Tennis
07 Novembre 2025

Le famiglie di Jannik

Siamo stati ospiti del media day di Nike con Sinner, Cahill e Vagnozzi.

C’è una famiglia che ci aspetta ancora prima di nascere, quella che sboccia dall’amore ereditario di chi ci ha preceduto. È la famiglia in cui impariamo la grammatica della vita, il valore della stabilità: la certezza di un nido sicuro dove tornare sempre, un luogo in cui i giudizi lasciano spazio all’affetto e le pressioni si risolvono in domande banali intorno al focolare; un noi che rinfranca, specialmente, chi si guadagna da vivere nell’individualità più estrema che ci sia.

Per Sinner quel nido ha il contorno nitido e frastagliato delle Drei Zinnen nelle giornate terse d’inverno; quella famiglia ha le mani grandi e operose di papà Hanspeter e le gote rosate di mamma Siglinde. A Sesto, magari protetto nel rifugio casalingo Talschlusshütte, Sinner torna Jannik e la vita scorre al ritmo lento e silenzio delle montagne, così lontano dagli affanni supersonici di un circuito professionistico in eterno e forsennato movimento.

Poi c’è invece una famiglia che ci scegliamo. Perché crescere aiuta a capire che il sangue non basta, e che spesso non ci segue. Se la prima famiglia insegna a camminare, la seconda insegna a non smettere di farlo. È un vincolo elettivo che cerchiamo nell’altrove per ritrovare quelle stesse sensazioni di fiducia e serenità che le famiglie assicurano. Honoré de Balzac scriveva ne ‘La Comédie Humaine’ che la famiglia è un paese che ci portiamo dentro, ed è proprio la volontà di esternalizzare questa proiezione interiore che ci avvicina a persone che possano rappresentare una nuova famiglia.

A vederli seduti insieme al Nike Store di Torino, Jannik al centro, Simone alla sua destra e Darren alla sua sinistra, mentre scambiano sorrisi complici che dicono molto più di ciò che mostrano, sembra chiaro che Sinner la sua altra famiglia l’abbia scelta tra febbraio e giugno 2022, quando ha rivoluzionato il suo team.

All’epoca Sinner era ancora un progetto. Un talentuoso ragazzo accerchiato da aspettative e pressioni che, nel momento in cui decise di interrompere il sodalizio giovanile con Riccardo Piatti, conobbe, suo malgrado, la malsana abitudine del nostro Paese di criticare ogni sua scelta, quasi come se il sentimento nazionalpopolare avesse sempre diritto all’ultima parola in merito a Jannik Sinner. E invece, come sarebbe poi accaduto anche in futuro, la sua tenace convinzione nelle decisioni lo ha trasformato da progetto a campione.



Simone Vagnozzi è la terra, la casa. L’uomo che ha saputo decifrare l’urgenza di Jannik di essere protetto per rimanere se stesso, facendolo lavorare nella discrezione del silenzio. In queste condizioni il miglioramento continuo, per e con Sinner, ha assunto i tratti di una missione etica. È lui l’anima tecnica di Jannik, l’allenatore di campo che vaglia soluzioni tennistiche e vive una quotidianità fatta di lavoro, ambizioni e ripetizione. Una figura quasi fraterna che indossa i suoi stessi abiti e con il quale condivide obiettivi e aspirazioni: “non ho mai dovuto spingerlo a fare niente, è quasi sempre arrivato tutto da lui”.

Se Vagnozzi è la quotidianità che ricorda casa, Jannik è andato a scegliersi un mentore il più lontano possibile. Un viaggio attraverso i continenti che profuma di Oceano Pacifico e spazi immensi. Darren Cahill, australiano di nascita ma cittadino del mondo, ha gli occhi profondi di chi ti scava dentro e riesce a decifrarti ben prima che tu apra bocca. È la figura paterna del team, l’uomo che ha un arsenale di argomenti per sfoderare sempre la parola giusta, la leva necessaria a scardinare le difficoltà in ogni momento.

Lo fa attingendo a un’esperienza sconfinata nel circuito, alimentata dalla credibilità indiscutibile della sua traiettoria vincente al fianco di numeri uno come Agassi, Hewitt, Halep. Una leadership sussurrata, ma un riferimento per chiunque orbiti intorno al pianeta Sinner. Le sue dichiarazioni non sono mai banali, e la statura è quella di un uomo misurato che parla solo per trasferire valore, mai tanto per farlo. Quando gli si chiede di dare un consiglio ai ragazzini che sono davanti a lui in adorazione di Jannik, con voce accomodante dichiara:

Sorridere. Ragazzi, dovete divertirvi nel fare ciò che vi piace. Non dimenticatelo”.

Un equilibrio unico in cui Vagnozzi conserva e Cahill apre, una miscela esplosiva di successo che nasce da una parola chiave che lo stesso Darren tiene a sottolineare: “Rispetto. Solo questo trasforma un team in una famiglia, ognuno di noi ha totale rispetto di ciò che fa l’altro e lui (Sinner ndr) ha lo stesso rispetto anche per tutti voi che siete qui oggi davanti a lui, per il vostro lavoro. Non crede di essere superiore a nessuno in questa stanza solo perché sa giocare bene a tennis”.

Un rispetto che sottolinea anche Vagnozzi e che rimanda al concetto fondamentale di stima, mentre ricorda il momento in cui Cahill è entrato a fare parte del team: “è arrivato con il suo palmares incredibile eppure si è messo a disposizione di tutti, come noi facciamo gli uni con gli altri. La magia di questo team è che nessuno è più importante dell’altro”.


