Con un pizzico di premonizione, una buona dose di speranza e moltissima convinzione, avevamo rimandato i festeggiamenti per Jannick Sinner; lo avevamo fatto quando, in seguito al primo trionfo nel circuito ATP, eravamo convinti fosse solo il primo lampo di una carriera luminosa. Molto meno prevedibile, tuttavia, era che Sinner avesse la sua prima grande chance appena cinque mesi e cinque tornei dopo – nel frattempo, un’altra vittoria all’ATP 250 di Melbourne.
L’urlo strozzato in gola non ci deve ingannare. Non si tratta del solito caso di tennis italiano che illude ma non vince, motivo per cui non possiamo nemmeno farci sedurre da un risultato che – comunque – nessun azzurro aveva mai centrato sul cemento. L’eredità che ci lasciano i dieci giorni dell’Itaú Open è allora la conferma di avere tra le mani un tennista dalle potenzialità inesplorate. Le qualità, quelle innate, sono da predestinato: non si insegna la centralità mentale che mostra l’altoatesino, non si impara quella dote invidiabile di vincere ogniqualvolta sia possibile farlo.
Un ragazzo nato per vincere: Jannik Sinner. (Francois Nel/Getty Images)
Sembra una banalità, eppure è il complimento migliore che si possa fare a Jannik. Guai a ridimensionare il torneo di Sinner, tentazione forte leggendo i nomi degli avversari sconfitti. Certo, i Big Three avevano dato forfait, e non succedeva nei tornei Master 1000 da sedici anni. Ma c’erano eccome Medvedev, Tsitsipas, Zverev e Rublev, sicuramente più accreditati di Jannik alla vittoria finale.
Non li ha sconfitti Sinner, ma non può essere una sua colpa quella di non averli sfidati. A differenza loro, l’italiano ha colto l’occasione di sfruttare al meglio un tabellone favorevole cedendo solo al fotofinish contro un altro giocatore emergente, il polacco Hubi Hurkacz. È un dato importantissimo: con la revisione delle classifiche ATP a causa della pandemia e il ricambio generazionale ormai alle porte, saranno occasioni sempre più frequenti.
Molti giocatori si faranno sedurre da qualche settimana di riposo in più con la famiglia. I tempi di recupero dagli acciacchi si allungheranno. La consapevolezza di avere cambiali di punti in classifica a lungo termine scoraggerà alcuni pesi massimi a intraprendere trasferte dispendiose, per preparare invece al meglio i tornei più cari. Anche la revisione dei prize money (addirittura dimezzato quello di Miami) inciderà sulla programmazione. Non ci dobbiamo stupire se leggeremo alcuni forfait in questa stagione, ma sapere che Sinner è in grado di farsi trovare sempre pronto è il regalo più dolce che giunge dalle palme di Miami.
Il servizio dell’altoatesino è uno dei colpi con maggiore margine di miglioramento. (Clive Brunskill/Getty Images)
In fondo non siamo certo noi a dirlo, è il circuito ormai ad aver riconosciuto i meriti al ragazzo di San Candido. Lo ha spiegato a suo modo Aleksandr Bublik, modesto tennista russo naturalizzato kazako con la dote invidiabile di non essere mai banale nel gioco, ma anche nelle dichiarazioni. Con grande lucidità, dopo la sconfitta contro Sinner nei quarti del torneo, ha parlato così dell’altoatesino in conferenza stampa:
«In partita l’ho chiamato un paio di volte robot, che non sia umano lo penso davvero, è sorprendente che a 19 anni abbia questa forza mentale che anche giocatori più esperti non hanno.
Rifiuta l’idea della sconfitta. Gli altri giovani sono fisiologicamente altalenanti nei risultati, ma lui è costruito in maniera differente. L’ho detto anche al suo coach, è davvero un grande giocatore».
