Piero Gratton è stato un genio creativo che, dalla grafica al marketing, ha saputo interpretare il suo tempo e renderlo iconico tramite le proprie creazioni. Dal Lupetto della Roma al Pinocchio di Euro ’80, passando per le sigle di Dribbling e Domenica Sprint, Gratton ha accompagnato l’immaginario sportivo degli italiani negli anni in cui il calcio iniziava a farsi moderno pur restando ancorato alle tradizioni.
Credo di essere un’anima piuttosto curiosa, che cerca sempre di mettere in dubbio le certezze personali come opportunità di crescita. C’è però una sola assunzione dogmatica che non posso questionare: la fede granata. Da quando ho memoria, che fosse casa mia o quella dei miei nonni materni, a certi nomi di calciatori granata si faceva riferimento come se fossero parenti. E nemmeno troppo alla lontana. Capirete voi la difficoltà di crescere tifoso del Toro nel primo decennio dei 2000, l’amarezza nel doversi accontentare di cercare i tuoi idoli a coppie di due nelle bustine di figurine Panini, o nemmeno trovarne traccia in tutte quelle collezioni di Serie B che – ironia della sorte – trattavano solo la Serie A.
Di questo stigma ho però sempre fatto motivo d’orgoglio, un po’ come quelle etichette discografiche indipendenti che trovano ragion d’esistere non negli introiti quanto nella loro attitudine. Nel calcio, io credo che ci sia spazio per la fede e per l’estetica.
Questo lo avevo capito già da piccolo, più precisamente da quando mi innamorai della divisa Pouchain da trasferta della Roma ’79-80. Una bella beffa, considerato anche che con quel kit i giallorossi prevalsero sui granata in finale di Coppa Italia. Carrè con i colori sociali sulle spalle in stile nazionale inglese Admiral 1980-83, e lupetto nero stilizzato inscritto in una circonferenza bianca bordata di giallo-rosso. Una divisa – assieme al suo negativo domestico – opera del genio di Piero Gratton.
Classe 1939, Gratton è stato tra la fine dei ’60 e la metà degli ’80 uno dei grafici che più hanno contribuito a rivoluzionare la cultura pop e sportiva italiana. Ho raggiunto al telefono il figlio Michelangelo, affermato fotografo e regista, romano e romanista con un passato di militanza in Curva Sud, per parlare della carriera di Piero, tra aneddoti da dietro le quinte e testimonianze di una straordinaria carriera.
Piero Gratton insieme ai fedeli strumenti del mestiere
Dopo aver completato gli studi di liceo artistico entro i limiti che gli anni ’50 potevano offrire in termine di grafica, Gratton entra a far parte dello studio romano di Sandro Lodolo – celebre animatore assieme a Pino Pascali di Caroselli e sigle televisive, tra cui l’iconica mascotte del Rischiatutto. Nel 1960, con l’espansione dell’organigramma in occasione delle olimpiadi, arriva l’assunzione in RAI con la mansione di animatore.
È in TV che Gratton ha il primo incontro con il mondo del calcio. Nel 1962 l’allora direttore RAI Enzo Biagi, positivamente colpito dai lavori dell’animatore ad un programma per bambini, lo invia a Madrid ad intervistare Santiago Bernabéu. In Spagna Gratton si reca a casa di Di Stefano, incontra Puskas, il presidente delle Merengues e per poco non fa involontariamente scoppiare un incidente diplomatico. Una testata spagnola in cerca di scoop monta un caso mediatico accusando l’italiano di essere una spia della Juventus, che il Real Madrid avrebbe dovuto sfidare di lì a poco in Coppa dei Campioni.
Rientrato in Italia incolume, Gratton continua a lavorare a sigle televisive RAI, tra cui quella per la trasmissione dell’allunaggio con Piero Angela.
Come spiega Michelangelo, «La RAI era vicino all’Olimpico, la maggior parte della forza lavoro era di Roma e il calcio lo respiravi». Il 1974, infatti, è un anno di svolta all’insegna dello sport per la carriera di Gratton. L’opportunità di creare le grafiche del logo e delle medaglie dei Campionati Europei di Atletica Leggera fa sì che Gratton faccia la conoscenza dell’allora dirigente organizzativo della Roma Gilberto Viti, con cui inizia un sodalizio destinato a rivoluzionare il calcio italiano.
«Nel 1974 – spiega – mio papà disegna gli abbonamenti della Roma che da una tessera da obliterare assumono la forma di blocchetto contenente i vari biglietti da strappare. Nel luglio ’78 arriva invece il Lupetto. Precedentemente con Viti era andato a Londra per vedere come in Inghilterra si muovevano e comportavano le squadre di calcio, tra cui l’impianto e il club shop del Chelsea. L’idea, rivoluzionaria, era quella di riproporre lo schema con la Roma. Il presidente Anzalone sposò l’idea, anche perché poteva portare soldi, ma i tempi non erano ancora maturi».