Ma l’apporto valoriale di una famiglia si misura soprattutto nelle difficoltà. E se è vero che celebriamo ancora una volta una stagione da migliore giocatore al mondo (numero 1 fino almeno alla fine delle Finals di Torino), la conquista di due titoli Slam e il Grand Slam final sweep (raggiungimento della finale di ogni torneo del Grande Slam nello stesso anno solare), lo facciamo in una stagione complicatissima per Jannik, minata da intoppi disciplinari e sportivi che avrebbero annientato la maggior parte dei tennisti in circolazione.

Una stagione partita all’ombra del procedimento pendente sulla ormai famigerata vicenda Clostebol, poi continuata con un dramma sportivo com’è stata la finale sullo Chatrier, persa contro la sua nemesi Carlos Alcaraz, dopo aver sprecato tre match point consecutivi e non aver saputo servire efficacemente per vincere l’incontro nel game successivo – in una delle finali Slam più belle dell’ultima decade.

Battute d’arresto, per usare un eufemismo, che avrebbero dovuto comprensibilmente lasciare scorie, crepe nelle consapevolezze di un ragazzo di 24 anni. Invece, da tutto ciò, Sinner ha saputo ricostruire la sua grandezza, grazie anche a una squadra che l’ha supportato nei periodi più duri con la stella polare del miglioramento, mai della perfezione. Perché come tuona Cahill, improvvisamente serio e perentorio: “Non provate a essere perfetti, nessuno è perfetto. La perfezione non esiste”. Ecco forse la ricetta vincente, aprirsi scoprendo le proprie debolezze, le stesse che ammette anche Sinner quando ci sorprende un po’ dicendo:

“Io non sono uno semplice, non è facile allenarmi.”

E infatti, come in tutte le famiglie, anche le discussioni all’interno del team non mancano. Confronti in cui lo stesso Jannik confessa di essere un po’ testardo a volte, di faticare ad accettare e persino ad ascoltare alcune scelte – “Sbaglio tanto”. Poi però, a mente fredda, quando elabora, capisce che quei contrasti sono momenti di crescita necessari per rendere ancora più solido il rapporto. Pungolati sull’anomala reazione tenuta recentemente da Sinner nei confronti di Darren al Master 1000 di Parigi, quando l’australiano era stato criticato in campo da Jannik per non aver reagito adeguatamente al break realizzato, è lo stesso Cahill a darne spiegazione con disarmante onestà:

“La verità è che è stato un mio errore, ho sbagliato io. È compito dell’allenatore anche leggere i momenti della partita, quando infondere calma, quando spronare ed esultare. In quel momento mi dovevo alzare, aveva ragione Jannik, ho sbagliato”.

La conversazione è piacevole, i sorrisi sono distesi, le frasi si rincorrono tra loro e si completano a vicenda. A pensarli nella stessa casa per qualche settimana, come sono abituati a fare durante i tornei più importanti, sembra quasi di poter sentire il quel senso di calma, pacatezza e sicurezza che la loro complicità suggerisce. Una dote sicuramente radicata nel patrimonio genetico di Jannik, ma alimentata da un ambiente che lo favorisce, lasciandolo così libero di essere concentrato sul suo lavoro, sul suo tennis.

Jannik Sinner team
Dall’evento di ieri nel Nike Store di Torino– diciamo che la naturalezza di Sinner con il selfie stick non è proprio quella con la racchetta… / Foto © Nike

Ora, alle Finals, Jannik avrà il compito piuttosto complesso di provare a difendere la prima posizione mondiale per chiudere nuovamente l’anno da numero 1 al mondo: impresa resa ardua dall’impossibilità di essere padrone del proprio destino, considerato che basteranno tre sole vittorie ad Alcaraz per riprendersi la testa della classifica dopo appena un paio di settimane di rincorsa.

Tuttavia, non sarà certo l’eventuale scambio di posizioni con Carlitos a togliere il sonno a Sinner, condizione umana nella quale l’altoatesino sembra essere maestro: “Riesco a dormire almeno nove ore al giorno e persino a dormire prima delle partite. Quando mi vedete in campo, sono sveglio da circa 40 minuti”. È più l’ombra che aleggia intorno al futuro di Cahill che lo farà agitare prima del riposo. L’australiano, dopo anni a servizio del tennis, pensa di essersi meritato la sua pensione, mentre Jannik e Vagnozzi stanno provando a fargli cambiare idea. Sarebbe per Sinner una perdita dolorosa, più dal punto di vista umano che da quello tennistico.

Perché come diceva Camus, di cui ricorre oggi l’anniversario della nascita: «Non è che uno abbia bisogno di essere amato, ma di essere capito».

Trovare un altro padre putativo come Darren potrebbe essere la prossima sfida di Jannik, forse la più difficile da molto tempo a questa parte. Nel frattempo, per essere fedele alla sua natura e, perché no, per congedarsi dal suo mentore nel miglior modo possibile, non gli resta che puntare all’unica ricetta che questo team ha imparato a conoscere: vincere. In fondo, come dice Jannik: “Quando vinco, condividere è la cosa più bella: la vittoria è un modo per ringraziare chi mi ha aiutato a raggiungerla. Non mi sento mai solo in campo: dietro ogni colpo c’è la mia famiglia e il mio team”.


Immagine di copertina © Nike


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