Altri Sport
18 Febbraio 2025

Tra Sinner e WADA, ha perso il tennis

Uno sport che rischia di compromettere la sua credibilità.

Associare il nome di Jannik alla sua traduzione italiana di “peccatore” è un gioco di parole talmente banale che preferiremmo lasciarlo ai tweet di Nick Kyrgios. Tuttavia, da sabato, il numero 1 al mondo è ascrivibile al registro dei “colpevoli“. Certo non in modo consapevole né diretto, come si è affannata a chiarire la WADA, con eloquenza piuttosto patetica, nel comunicato ufficiale che ha archiviato il caso:

«Il sig. Sinner non aveva intenzione di barare e la sua esposizione al Clostebol non ha fornito alcun beneficio in termini di prestazioni, avvenendo a sua insaputa a causa della negligenza di alcuni membri del suo entourage. Tuttavia, secondo il Codice e in base ai precedenti del Tas, un atleta è ritenuto responsabile della negligenza del proprio entourage».

Inutile ricapitolare la rocambolesca vicenda che coinvolto il tennista altoatesino nel famigerato test antidoping, risultato positivo undici mesi fa a Indian Wells. Più interessante invece sondare le implicazioni di quello che, a tutti gli effetti, ha i caratteri del patteggiamento. La conclusione di un procedimento che pare accontentare tutti, ma non rendere giustizia a nessuno. Lungi da noi esprimere verdetti in merito a una caso giuridico di cui abbiamo letto centinaia di pareri, ma chiarito pochi fatti. Di certo l’ammissione di colpevolezza di Jannik preclude definitivamente l’archiviazione del caso perché il fatto non sussiste e lascia campo aperto a detrattori e complottisti che, a più riprese, si sono mostrati scettici sulla ricostruzione delle circostanze.

I più attenti ricorderanno similitudini con la sentenza che aveva coinvolto Antonio Conte, nell’ampia indagine sul “calcioscommese” per cui il tecnico salentino aveva deciso di patteggiare una squalifica di 3 mesi, salvo poi tornare a più riprese sulla scelta, rimpiangendola amaramente: «Giustizia Sportiva una vergogna, patteggiamento un ricatto. Come ho detto mi sono sempre comportato in maniera corretta, sempre, sempre, nonostante il dolore e la consapevolezza di aver subito delle gravi ingiustizie, gravissime ingiustizie». Irregolarità e ombre destinate a seguire i passi di Sinner a ogni torneo, marcando una carriera che, sfortunatamente, d’ora in avanti non sarà più la stessa.


D’altra parte la WADA ha accettato di scagionare più che Jannik la sua immagine. Lo ha fatto esplicitando a più riprese l’estraneità dei fatti del ragazzo, la cui unica colpa è risultare responsabile oggettivo del suo entourage, in quella che è sembrata più una dichiarazione congiunta che una sentenza. In cambio l’agenzia internazionale ha ottenuto l’agognato scalpo del numero 1 al mondo, accettando una sanzione davvero misera che sembra alimentare ancora più dubbi e che, certamente, mette solide basi per un precedente estremamente pericoloso.

Perché se è vero che Sinner ha saputo giustificare l’origine della contaminazione nel suo corpo, è altrettanto vero che i faldoni della WADA (agenzia mondiale antidoping) sono da sempre per definizione zeppi di giustificazioni, scuse, sillogismi che testimonierebbero l’estraneità ai fatti di chiunque. Immaginate cosa starà pensando il povero Onana, portiere dell’Inter finalista in Champions League, il quale fu condannato a 12 mesi di sospensione (pena ridotta a 9) per un fatto quantomeno singolare:

«Andai a prendere una pillola, che mi aveva consigliato il medico della Nazionale: in quel periodo mia moglie assumeva un medicinale molto simile nell’aspetto, che conservavamo nello stesso posto. Lo assunsi per sbaglio e il giorno stesso fui sottoposto all’antidoping, risultando positivo. Anche la Uefa riconobbe l’involontarietà dell’errore».

Ancora più spinosa è stata la condotta dell’agenzia contro Simona Halep. La romena è stata protagonista di un episodio davvero oscuro che ha prodotto quasi 200 pagine di sentenza, oltre a interi rapporti di consulenza tecnica volti a chiarire, senza successo, la presenza di Roxadustat nel suo sangue. Alla ex numero 1 al mondo è stata inflitta la pena più aspra, nonostante si sia sempre dichiarata innocente e abbia adito tutte le vie giudiziarie per provarlo.

Così la sentenza zoppa e raffazzonata del caso Sinner, invece di archiviare una brutta storia, sembra alimentare speculazioni su difformità di giudizio ingiustificata che sta mettendo a dura prova anche la posizione di molti tennisti, alcuni dei quali ancora piuttosto estranei alla vicenda. Lucidamente il suo recente rivale agli Australian Open, Sascha Zverev, si è espresso sull’ambiguità della scelta di entrambi gli attori in gioco: «Se non è stata colpa sua, allora non dovrebbe ricevere un’interdizione di tre mesi. Ma se la colpa è sua, allora sì. È un po’ strano, l’intero processo, l’intera situazione che va avanti da quasi un anno, è semplicemente strano».

Un malcontento che serpeggia, anche se semplicemente sussurrato, negli spogliatoi di mezzo mondo. Da Doha anche anche Novak Djokovic ha fatto sentire il peso del proprio parere, non tanto come totem di questo sport, quanto più che altro come Presidente della Professional Tennis Players Association. Il serbo, che si è sempre schierato dalla parte di Jannik, ha riflettuto sulla incoerenza di un sistema tossico e preoccupante: «C’è un consenso, o una maggioranza di giocatori con cui ho parlato nello spogliatoio, non solo negli ultimi giorni ma negli ultimi mesi, che non sono contenti del modo in cui è stato gestito questo processo. Ritengono che non sia stato fatto in modo corretto e che ci sia un favoritismo in atto». 



