Gli Anni Settanta: il decennio della diffusione in tutta la Penisola.
Se volessimo inaugurare questo secondo capitolo con una lieve esagerazione, potremmo affermare che negli Anni Settanta all’ombra di ogni campanile si celi un campo da calcio ed un gruppo ultras pronto a difenderlo. Infatti da Torino a Lecce, da Milano a Catanzaro il movimento si manifesta in ogni stadio presentando i suoi crismi. Brigate Gialloblu a Verona, CUCS e Eagles Supporters nella capitale, Forever Ultras 1974 e Boys Parma sulla via Emilia, Ultras Viola, Pescara Rangers e Fossa dei Grifoni rappresentano soltanto un’infima citazione degli ormai mitici collettivi fondati nel decennio, di cui alcuni ancora attivi tutt’oggi.
Con il senno del poi, questa florida affermazione del nuovo modo di intendere la “vita da stadio” permetterà di indagarne il carattere e gli aspetti più controversi. Come accennato nello scritto precedente, è il disincanto giovanile dall’impegno politico a favorire la rielaborazione di valori dalle piazze ai settori popolari.
Quindi, mentre la militanza deflagrerà negli Anni di Piombo, l’attivismo offre le basi teoriche e comportamentali della cosiddetta “mentalità”, il cui riconoscimento è la base della differenziazione rispetto ai tifosi semplici. Tale codice non scritto verte innanzitutto sull’idea che il dodicesimo uomo sia il protagonista della partita, tanto quanto gli atleti in campo. Gli Ultras si prendono le curve, reclamando quegli spazi ad una Società che non ha orecchie per intendere le ansie della gioventù, e da lì organizzano il sostegno, non più spontaneo come un tempo.
I “lanciacori”, in piedi su muretti o balaustre, dove campeggia lo striscione del gruppo, dirigono gli slogan, sempre più originali ed elaborati, che devono esaltare i beniamini ed annichilire gli avversari, in campo e sugli spalti. Si inizia a viaggiare fedelmente al seguito della propria compagine e, in impianti privi di settori dedicati, il confronto vocale e fisico con i dirimpettai diviene inevitabile.