Ecco, forse dopo la sconfitta contro l’amico Hubi l’investitura di Bublik sembra essere ancora prematura. Non è detto che sia un male, perché aver ritrovato uno Jannik umano ci riconcilia con la sua età e ci rende più empatici verso questo Rosso Belpelo (citando l’illustre Giancarlo Dotto) che a forza di vincere meccanicamente ci stava anche un po’ inquietando. Il cedimento mentale sul 6-5 e servizio, al momento di portare a casa il primo set della finale di Miami, è stato un monito di fragilità ancora sconosciuto. Il blackout di contraccolpo dei cinque giochi successivi ha sancito l’inevitabile e umana immaturità, in partite di questo livello, per un ragazzo di 19 anni.
Eppure, anche in un pomeriggio storto, Sinner è stato capace di rientrare in partita e mettere persino paura a Hurkacz, quasi ripreso nel finale di match. Un andamento simile a quello descritto anche dallo spagnolo Bautista Agut:
«Ho avuto la sensazione di poter vincere, ma alla fine non l’ho fatto. Penso che lui abbia qualcosa di speciale nei momenti difficili».
È una novità per i tennisti della nostra scuola. Spiriti latini, animi tormentati. Sinner invece non spezza racchette, piuttosto il palleggio degli avversari. Nei suoi occhi di ghiaccio non ci sono le fiamme della foga, ma la calma della consapevolezza. I suoi colpi sono solide auto tedesche, affidabili in percorrenza. Il rovescio bimane è già accademia d’élite, il dritto è sicuro, ma potrebbe essere devastante tra qualche stagione.
Sono proprio gli enormi margini di miglioramento che aprono le porte a un futuro elettrizzante. Si dice che nel tennis l’efficacia di un giocatore sia testimoniata dalla sua abilità nel difendere la seconda palla di servizio. Ecco, qui ancora Sinner pecca, eppure spesso vince ugualmente. Anche la gestione tattica dei match è a volte un po’ deficitaria: a fronte di una condotta di gioco ineccepibile, raramente sfoggia un piano B in sostituzione dello scambio ad alta intensità; pensiamo a possibili variazioni in back del suo rovescio, a una maggiore propensione a prendere la rete o alle stesse variazioni di ritmo da fondo o al servizio.
Il rovescio bimane è sicuramente il colpo più impressionante di Sinner, la distribuzione perfetta del corpo sull’impatto è aristocrazia del gioco. (Mike Owen/Getty Images)
Una splendida tela su cui lavorare per coach Riccardo Piatti, che ha già fissato la data dei giudizi tra un paio d’anni. Ecco perché, se quello di Sofia era una punto di partenza, questa finale a Miami rappresenta una tappa: solo quando tutti i pezzi del puzzle saranno a posto potremo giudicare davvero Jannik Sinner e vedere il traguardo.
Intanto il tassametro dei record continua a girare: ormai quelli di precocità non sono nemmeno più rilevanti, e quelli italiani iniziano ad andare stretti.
Secondo azzurro a disputare una finale in un Master 1000, primo a farlo sul cemento. Da oggi sarà numero 22 del mondo e addirittura numero 7 della Race (la classifica che considera solo l’anno solare, valida per la qualificazione al Master – torinese – di fine anno). Piatti ritiene che ci vogliano almeno 150 partite nel circuito per diventare “un giocatore vero”. Certo che a metà del suo cammino, sfondata quota 70, nemmeno i big 3 avevano i numeri dell’italiano: questi erano arrivati a giocare le prime 70 partite leggermente prima di Sinner, ma nessuno aveva i trofei e la classifica di Jannik.
Nel tennis i numeri contano, incuriosiscono e spesso seducono. Allora vale la pena ricordare che l’ultima volta che si è giocato a tennis il giorno di Pasqua, Fabio Fognini a Roccabruna vinceva il Master 1000 di Montecarlo (di cui ancora detiene il titolo). Quel giorno Jannik si aggirava intorno alla posizione 320 della classifica mondiale. E anche se stavolta la colomba non ha fatto l’uovo, non abbiamo paura a decretare la resurrezione del tennis italiano.
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