Il presidente giallorosso Gaetano Anzalone insieme ai progetti di Piero Gratton
Il debutto del Lupetto non fu affatto facile, tanto che il logo fu inizialmente accolto da molte critiche dagli stessi romanisti che sostenevano che la Roma “pensava a farsi bella, ma non in campo”. A discapito delle critiche iniziali, lo stemma trova presto spazio nel cuore dei tifosi giallorossi, tanto da non lasciarlo più. Secondo Michelangelo la grandezza dello stemma sta «nella forza di imporsi con una identità molto forte all’interno di una città che sia per nome che per simbolo – la lupa con i gemelli – è di per se già molto forte». «Anzi – continua Gratton – il Lupetto è diventato un marchio che la gente ama. L’ho visto tatuato sul corpo, sugli adesivi attaccati alle automobili, e addirittura sulle protesi. È parte della vita di tanti».
I messaggi di cordoglio più belli e toccanti, quando Piero è mancato lo scorso 3 Aprile, sono infatti stati quelli dei tifosi. «Con il tifoso non hai bisogno di fingere, il suo omaggio è puro, istintivo, non è dovuto», spiega Michelangelo. «Il Lupetto è iconico perché ha riguardato la vita di tanti. Ti ricorda momenti importanti, come quando a scuola lo disegnavi sul diario o quando alla prima comunione ti veniva regalata la collanina con il Lupetto d’oro».
Gratton diventa così fondamentale nelle dinamiche di comunicazione della Roma, tanto da diventarne dipendente come responsabile marketing. Ancora una volta Lupetto deve la sua fama iconica al genio del grafico che per la stagione 1978-79 lo legherà per sempre alla cosiddetta divisa ‘ghiacciolo’ prodotta da Pouchain. La maglia non passò certo inosservata agli occhi della stampa decisamente democristiana e bacchettona del tempo, ed in particolare a quelli del giornalista di Repubblica, nonché tifoso biancoceleste, Franco Recanatesi, che criticò duramente il kit ed il suo artefice.
Michelangelo ricorda divertito come la sera in cui uscì l’articolo suo padre «alzò la cornetta e, provocatoriamente, telefonò al giornalista scusandosi per l’offesa arrecata. Recanatesi si trovò chiaramente in grande imbarazzo».
Certo è affascinante come uno stemma ed una maglia che hanno anticipato il moderno business del pallone siano diventati con il tempo icone del calcio retro, quello che si oppone con la purezza dei suoi valori e la sua sobrietà estetica alla commercializzazione dello sport. Come spiega Michelangelo, «quello è stato il momento in cui il calcio iniziava a dare i primi segnali di espansione dal punto di vista economico.Credo però che si creò un mix giusto tra business e passione, perché i coinvolti nell’operazione erano romanisti. Era un calcio fatto di gente della tua città. Oggi è molto diverso, specialmente dove ci sono proprietà straniere. Quello che all’epoca non si capì è che con questa operazione di marketing la Roma recuperò un bel gruzzoletto: quello col quale comprò Pruzzo».
Alcuni schizzi dalla documentazione ufficiale di Piero Gratton (foto AS Roma)
La presenza di Gratton allaRoma fu fondamentale anche per l’approdo della squadra in televisione. Tramite la mediazione grafica, la società firmò un accordo per la trasmissione in differita delle gare dei giallorossi sulla neonata emittente privata Uomo TV, che aveva tra i suoi principali finanziatori Giorgio La Malfa, leader del Partito Repubblicano. «Siccome all’epoca Piero era simpatizzante del Partito Repubblicano di cui un suo carissimo amico, il giornalista Mauro Dutto, era rappresentante e deputato – ricorda Michelangelo – io penso che ci sia stata qualche connessione».
Ad un certo punto, tra la fine dei ’70 e la metà degli ’80, non solo Gratton diventa la matita di riferimento dello sport italiano – suoi anche gli stemmi di Bari, Palermo ed il logo della finale romana della Coppa dei Campioni 1977 – ma il suo stile diventa paradigma e segno del tempo del calcio tricolore, tanto da diventare ispirazione per altri grafici. L’aquilotto disegnato dal fiorentino Otello Cecchi che campeggia sulla divisa Ennerre della Lazio per la stagione 1982/83 ne è prova. Aquilotto che, ironia della sorte, sostituì quello che, come racconta Michelangelo, «uscì dallo studio di Piero, dato che per la stagione 1979/80 la Lazio aveva come sponsor tecnico Pouchain, che molto probabilmente inserì mio papà nel lavoro. Non so se il logo fu effettivamente firmato da mio papà o da un suo collaboratore – aggiunge Michelangelo scherzando – considerata la sua fede romanista».
