Quando si gioca ad Anfield è lecito scomodare il divino. Perché è il divino stesso a scomodarsi per palesarsi nelle vesti di Eupalla. Come un profeta della Parola Calcistica, Klopp aveva già detto tutto ai propri uomini, affermando, poco prima di scendere in campo:
So che è impossibile, ma non per voi.
Sapere l’impossibile è contemplarlo nell’evento che lo rende possibile. Afferma Tertulliano, in una delle sue opere di apologeta, che il Figlio di Dio è morto, e questa è una cosa credibile; che “sepolto, è risorto, è (però) certo, perché è impossibile“. Quanto accaduto ieri sera ad Anfield scomoda il divino, poiché il divino s’è scomodato per rendere manifesto l’impossibile.
Le assenze di Salah, Firmino e Robertson sembravano aver messo il sigillo definitivo su un copione già in corso di stampa dall’andata, quando il risultato aveva detto Messia 3-Liverpool 0. 3-0, sì. Proprio come accaduto in Barcellona-Roma dello scorso anno, però, i blaugrana avevano raccolto decisamente più di quanto avessero gettato; anche in quel caso tre gol di scarto (4-1) e anche in quel caso la rimonta dei giallorossi, per una partita senz’altro epica ma niente affatto paragonabile a quella di ieri sera.
Diciamo questo. L’anno scorso fu l’Epos, ieri è stata Religione. E il gol di Origi dopo 7′ lo aveva fatto presagire, prima che la di lui doppietta lo rendesse manifesto. Ancor più del doppio Wijnaldum, giocatore fin troppo sottovalutato. Non a caso Alisson ha dichiarato che, rispetto allo scorso anno, il ritorno il Barcellona se l’è giocato e come, e chi più di lui può dirlo? Il Barça ha peccato ancora una volta di hybris. E ad Anfield questo equivale a morte certa. Eppure, a nulla sarebbe servito, forse, entrare in campo con un atteggiamento diverso. Ieri sera i Reds sembravano nient’altro che gli attori di un Destino già scritto. Dal portiere ai difensori, Van Dijk su tutti (da Pallone d’Oro); dai difensori ai centrocampisti, Georgino sopra gli altri, ma non sopra il capitano Henderson, da lacrime, come quelle versate dal soldato Milner a fine partita; per finire con l’attacco, mutilo ma musico (preda delle Muse del pallone).
Tutta la gioia dei Reds in una foto (foto Clive Brunskill/Getty Images)
Finiamo in polemica col polemico. Scrive Adani: «Fuori Salah, Firmino e poi Robertson, senza mai rinunciare a idee, coraggio e ritmo, puoi anche concedere 4 palle gol (nitide) ma non rinuncerai mai al tentativo di realizzare i tuoi sogni. Klopp e il suo Liverpool hanno testimoniato. Giustizia». Testimonia i limiti di un’analisi di questo tipo il ricorso, in prima istanza, alle “idee”. Senza rientrare nella polemica del momento, su cui pure torneremo per altri sentieri, è bene ribadire che ieri, ad Anfield, è accaduto in prima istanza, semmai, il Metafisico. Cioè l’accadere, appunto. L’evento non rivela mai se stesso. E le idee non esistono senza le azioni degli uomini (e del divino per loro tramite svelato).
Klopp e altri 11, più Anfield. Un’emozione unica, un brivido prorompente, un’estasi calcistica come poche nella storia. A memoria, solo quel Barcellona 6-1 PSG, di quell’ultimo grande Barcellona. Cos’altro? Il tema rimonte, certamente. A riprova di quanto detto poco fa. Il Porto contro la Roma, lo United contro i parigini, la Juve contro l’Atletico, e ora il Liverpool, che di rimonte se ne intende. E occhio a stasera. Una delle più belle Champions League della storia. Ringraziamo il calcio, signori.
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