Torna la miglior espressione del Bar Sport, in cui raccontiamo a modo nostro le notti europee delle italiane.
Questa settimana è sembrata la sceneggiatura di un romanzo distopico. Su media, giornali e siti sportivi ancora teneva banco il dibattito sugli adesivi di Anna Frank con la maglietta della Roma: adesivi che tra l’altro giravano nella Capitale da dieci anni. Ad ogni modo ci hanno offerto molto materiale per una commedia dell’assurdo: il Sor Claudio che recluta qualche giocatore dei suoi, e va con una corona di fiori biancocelesti in sinagoga a farsi paladino del sacro vincolo tra ebraismo e città; la telefonata vilmente registrata che inchioda alle sue colpe il Sor Claudio, al suono di famo sta sceneggiata; la corona di fiori che finisce dunque nel Tevere; Renzi che propone di scendere in campo con la stella di David sulla maglia; Ilaria d’Amico che indossa i panni dell’attrice tragica e va in scena con la vera sceneggiata; la FIGC che impone la lettura di un brano del diario di Anna Frank; i tifosi sugli spalti che non sanno bene come reagire (verrebbe naturale un fischio all’ipocrisia, ma poi prevalgono la consapevolezza di rispettare veramente una tragedia della storia, e forse il timore dell’accusa di antisemitismo, che pesa come un macigno e prevede anche pene severe). Per chiudere in bellezza a Dusseldorf sono apparsi gli stessi adesivi, stavolta però raffiguranti Anna Frank con la maglietta dello Schalke 04, giusto per rinfocolare il tutto. Da qui siamo passati all’ufficioso riconoscimento da parte del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) dei videogiochi come disciplina olimpica: già me lo vedo il futuro oro olimpico di questi eSports, trionfare per aver passato una giovinezza da reietto davanti al computer senza mai essere uscito di casa. Infine una battaglia, e una vittoria, di civiltà: nel nuovo Football Manageri giocatori potranno fare coming out, dichiarando pubblicamente al mondo virtuale di essere omosessuali (e questo pare sarà anche un vantaggio, perché attirerà le attenzioni e i quattrini della comunità LGBT). Per fortuna, dopo tutti questi capitomboli, è tornato il campo a dare i suoi verdetti.
Roma capoccia de sto girone ‘nfame. Sì perché quando l’urna di Nyon ha dato il suo responso i tifosi romanisti già maledicevano la solita cattiva sorte, che a mo’ di nuvoletta dei cartoni animati sempre segue i colori giallorossi. Invece due mesi dopo Di Francesco e i suoi uomini hanno in mano il proprio destino, e basterà una vittoria di fronte al proprio pubblico con il Qarabag per assicurarsi il passaggio del turno (un pareggio potrebbe non essere sufficiente, qualora l’Atletico dovesse vincere entrambe le gare e il Chelsea battere gli azeri). Mattatore della serata è stato un redivivo Faraone, che prima ha portato avanti i giallorossi con un gol da cineteca dopo soli 39 secondi, poi ha replicato sul finire di primo tempo. Un breve cenno sull’italo-egiziano: ancora non si è capito che giocatore è, continuamente frainteso; un ala che assomiglia più a una seconda punta, incapace di saltare l’uomo nell’uno contro uno – vi sfido a trovarmi un dribbling di El Shaarawy -, che tuttavia si sacrifica tanto per la squadra e vive ogni tanto periodi da Re Mida, durante i quali trasforma in oro ogni pallone che tocca e tira fuori dal cilindro traiettorie balistiche degne di un fenomeno. Un calciatore che fa capire quanto la testa in questo sport sia fondamentale, a volte anche più del fisico (e spesso le due cose vanno di pari passo). Che poi i Blues non avevano nemmeno iniziato male, ma il loro era un forcing sì arrembante ma caotico, sintomo di una squadra in confusione e che senza Kantè perde metà della sua efficacia. Questo senza nulla togliere alla prestazione e soprattutto al secondo tempo magistrale della Roma: alla faccia dei detrattori e di chi vedeva Di Francesco pronto a naufragare sulle rive del Tevere, in un ambiente (quello giallorosso, e parliamo qui solo di spogliatoio) che al minimo segnale di rilassamento si scioglie come neve al sole. Un 3-0 che come detto dal mister deve essere “un punto di partenza”. Bene così, forse si è finalmente compreso lo spirito giusto per vincere a Roma, città in cui troppo facilmente dalla sera alla mattina si passa dal paradiso all’inferno.