Il 1980 è un anno fondamentale per la carriera di Gratton specialmente perché gli viene affidata la grafica degli europei di calcio. «Tra il ’76 ed il ’78 Piero ha creato le sigle delle trasmissioni di punta per la RAI, che gli diedero molta notorietà. I titoli di coda erano brevi rispetto ad oggi e di conseguenza il nome del grafico saltava subito all’occhio. Considera che una trasmissione come Odeon era vista da 14 milioni di telespettatori».
Non solo Roma; la fantasia di Gratton, ammirevole, mantiene un’identità nella differenza
Quando a pochi giorni dal Ferragosto del ’76 Fanfani decide che l’Italia sarebbe passata alla TV a colori, la scelta ricade su Gratton. I Carabinieri sono prontamente sguinzagliati a rintracciare il grafico in vacanza. «Era la vigilia di Ferragosto ed io e mio papà eravamo a Sabaudia. Stavamo rientrando da una gita in mare e vedemmo il cameriere dell’albergo che faceva ampi gesti sulla spiaggia, affiancato da alcuni Carabinieri. Mio papà provò a protestare, ma niente da fare, dovemmo rientrare di corsa a Roma, dove l’indomani ci sarebbe stata una riunione in Viale Mazzini. In un paio di giorni Piero creò una sigla per il telegiornale a colori, dopo che la RAI fece rimettere in piedi gli stabilimenti della Microstampa, che all’epoca sviluppava le pellicole per Cinecittà».
In quegli anni il direttore RAI Andrea Barbato dà carta bianca a Gratton che inoltre stringe un’amicizia importante con Artemio Franchi. Queste esperienze lo portano alla Uefa. «Per Euro ’80 – oltre alla mascotte Pinocchio – realizzò un logo a forma di bandiera studiato in modo che ogni nazione potesse cambiarne i colori senza alterarne la grafica», racconta Michelangelo.
Con l’avvento del nuovo decennio inevitabilmente lo spirito del tempo cambia e, di conseguenza, anche il gusto grafico muta. Se in campo le divise diventano morbide, le grafiche si fanno più minimaliste, meno giocose, quasi a sottolineare che la società sta mutando e anche le rotondità multicolori di quei loghi. Anche Gratton non è più lo stesso. Da fine decennio nei suoi lavori sembra emergere la consapevolezza della necessità di aggiornare il tratto, ma l’estro e la sperimentazione vengono a meno.
Il merchandising nato dall’unione tra Anzalone e Gratton fu in anticipo sui tempi (foto AS Roma)
«Inevitabilmente la sua vita professionale si mischia con la mia vita personale, quindi ho avuto modo di constatare come la sua vena creativa a metà degli anni ’80 si sia fermata», ricorda Michelangelo con più affetto che amarezza. «Dopo ci sono state cose che non sono andate come avrebbero dovuto e se ne è anche risentito. Piero continuava ad avere lavoro, anzi non lo hai mai dovuto cercare, però non ci sono più state quelle cose per cui una sua grafica si distingueva istantaneamente come un Gratton».
Nel 1990, mentre Michelangelo si occupa della co-ordinazione dei fotografi al Mondiale italiano, Piero si allontana dalle scene. «Piero si ritirò – spiega Michelangelo – perché per Italia ’90 fu organizzato un bando per il logo. Lui si rifiutò di competere con altri grafici e non prese parte alla gara. La cosa divertente è che il bando lo vinse Vittorio Picconi, il mio professore di disegno, che creò [la mascotte] Ciao. La sera mi telefonò a casa scusandosi per aver portato via il lavoro a mio padre», ricorda ridendo Michelangelo.
Rimane comunque testimonianza dell’idea di Gratton per il logo del mondiale su un oggetto che in termini di cultura pop se la gioca con Ciao: le sigarette Mundial. «Dato che mio padre aveva un contratto con il Monopolio di Stato, per cui aveva già ridisegnato il packaging del sigaro toscano e delle sigarette Master fu deciso di utilizzare il suo disegno per le sigarette Mundial, di cui conservo ancora un pacchetto».
Oggi la maggior parte dell’archivio Gratton – contenente più di mille disegni – è stato donato dalla famiglia all’AS Roma, con l’intento di renderlo visibile al pubblico nel futuro museo giallorosso. Nel frattempo è il figlio Michelangelo a tenere vivo l’heritage artistico di Piero, nonostante la cultura italiana sembri non essersi mai accorta del fondamentale contributo di Gratton alla storia del suo costume nazionale.
Quarto caffè al Bar Sport, offre Allegri. La Serie A è un campionato serio. Rectius: è tornato alla serietà. Sì, perché in Europa paiono essersi allineati i pianeti.