Che meraviglia il mondo libero, signor* car*. Le sue gloriose sorti, le sue piccole e grandi rivoluzioni, le sue storie di emancipazione e riscatto. La sua tolleranza e il suo esempio! I suoi media, sempre così imparziali e deontologicamente irreprensibili su tutte le grandi questioni della nostra epoca: la pandemia, il conflitto russo-ucraino, quello israelo-palestinese. Un crescendo, un climax ascendente di buona informazione in cui via via si diventa sempre più liberi, sempre più plurali, sempre più rispettosi dei fatti e mai, voglia il cielo mai indirizzati da gruppi di potere o interessi politici, come invece accade nelle barbare dittature.
Che meraviglia vivere nel mondo libero, dove la nostra libertà ha il diritto e dovere di essere esercitata, e finisce solo laddove inizia quella altrui (basta che l’altro non sia un abitante di Gaza, ça va sans dire).
E così mentre leggevo le ‘notizie’ dell’ultima settimana, notando che la più interessante era senz’altro quella di un rottweiler lanciatosi nel vuoto dal terzo piano piano per inseguire un gatto e piombato su una ragazza incinta nel centro di Roma – per fortuna lei è viva e il feto sta bene, malgrado il ricovero in codice rosso in ospedale, seppure in molti si siano disperati che, nel soccorso alla donna, nessuno abbia pensato al cane: “nessuno si è preso cura del rottweiler tranne me e la barista più vicina”, ha dichiarato sotto shock la signorina Giulia ai giornali – dicevo mentre scorrevo le notizie, e riflettevo sul fatto che le mie storiche lacune in matematica mi impedivano di capire perché 30 bambini israeliani valessero molto più di 3000 e rotti bambini palestinesi, insomma ecco, scusate i continui incisi di questo flusso di coscienza ma leggendo mi imbattevo in una notizia curiosa.
Una storia che ha “rivoluzionato per sempre l’NBA e forse anche lo sport”, per citare il sottotitolo del pezzo di Rivista 11. Titolo che invece era: “Grazie a Che Flores, arbitro trans e non binario, la NBA ha rotto l’ennesima barriera”. La loro storia è veramente affascinante – loro mica della lega ma di Che Flores, che si fa chiamare rigorosamente coi pronomi al plurale, they/them, e guai a non farlo altrimenti si è un trumpiano retrogrado, razzista, omofobo e cospirazionista, uno di quei golpisti che hanno assaltato il Campidoglio il 6 gennaio e non sopportano che l’America sia la terra degli uomini liberi, faro di democrazia nel mondo come Israele lo è in Medio Oriente.
Dicevo la loro storia. Senza stare a farla troppo lunga, Che Flores … scusate, devo fermarmi ancora un attimo, giuro che sarà l’ultima volta però è una cosa importante: ma se il nome e pronome sono plurali, anche il verbo lo sarà? Cioè, la forma corretta è “Che Flores sono”, soggetto loro, o “Che Flores è”, soggetto un loro che però è un modo per non dire né lei né lui, né she né he, e che però si declina al singolare? Un bel rottweiler da pelare, optiamo per la prima che è più inclusiva e ripartiamo. Che Flores si sono messe a nudo (in questo caso per fortuna solo metaforicamente) e si sono “confessate” sulle colonne di GQ – rimpiango quando lo si faceva in Chiesa con i preti, che almeno erano gli unici a sapere i cazzi nostri, vostri, loro.
In questa intervista definita ‘storica’, ‘rivoluzionaria’, ‘travolgente’, Che Flores, arbitr* statunitense di basket, sono usciti allo scoperto: «quando ho iniziato ad arbitrare, dovevi apparire in un certo modo. Adesso mi sento a mio agio, sento di poter esprimere la persona che sono senza dovermi preoccupare. Nessuno sapeva come mi identificavo, e quando ero vittima di misgenderingera un colpo difficile da sopportare». E ancora: «La scelta che ho fatto è un modo per far sapere a tutti le persone queer là fuori che possono/possiamo esistere, e possono/possiamo avere successo in quello che facciamo».
Sono un po’ confuso da tutto questo mix di singolari, plurali, cani, gatti, uomini e donne ma il fatto rivoluzionario, scrive GQ e tanti a seguire, è che «Flores diventerà il primo arbitro trans non binario nei principali sport professionistici americani in un momento in cui la capacità degli atleti trans di competere è sotto attacco: a livello globale, gli atleti trans sono stati banditi dalle competizioni internazionali sia nell’atletica leggera che nel nuoto, mentre negli Stati Uniti 23 stati hanno approvato leggi che limitano gli atleti trans a partecipare agli sport scolastici dal 2020». Ma pensate voi che tempi oscuri, peggio oscurantisti, che stiamo vivendo. Roba da matti.
«Quando sono cresciuta, o sceglievi il ruolo femminile o il ruolo maschile e ti identificavi come lesbica e basta», continuano Che Flores. «Quella parola non mi è mai sembrata giusta. Ma non avevo idea di cos’altro ci fosse là fuori in cui identificarmi».
Eh, amic* mi*, amici miei anzi, là fuori c’era uno splendido mondo di sigle e sensibilità, un arcobaleno di identità e di generi che una volta passata la pioggia occupava tutto il cielo fino a farmi interrogare: ma basterà un solo alfabeto, 21 o 25 lettere per identificarle tutte, queste sensibilità? LGBTQIAPK, ormai si procede spediti verso la consunzione dei segni grafici, per questo hanno aggiunto anche un + ma mi chiedo, può un volgare segno + restituire tutto quel variopinto mondo interiore di identità della società occidentale contemporanea? Può un + descrivere chi domattina si sveglia e si sente cane, e viva Dio vuole sposarsi con un pappagallo, o chi si sente anaconda e vuole abbracciare, stritolare una pecora? Riflettiamo.
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Nel frattempo Che Flores sentono «la responsabilità di essere chi sono esattamente senza nascondere nulla», una responsabilità personale perché sociale. Un ruolo da apripista sostanzialmente, di avanguardia ed emancipazione, di conoscenza e orgoglio di sé; un esempio per tanti ragazz* confus* e ingabbiat* in quel primitivo mondo binario, quello dei due generi, uomo e donna, seppure con diversi orientamenti sessuali, etero o omosessuali. Ed ecco che la rivoluzione s’è fatta, non un pranzo di gala ma magari un aperitivo a Manhattan sì. In termini autenticamente rivoluzionari d’altronde ne parlano tutti, mica solo GQ o 11. Dopo i Valori dell’Occidente anche le rivoluzioni dell’Occidente.
Ed è quantomeno simpatico, un po’ un’ironia della sorte, che anche loro si chiamino Che. Che siamo passati da Che Guevara, ora relegato in soffitta peggio di Marx, che mica era tanto inclusivo lui nei confronti degli omosessuali, e neanche era tanto petaloso con le sue guerre, il suo fango, i suoi Patria o morte, tutto quel sangue poi “ma oh mio dio, come si può fare la guerra, cioè…”, e insomma siamo passati dalla lotta di liberazione politica, sociale, antropologica, esistenziale di Che Guevara alla lotta di liberazione sessuale e di genere di Che Flores. Che dire. A occhio e croce è andato tutto nel migliore dei modi negli ultimi decenni. E la sensazione è che, proprio come per l’informazione, il climax sia ascendente e la lunga marcia del progresso inarrestabile: andrà tutto bene, sempre meglio. Basta che ci mettiamo d’accordo, ecco magari questo sì, sulla grammatica e sui pronomi.
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