Intervista a Massimiliano Gallo, oltre i luoghi comuni.
Personalmente ho conosciuto Massimiliano Gallo, ma solo di nome, quasi in contemporanea sul cartaceo e sull’online: sul Corriere dello Sport, quando scrivevo lì e leggevo i suoi articoli, e su Il Napolista, una testata che ha rapidamente spazzato via i miei pregiudizi condizionati da nome e oggetto – le riviste online incentrate su singole piazze mi angosciano e neanche poco. La sorpresa però sta proprio qui: perché Il Napolista non è solo un quotidiano napoletano, tutt’altro. E addirittura, come detto a Massimiliano nell’intervista e per quanto possa sembrare sorprendente, sul suo giornale – esaurita l’esperienza di Slalom – si trova di gran lunga la miglior rassegna sportiva in Italia.
Qui infatti, al di là della cronaca e dell’opinione, vengono ripresi quotidianamente articoli e spunti dei migliori giornali e giornalisti internazionali, quasi sempre funzionali a una discussione, all’esercizio di quella critica che a noi contrastiani sta tanto a cuore. Iniziando a conoscere Massimiliano Gallo ho capito allora che non era certo un caso. Posti i vari disaccordi, viva Dio, sale della vita e dello stesso giornalismo, Gallo è giornalista vero che non a caso ha vissuto la militanza delle vecchie redazioni, formative di mestiere e ancor prima di vita. E conserva nell’esperienza uno spirito critico, e spesso controcorrente, che traduce nella sua produzione.
Abbiamo fatto una chiacchierata su un po’ di temi, e ne è venuta fuori una bellissima intervista: dalla formazione alla ‘sua’ Napoli, dei cui luoghi comuni e della cui retorica, spesso populista e pauperista, si è tremendamente stancato; dal VAR agli ultras, su cui la pensiamo, e ancor prima la sentiamo, all’opposto; da Ancelotti – il più grande, che però arrivò a Napoli “a cuor leggero” – ad Antonio Conte – “l’incarnazione dell’anti-retorica, talmente immerso nel proprio mondo che non risente degli umori della città, antidoto a ogni forma di populismo nel calcio”, per finire con Aurelio De Laurentiis: “è un uomo senza ideologie ma ultra-pragmatico”. Il tutto, però, in un calcio che rischia di morire “per overdose”.
E poi il campo, con le sue nuove ideologie alla moda. Come il cosiddetto ‘giochismo’ (sic), il calcio estetico-propositivo, più che uno stile di gioco una dottrina politica figlia dei nostri tempi: “Potrà sembrare una banalizzazione ma io credo che alcuni abbiano sostituito Che Guevara con Guardiola. L’ideologia si è trasferita su un campo di calcio”. Di sicuro, in conclusione, non la solita intervista su chi vincerà il campionato 2024/2025 o sul mercato delle squadre di Serie A.
Massimiliano, tu hai questo mestiere nel sangue, fin da quando giovanissimo hai iniziato a seguire le orme di tuo padre Sergio. So che lui ha lasciato un gran ricordo, quello di un uomo che credeva in ciò che faceva e animato da due grandi passioni: il giornale e il partito (PCI). Qualche cenno su questo, se vuoi, e poi una provocazione: oggi chi sta peggio, il giornalismo o la sinistra?
Grazie, sei gentilissimo a chiedermi di mio padre. Papà ha fatto sì che per me il giornalismo fosse il mio habitat. Ho vissuto da bambino le redazioni come oggi sarebbero inimmaginabili: macchine da scrivere, stanze dense di fumo, apertura al pubblico senza badge o cose simili, discussioni infinite e accalorate, persino stanzoni per giocare a pallone. Era impossibile non innamorarsi di quei luoghi, per un bambino era come un luna park. Bella domanda sul giornalismo e la sinistra.
Non so se la mia risposta sarà centrata però dopo tanti anni, e dopo quasi quindici anni di giornalismo on line, sono giunto alla conclusione che sono i lettori a fare il giornalismo. E ahimé in Italia la maggioranza delle persone vogliono leggere idee simili se non sovrapponibili alle proprie. Si va alla ricerca di conferme. Questo ha finito per accelerare il processo di crisi del giornalismo. Tranne rare e lodevoli eccezioni, ci si è anche dovuti uniformare alle richieste dei clienti. Per la sinistra, invece, è diverso. Probabilmente si è allontanata dalle richieste dei clienti, se vogliamo chiamare così gli elettori.
Come mai, dopo aver girato diverse redazioni di politica e cultura, ti sei buttato sul giornalismo sportivo?
È avvenuto casualmente, anche se lo sport l’ho seguito. Dopo l’esperienza a Linkiesta, che si chiuse nel 2013, non avevo granché voglia di tornare in una redazione. Contestualmente nacque mio figlio e la famiglia era a Napoli. Il Napolista era già in vita da tre anni, anche se all’epoca era solo un gioco che creammo con Fabrizio d’Esposito ai tempi del Riformista. Pensai che forse avrei potuto provare a trasformare il Napolista nel mio lavoro. E ci provammo.
Quanto ti pesa da 1 a 10, essere (in teoria) limitato alla dimensione napoletana già dal nome della testata? E quanto ti pesa invece, sempre da 1 a 10, essere confinato (sempre in teoria) alla dimensione sportiva?
Mi pesa, indubbiamente. La dimensione napoletana in teoria mi pesa 10. In pratica meno perché col passare del tempo ho fatto del Napolista lo specchio dei miei interessi e abbiamo cominciato a scrivere dei temi che mi/ci appassionano. Di fatto unendo politica e calcio. Il nostro è un approccio politico al calcio. Persino alle partite. Diciamo che ci ispiriamo a Massimo Troisi e alla sua frase: «Sembra che il napoletano non possa viaggiare, può solo emigrare». Ecco, anche a Napoli ci interessiamo ad altro, non stiamo h24 sintonizzati sul nostro ombelico. Che sia la squadra del cuore o la città. Altrimenti sai che noia.
C’è un mondo fuori e interessa anche a chi vive a Napoli. È vero che il nome della testata è condizionante. Ho pensato di cambiarlo ma oggi credo che sarebbe un peccato. Ormai sono in tanti a considerare e a conoscere il Napolista come una testata che si occupa di sport e non solo del Napoli. Tant’è vero che la nostra piazza principale di lettori è per distacco Milano, seguita da Roma. Napoli è terza. Per quel che riguarda la dimensione sportiva, invece soffro decisamente meno. Ero saturo di politica. Non mi appassionava più. Mi piacerebbe occuparmi di cinema, questo sì. Ogni tanto lo faccio sul Napolista.