primi giorni che sono arrivato, la società lavora così e soprattutto non esonera l’allenatore dopo 2-3 risultati negativi a differenza che altrove. Qua magari un tecnico non rimane tanto, ma non lo cacciano. Questo è molto importante per un allenatore, perché un esonero è davvero una macchia su un curriculum.
Tu ti vedi un giorno ad allenare in Italia? Sarebbe una bella sfida.
Anche lì, avrei bisogno di un progetto chiaro, di un club che dia fiducia all’allenatore e non lo metta sotto pressione se i risultati non arrivano subito.
Stereotipi sul calcio spagnolo rispetto a quello italiano? Tutti veri.
Guarda, per esempio gli allenamenti qua sono molto più ludici, si divertono e lavorano parecchio sulla tecnica, lo vedo con i miei occhi. In Italia so per esperienza diretta che è diverso.
Hai allenato la squadra-B del Levante e poi il Levante. In Italia il concetto delle squadre-B è molto dibattuto, tu come la vedi?
Secondo me sono fondamentali, qua in Spagna è facile prendere i giocatori dalle squadre-B quando c’è bisogno, anche perché sono ragazzi con già delle esperienze importanti in campionati veri e probanti, qualcuno pure in Serie B, il massimo livello dove possono arrivare le squadre-B (Barcellona, Athletic Bilbao, Villarreal, Real Sociedad). Oppure si allenano regolarmente con i grandi durante la settimana, per me ad esempio è normale. In Italia lasciando perdere l’Atalanta, che storicamente è sempre stata un grande vivaio, guarda il lavoro che ha fatto la Juventus, quelli che dalla squadra-B sono arrivati in prima squadra o addirittura in nazionale.
Finisce l’intervista, il freddo continua a picchiare, dal campo Panichelli che ha finito l’allenamento extra individuale è venuto sotto la tribuna a salutare Alessio con il suo accento argentino.
Le voci di mercato su Lisci hanno cominciato a girare in vista della prossima stagione, lui mi dice che amerebbe per gennaio qualche rinforzo italiano dal mercato (nel passato campionato arrivò Nino La Gumina dalla Sampdoria), ma che non sarà facile. Intanto pare che il Valladolid, nella Liga, abbia iniziato a sondare il terreno dopo la cacciata domenica scorsa del tecnico uruguaiano Paulo Pezzolano.
Di sicuro l’impressione che mi ha dato è di un tipo molto preparato, che si è costruito una certa reputazione. Non c’è solo Ancelotti in Spagna, insomma. Anzi, visto l’andazzo l’italiano del momento nel futbol iberico è proprio Alessio Lisci.