Lo scontro tra titani termina con una netta vittoria dei blancos, guidati dal solito CR7.
Dando retta alle premesse della vigilia ci si aspettava una gara diversa. Sì, perché nella splendida cornice dell’Allianz Arena andava in scena a detta di molti una finale anticipata; scendevano in campo due pesi massimi, che nel duello di andata si temeva risentissero della più classica paura di perdere. A quanto sembra, però, questa è un’espressione che non esiste soprattutto nel vocabolario madrileno, e il primo quarto d’ora dell’undici di Zidane ha dimostrato perché il Real è attualmente la squadra più forte del mondo. Vittorie, riconoscimenti e trofei hanno conferito alle merenguesuna calma olimpica e una consapevolezza nei propri mezzi estrema: a centrocampo Kroos e Modric facevano il bello e il cattivo tempo, palesando una superiorità tecnica e gestionale indiscutibile, coadiuvati dall’equilibratore Casemiro. Breve parentesi da aprire d’obbligo sul brasiliano, tassello imprescindibile nelle vittorie bianche dell’ultimo anno. Quando si dice che il carisma dell’allenatore che siede in panchina è virtù decisiva si coglie il punto: Rafa Benitez era stato cacciato e condannato dal pubblico madrileno – amante del bel gioco, che lì significa calcio offensivo – anche per l’inserimento del brasiliano in mezzo al campo.
Al contrario la considerazione in cui è tenuto Zidane, sia nell’ambiente Madrid sia nella stampa spagnola, ha fatto sì che nessuno osasse alzare la voce, e di conseguenza che Casemiro potesse diventare ciò che Sergio Busquets è stato e continua ad essere per il Barcellona: una presenza non appariscente ma radicalmente fondamentale. Torniamo comunque a noi. Complici le pesantissime assenze dei tedeschi (Lewandowski e Hummels), nei primi 15-20 minuti si è avuta la netta sensazione di un calcio più semplice e incisivo delle camisetas blancas. Il Bayern poteva dal canto suo fare gol solo su palla da fermo, e così è stato. Arturo Vidal ha dimostrato che la specialità della casa, inserimento con finalizzazione, non esiste solo su azione ma anche su corner. Se poi ci aggiungiamo che Nacho non è Pepe, e che si fa sfuggire l’uomo con troppa facilità, completiamo il quadro.
Uno a zero per i bavaresi e qui cambia la partita: le certezze del Real iniziano a scricchiolare, il Bayern diviene padrone del campo e del gioco, e sfiora ancora con un inserimento e zuccata di Re Artù il secondo gol. Pochi minuti dopo Franck Ribery, ristabilito e responsabilizzato dalla cura Ancelotti, con un turbinio di finte e sterzate trova lo spazio per calciare, e rimedia un rigore che le immagini sanciranno essere inesistente. In assenza dello specialista designato Lewandowski, Vidal si prende l’onere e il pallone, sistemandolo agli undici metri. Ed ecco la seconda svolta dell’incontro, la Kehre, avrebbe detto un gran tifoso dei bavaresi di nome Martin Heidegger. Per il secondo anno consecutivo il dischetto è esiziale a Monaco: la passata stagione in semifinale era stato Thomas Muller a farsi ipnotizzare da Oblak, quest’anno è stato Vidal a sparare alle stelle (probabilmente) la possibilità del Bayern di passare il turno. Nel primo tempo il cileno fa e disfa, e si va sul riposo con il punteggio di uno a zero.
Finalmente veniamo a noi. Inizia la seconda frazione di gioco e senza nemmeno capire cosa stia succedendo Cristiano Ronaldo si riprende il centro del palcoscenico. I mugugni già si sentivano chiaramente:
«In Champions League non segna più, in Liga– addirittura! – nemmeno, fisicamente sta calando, nelle partite che contano non è più decisivo».
Su queste note inizia l’epopea del secondo tempo del portoghese, mentre i blancos si assicurano il gol in trasferta e riacquisiscono tranquillità.
A questo punto gli uomini di Ancelotti tentano una reazione più o meno rabbiosa, sapendo che il pareggio con reti non è il miglior viatico per il Santiago Bernabeu; spostano quindi il baricentro della squadra in avanti, e lasciano territorio per il contropiede madrileno.
Ronaldo decide nuovamente di caricarsi la squadra sulle spalle e nel giro di quattro minuti (58′-61′) costringe Rizzoli ad estrarre due cartellini gialli all’indirizzo di Javi Martinez. Anche da queste piccole cose tra l’altro si vede il tramonto del guardiolismo – che come tutte le etichette non vuol dire niente, ma è utile per spiegarsi. Javi Martinez ha ripercorso sotto l’allenatore catalano le stesse orme di Mascherano al Barça: da schermo davanti alla difesa venne arretrato da Pep nei due dietro per favorire l’impostazione (ruolo che, per la precisione, aveva già ricoperto con Bielsa ai tempi del Bilbao).
Ancelotti nella notte decisiva ha risposto all’assenza di Hummels schierando Martinez in difesa (poche erano le alternative), ma non aveva compreso a dovere quanto questo fosse l’anno nero del guardiolismo. Tra portieri bravi con i piedi che però non parano – Bravo al City ma verrebbe da dire anche Ter Stegen al Barcellona – e centrocampisti/difensori che non sanno difendere, Carletto si ritrova nell’incubo di dover affrontare una mezz’ora in inferiorità numerica contro la squadra più forte del mondo.
Il Real Madrid a questo punto è come lo squalo che vede il nemico sanguinare: sa di doverlo azzannare, e chiudere il discorso quanto prima. Ci pensa, neanche a dirlo, ancora lui.
Ma non dovevamo vederci più! 100 gol nelle competizione europee in 148 partite, e come si usa dire in questi casi nessuno mai come lui. Dopo che Manuel Neuer aveva respinto l’impossibile, e qui impossibile non è iperbolico, Ronaldo riesce in spaccata ad anticipare il neo entrato Bernat e a far passare il pallone sotto le gambe del portiere più forte del mondo (non ce ne voglia Gigi, ma Neuer è geneticamente modificato, una via di mezzo tra un robot e un esperimento dell’eugenetica). D’altronde quando deve essere la tua notte nessun ostacolo può essere d’intralcio. I Blancos a questo punto provano anche a chiudere definitivamente il discorso con il terzo gol, ma i tedeschi resistono sperando nella missione impossibile in terra spagnola. E di missione impossibile veramente pare che si tratti se guardiamo i numeri della gestione Zidane, soprattutto in casa: questa stagione una sola sconfitta in un momento di relax, in coppa contro il Celta Vigo, e squadra sempre a segno.
Ancelotti dovrà dal canto suo sperare innanzitutto di recuperare al meglio Robert Lewandowski, e poi dovrà andare a Madrid con la forza, l’incoscienza e la forza dell’incoscienza. Non c’è più tempo per gestire, non c’è più nulla da perdere. Ieri sera sono stati troppi gli inconvenienti per Carletto: la solita ottima gestione dello spogliatoio e l’altrettanto usuale preparazione a lungo termine – studiata per arrivare al massimo del rendimento nel momento clou della stagione – non sono state sufficienti a sopperire alle assenze, all’inferiorità numerica e alla superiorità nei singoli degli avversari.
In prima linea ancora una volta lui: non mi sorprende, lo sai?