E ancora: «Sembra quasi che se sei un giocatore di alto livello tu possa influenzare il risultato. Swiatek e Sinner sono innocenti, è stato dimostrato fino a prova contraria. Quindi adesso sono innocenti. Sinner è stato sospeso per tre mesi a causa degli errori e della negligenza dei membri del suo team, che stanno attualmente lavorando nel circuito ed è qualcosa che molti giocatori e io troviamo strano. Poi, c’è molta poca uniformità tra i casi. Abbiamo visto sui social media che Simona Halep, Tara Moore e altri giocatori forse meno noti hanno lottato per anni per risolvere il loro caso o che hanno ricevuto squalifiche di anni».

Sulla stessa linea anche Daniil Medvedev, il quale con il suo tono sarcastico ha chiosato: «Magari la Wada potrebbe cominciare una trattativa con i giocatori, così se loro ti vogliono dare due anni di squalifica, tu puoi rispondere che vorresti soltanto un mese. Spero che tutti possano avere lo stesso trattamento, che questo di Sinner rappresenti un precedente e tutti possano fare lo stesso. Altrimenti rischia di diventare una situazione strana». Ma la situazione, oltre che strana, sembra minare persino l’equilibrio mentale dei giocatori, a dir poco terrorizzati di incorrere in passi falsi involontari che potrebbero pregiudicarne la carriera. Per citare la numero 1 al mondo Aryna Sabalenka:

«Se prima non mi importava di lasciare il bicchiere d’acqua e andare in bagno in un ristorante, ora non bevo più dallo stesso bicchiere. Questa cosa ti entra in testa. Se qualcuno ha usato una crema su di te e tu risulti positiva, ti attaccheranno e non ti crederanno o cose del genere. Ho paura del sistema, non vedo come potrei fidarmi»

Un grido di allarme preoccupante che manifesta la totale sfiducia dei giocatori nelle istituzioni a tutela della regolarità dello sport, e che con la vicenda Sinner ha decisamente compromesso anche la credibilità del tennis – che tra visti australiani revocati, giocatori banditi dai tornei più importanti per la loro cittadinanza (e tutt’ora senza bandierine a rappresentarli) e vicende doping gestite malissimo nella forma e nella sostanza, sembra decisamente lontano da una gestione all’altezza della diffusione planetaria che ha ormai raggiunto.

Anche perché, se qui in patria la questione è stata finalmente “risolta”, all’estero le reazioni sono state ben più critiche. L’Équipe ha aperto parlando di “sospensione su misura” e lo stesso ha fatto Die Welt, evidenziando come la squalifica arrivi nel momento migliore possibile della stagione – “come se un giocatore di Premier venisse squalificato in estate”, ha detto il tennista Liam Broady; il Guardian ha rimarcato una giustizia sportiva “a due velocità”, ricordando i casi Halep e Moore e concentrandosi sul ruolo decisivo degli avvocati di Sinner; di “sanzione minima” ha scritto As, mentre il Time ha sollevato criticità sulla sentenza e altri giornali come Sun e Bild sono andati all’attacco frontale – sempre, sottolineiamo, nei confronti del sistema e non di Sinner.


Intanto Sinner si è chiuso nella sua intimità, conscio di aver scelto l’unica via possibile a difesa di una carriera già luccicante, ma ancora tutta da scrivere. Ha dichiarato a mezzo comunicato: «Questa vicenda mi tormentava da quasi un anno e il processo sarebbe potuto durare ancora a lungo. Ho sempre accettato di essere responsabile del mio team e riconosco che le rigide regole della Wada siano una protezione importante per lo sport che amo. Su questa base ho accettato l’offerta della Wada di risolvere il procedimento con una sanzioni di tre mesi».

Una scelta sportivamente inevitabile e non casuale nemmeno nelle tempistiche, frutto di una programmazione precisa almeno quanto i suoi colpi a rimbalzo. Sinner salterà cinque tornei della sua programmazione con un sacrificio di ‘soli’ 1.600 punti a fronte dei 4.250 disponibili. La logica delle classifiche gli consentirà molto probabilmente di conservare il primato al rientro, e soprattutto di non pregiudicare la presenza agli Internazionali e al Roland Garros.

Intanto l’Italia del tennis, ormai da un biennio movimento di riferimento della racchetta (e che strano fa scriverlo) si è già lasciata alle spalle la vicenda, confermando la totale fiducia a Jannik e il supporto incondizionato della Federazione tramite il Presidente Binaghi: «È la prima volta che una vergognosa ingiustizia ci rende felici perché il primo pensiero è per il ragazzo che vede finire un incuboQuesto accordo tra le due parti certifica l’innocenza di Jannik». A fargli eco è il compagno e amico Matteo Berrettini:

«Ho sempre sostenuto Jannik, non smetto di farlo adesso».

Insomma, tutti pronti a sostenere Sinner per un brillante rientro al torneo di Roma che intanto, per gettare ulteriore fumo negli occhi, pare abbia offerto 550 milioni di dollari per acquistare lo slot appartenente al Master 1000 di Madrid ed estendere il torneo alle due settimane tipiche dei Major. Per diventare realmente il quinto Slam dovrebbe incassare, oltre all’assenso di Madrid all’operazione, anche il placet dei quattro grandi, ma intanto l’Italia del tennis inizia a parlare di altro: lasciando, almeno per il momento, Jannik Sinner al silenzio delle sue montagne.

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