Juventus rimandata a Febbraio (si spera). Sulla Juve è già stato detto tutto e il contrario di tutto. Si è già analizzata la prova incolore – per usare un eufemismo – e si è già parlato dei presunti deficit strutturali della squadra. Si è affrontato il tema della mentalità, e del possibile appagamento. Si è infine parlato di un mercato rivelatosi oggettivamente poco intelligente, almeno fino ad adesso. In questa sede, anche volendo, potremmo aggiungere poco o nulla. Cosa resta però alla fine? Il risultato. Lasciamo lavorare Allegri: via via che cresceranno condizione fisica e intesa, la squadra (così come ha fatto Higuain) troverà i suoi automatismi. Molti top club – basti pensare a quelli allenati da Carlo Ancelotti, il re di coppe – optano a inizio stagione per una preparazione a lungo termine, in modo da arrivare al picco della condizione e della competitività nella seconda parte dell’anno. Prima si tratta di limitare i danni e di risolvere le partite grazie all’organizzazione e ai grandi giocatori che si hanno in campo, e la Juve in un modo o nell’altro sta riuscendo nell’intento. Per fortuna la situazione del girone lascia ancora sperare per il meglio, e anche qui i bianconeri hanno nelle proprie mani il loro destino: seppure dovesse andare male allo Stadium con il Barca – e crediamo e ci auguriamo che non accada – basterà una vittoria in Grecia per approdare agli ottavi. Nulla da prendere sotto gamba, ma certamente nulla di proibitivo per i vice-campioni d’Europa. Non ci resta che rimandare il giudizio al 2018, sperando che fino ad allora tutto vada liscio e che con l’avanzare della stagione i bianconeri tornino quelli visti l’anno scorso (anche le passate stagioni, tuttavia, la Juve diede il meglio di sé da Gennaio in poi, dunque nulla di cui preoccuparsi eccessivamente).
La bellezza (non) salverà il Napoli. Non si offenderanno i tifosi del Napoli, ma la storia dei partenopei mi riporta alla mente il celebre scambio tra il Marchese del Grillo e Aronne Piperno (a proposito, i laziali hanno anche attaccato adesivi con scritto Romanista Aronne Piperno, questi almeno, se si può dire, a loro modo divertenti). Insomma Alberto Sordi nei panni del Marchese si rivolgeva così all’ebanista: «Aronne tu lavori bene. Bella la boiserie, bello l’armadio, belle le cassapanche, bello, bello, bello tutto! Grazie, adesso te ne poi annà.». Intendiamoci, veder giocare il Napoli è un piacere per gli occhi e per la mente; è il miglior calcio che si sia visto in Italia negli ultimi anni, e qui nel Belpaese – patria del catenaccio, di Gianni Brera e di Nereo Rocco – è ancora più difficile vincere giocando bene. Rischia però di essere una bellezza insostenibile quella del Napoli, e anche fuorviante all’interno dei nostri confini; si perché il campionato italiano non è oggettivamente allenante per altissimi livelli. Bellezza ed efficacia spesso coincidono, e c’è il pericolo di ricavarne la conseguenza che anche quando si alza l’asticella debba necessariamente andare così. In campionato il Napoli ha faticato nei tre scontri diretti affrontati (con la Lazio è andato sotto ed è stato facilitato nella rimonta dalla morìa dei difensori biancocelesti, con la Roma ha dominato per buona parte della gara rischiando tuttavia di terminare in pareggio, con l’Inter è stato bloccato sullo 0-0). Questo non è un problema del Napoli – ci mancherebbe – ma della narrazione, che non può desumere dai 31 punti ottenuti su 33 disponibili l’equazione assoluta bellezza=risultati. E ancora, i record di punti degli ultimi anni in Italia – registrati non a caso sia dal Napoli che dalla Roma e dalla Juve – vogliono dire poco e nulla: sono come i soldi della finanza, non esistono in realtà. Sono punti spesso ottenuti con squadre già senza motivazioni da Dicembre in poi, o con formazioni inadeguate alla categoria che garantiscono un +6 abbastanza agevole tra andata e ritorno. Perché va bene tutto, va bene il percorso di crescita, va bene che in Ucraina si può anche perdere, va bene che per mezz’ora ieri i partenopei hanno dominato il City e va bene la testa altissima, ma nella Coppa che fu dei campioni gli azzurri hanno ottenuto 3 punti su 12, mentre in campionato 31 su 33. Possiamo poi certamente convenire sulla massima che non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Tuttavia quelle della stampa italiana risultano spesso un po’ troppo ardite, e i paragoni continuamente sbandierati Sarri-Sacchi o Sarri-Guardiola sono certamente suggestioni interessanti per i giornalisti, meno per chi interpreta il calcio sulla base dei risultati. Almeno per adesso.