Gianni Agostinelli
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Calcio
Gianni Agostinelli
07 Agosto 2019
I figli devono tifare la nostra squadra?
Se il sostegno ad una squadra non è solo una tradizione familiare, ma una scelta del singolo.
Più o meno come una rivelazione. Tutto si è compiuto in 90 minuti, davanti ad un televisore. «Accadde in un pomeriggio d’estate. Il più lungo, il più drammatico, il più illuminante di tutta la mia vita di appassionato di sport. Avevo 12 anni quando vidi Italia – Brasile. L’età perfetta per vivere una partita all’apice del proprio entusiasmo sognante».
Il pomeriggio de “La partita”, come da titolo scelto da Piero Trellini per il suo libro uscito da pochi giorni per Mondadori, è stato uno di quelli che hanno condotto l’Italia di Bearzot alla Coppa del Mondo, ed è stata una delle tappe prima della semifinale e la finalissima contro la Germania Ovest. Ma per molti italiani, tra cui lo stesso Trellini, quell’Italia – Brasile è stata una sorta di spartiacque. La partita più bella del secolo, o “la partita che non finiva mai” come la ricordano ancora i brasiliani. Un percorso che non si è esaurito in quel pomeriggio 5 luglio 1982 ma che da lì è partito, alimentandosi poco a poco, a diventare quasi un’ossessione.
Trellini con questo libro di chirurgia sentimentale placa la sete di conoscenza del mondo che ha generato quel sogno adolescenziale e il cui centro era il rettangolo verde dello stadio Sarriá. Ogni passaggio di palla è un filo che si allaccia, da piede a piede, da uomo a uomo, da storia a storia; e sono tantissime quelle che si congiungono in quel pomeriggio spagnolo e riguardano solo in parte i 22 in campo. Coinvolgono l’arbitro ed i patemi per un figlio in pericolo di vita mentre lui sta arbitrando il Mondiale. Coinvolgono gli allenatori, che hanno attraversato percorsi sportivi e di vita diversi per arrivare sulle panchine di Italia e Brasile.
Coinvolgono il teatro, che è protagonista in questo libro di Trellini quanto gli attori, con i cartelloni pubblicitari che hanno storie da raccontare, gli indumenti, gli sponsor tecnici e le lotte di marketing e familiari partite tra due fratelli che fondarono decenni prima Adidas e Puma. Coinvolgono gli spettatori, e tra questi i tanti giornalisti al seguito delle due nazionali. “La partita” è anche un racconto sul giornalismo che fu filtro, megafono e distorsore della spedizione azzurra, prima punzecchiata, poi bistrattata e offesa.
Il libro dà invece, a chi non ha vissuto Spagna ‘82, un quadro perfetto di quel che erano Italia e Brasile sia dal punto di vista calcistico che sociale e politico, e come si presentarono a quell’appuntamento. Un romanzo che parte da 90 minuti ma arriva indietro fino al Titanic, passando per l’impegno militare brasiliano nella Seconda Guerra Mondiale, toccando l’ascesa di Havelange e Blatter, e la trasformazione che da quel Mundial iniziò a manifestarsi facendo della Coppa del Mondo un evento planetario non soltanto a livello sportivo.
Ma “La partita” è soprattutto un viaggio del suo autore alla base di quella scintilla adolescenziale che coinvolge i lettori, li entusiasma e li stimola attraversando i tanti sentieri che si gonfiano e si alimentano attorno alle vicende di una partita.