L'Italia dell'ovale torna con i piedi per terra dopo la vittoria contro le Fiji.
Cinquantasei minuti sul cronometro, quasi cinquantasette, l’Italia è nei 22 metri argentini e sta facendo una bella pressione. Pochi centimetri alla volta, veramente pochi, ma ci siamo. I Pumas soffrono, e neanche poco. Hanno vissuto un 2017 travagliato, vincendo un solo match nell’ultimo anno solare, ma sanno che da quell’azione dipende tutto il resto della partita. Jaco Peyper, arbitro sudafricano, allarga il braccio verso di noi, abbiamo il vantaggio. Avere il vantaggio significa, in parole povere, che male che vada si può contare su un calcio di punizione a favore. A meno che la palla non passi per i pali o venga schiacciata in meta, in quel caso il vantaggio sarebbe acquisito. Marcello Violi, mediano di mischia azzurro, estrae la palla dal raggruppamento, fa un passo, non ha esitazioni. Esplode un drop, palla in mezzo ai pali, tre punti e sorpasso azzurro. Sapete, un gesto del genere può dire tante cose, basta saperle interpretare. Può dire agli argentini che gli uomini di O’Shea hanno tra le loro fila dei discreti Robin Hood, può voler dire che potenzialmente sappiamo ribattere colpo su colpo, visto che questo è il settimo sorpasso di una partita dura e combattuta. Esistono diversi tipi di drop nel rugby. C’è quello di Jonny Wilkinson, che ti fa vincere una Coppa del Mondo. C’è quello che prova Adam Jones, professione pilone, ma solo per prendersi un calcio di punizione a suo dire decisivo. Ma un calcio di rimbalzo così, con molti uomini schierati al largo, con i Pumas in grossa difficoltà e terrorizzati dal dover perdere una partita che sulla loro carta sembrava abbordabile, beh, non è un gran segnale per i giganti vestiti di azzurro. Non fraintendete: una delle prime cose che ti insegnano su un campo da rugby è che, se vuoi mettere alle corde l’avversario, devi cercare di segnare punti ogni volta che entri nella sua metà campo. Mete, calci di punizioni, drop, qualsiasi soluzione. Ma segnare, far capire che si è concreti. Altra cosa che ti insegnano, però, è che l’avversario deve essere valutato anche per come decide di punirti. E se l’Italia decide di piazzare un drop così, senza nemmeno provare ad allargare l’ovale, senza nemmeno forzare la linea di difesa una volta di più significa che la spia della benzina è accesa da un bel po’.
Sta di fatto che negli ultimi 24 minuti scarsi gli azzurri non segnano più, mentre i Pumas mettono a segno due mete condannandoci ad un 31 a 15 forse un po’ troppo severo nelle dimensioni, visto quanto successo nel primo tempo. Nessuno mette in discussione la vittoria argentina, ci mancherebbe, ma i primi 40 minuti hanno visto un’Italia concreta, solida in difesa e monumentale nelle fasi statiche. Soprattutto in mischia, dove la nostra prima linea ha suonato una sinfonia assente nello spartito degli argentini. Il 9 a 8 con cui siamo arrivati all’intervallo, per certi versi, ci stava pure stretto, nonostante una meta subita per due placcaggi troppo molli su Cancelliere, libero di schiacciare. Gli azzurri hanno ribattuto colpo su colpo, la sfida dalla piazzola tra Sanchez e il nostro numero 10 Carlo Canna è proseguita anche nella ripresa. Nessuno sembrava cedere. Poi quel drop, in un momento in cui il pallone non doveva toccare tomaia alcuna. I Pumas stavano soffrendo, e neanche poco. Hanno vissuto un 2017 travagliato, difficile, hanno vinto solo un match nell’ultimo anno solare, lo sappiamo già. Ma quello che forse non riusciamo a dirci fino in fondo è che i nostri avversari hanno affrontato Inghilterra, Australia, Sudafrica e gli All Blacks. Più volte. Sono match di un livello diverso, partite che ti insegnano sempre qualcosa. Da sconfitte contro mostri del genere impari a pensare, ragionare e vivere a velocità il più delle volte superiori a quelle a cui sei abituato. E se sei bravo, se hai imparato bene, quando ti trovi di fronte avversari più “umani” sai cosa devi fare. E lo fai senza che la lancetta dell’ossigeno scenda sotto il livello di guardia. Se la sono vista brutta, nella splendida cornice di Firenze. Sotto ma di un solo punto, e per di più con una squadra che ha fatto capire che certi momenti di rottura non li sa ancora gestire, che davanti a certi traguardi volanti non sa ancora dare il giusto colpo di reni. Mettendo a posto mischia e touche grazie ad una panchina più lunga della nostra, i Pumas hanno alzato i giri del loro motore. E al 69’ con la meta di Kremer, si sono tolti un peso mica da ridere. Qualche minuto dopo segnerà pure Tuculet, ma il match aveva già dato il suo responso, con una Argentina più solida e “lunga” e una squadra azzurra che non ha dimostrato di non avere molta dimestichezza col poker e con l’arte del bluff.
Vincono i Pumas, meritatamente, noi ora aspettiamo gli Springboks. No, scordatevi l’impresa dell’anno scorso, a Padova sarà un’altra cosa. Ma se vogliamo crescere e diventare competitivi contro queste corazzate dovremo passare anche per questi sentieri. Scontri con avversari più forti, sconfitte più o meno pesanti, gestualità errate. Serve tutto. Dovremo ricominciare da drop che tutto sembrano e che invece, a lungo andare, risultano effimeri.
Dopo la disfatta del Mondiale 2015 il rugby inglese si è ricompattato, passando quattro anni a preparare la partita perfetta: All Blacks neutralizzati.