Le curve si dividono sugli stadi al 50%, mentre gli ultras del basket chiedono un confronto alle istituzioni.
Ciao Hakimi, ciao Lukaku, ciao De Paul, ciao e grazzie Cristiano; bentornati tifosi! Finalmente, dopo un anno e mezzo, gli spalti dei nostri stadi tornano a popolarsi. Certo, la capienza è ridotta a metà, si entra con Green Pass alla mano, la mascherina è obbligatoria come il rispetto delle ormai annose regole di distanziamento sociale, ma il ritorno è graditissimo. Anche se, bisogna ammettere, tra voglia di mare, timori e depressione ambientale vedi Torino-Atalanta, la corsa ai botteghini delle prime due giornate è stata tutt’altro che frenetica, almeno in Serie A. In questa situazione, non sarà sfuggito nemmeno all’occhio dell’osservatore più distratto che non tutti i gruppi del tifo organizzato hanno riconquistato il loro posto in curva, anzi si può dire che la maggioranza dei collettivi abbia deciso di rimanere fuori in attesa di tempi più favorevoli; una linea sposata da tutti coloro che hanno rifiutato totalmente le attuali regole di accesso agli stadi e le relative sanzioni.
Ideologico il primo motivo di questo diniego: impossibile pensare di entrare in curva con la mascherina, senza poter esporre lo striscione, fare colore con i bandieroni e cadenzare i cori con il tamburo. Nell’ultimo anno e mezzo il tifo organizzato ha visto concretizzarsi la sua previsione più plumbea ed allo stesso tempo lucida, l’estensione a tutta la società degli strumenti repressivi provati negli stadi durante l’ultimo ventennio. Soppressione delle libertà di riunione e movimento; legiferazione tramite misure emergenziali, i DPCM, poi dichiarati anticostituzionali come il DASPO; infine la necessità di dimostrare preventivamente la propria conformità alle misure vigenti per accedere a servizi e luoghi pubblici, ieri tramite la Tessera del tifoso oggi mediante il Green Pass. Analogie sinistre e affini retoriche: dieci anni fa l’invenzione di Maroni si giustificava con il mantra “riportiamo le famiglie allo stadio”, nel 2021 la tutela della salute pubblica e la ripartenza del Paese passano attraverso la cessione delle libertà individuali.
Altra ragione, di natura estremamente pratica invece, è quella legata ai numeri: considerando settori di casa esauriti o quasi in abbonamento negli anni pre-Coronavirus, la capienza limitata costringe a correre per accaparrarsi il biglietto; il rischio che qualche compagno di gradinata rimanga fuori è concreto, lo slogan “O tutti o nessuno” nasce proprio da questa problematica. Ad oggi si può dire che la maggior parte dei gruppi si mantenga sul chi va là, posizione attendista nella speranza di rientrare quando la capienza sarà di nuovo al 100%. Intanto si cerca di rimanere vicini alla squadra, presenziando alle rifiniture pre-partita, alle partenze da stazioni e aeroporti, e soprattutto sull’asfalto antistante il proprio settore. Canti che arrivano all’interno delle arene come un’eco che, portata dal vento, sembra giungere da un’altra epoca.
Purtroppo in questo momento non vediamo la possibilità di entrare in Nord per tifare liberamente, non discutiamo l’aspetto sanitario, ma la capienza limitata ed il metro di distanza non lo consentono, a queste condizioni tutti i settori diventano tribune, non esiste più una curva dove si potrà tifare. Attendiamo quindi l’evolversi della situazione, quando vedremo le condizioni per tornare a tifare nella nostra Curva, come già oggi sta accadendo nel resto degli stadi Europei.
Estratto dal comunicato Boys Parma 1977 (27 Agosto 2021)
Al contrario, diverse tifoserie nei campionati professionistici hanno adottato una filosofia che si potrebbe definire pragmatica: entrare e fregarsene delle limitazioni, nonostante il rischio di incorrere in una pesante reprimenda. Una scommessa che punta sulla forza del numero e sull’incapacità dello Stato italiano di fare rispettare leggi che esso stesso approva. Scelta divisiva tanto a livello nazionale, quanto di singola curva, se si pensa alle differenti posizioni espresse, per esempio, dai gruppi della Curva Sud romana. In ogni caso, settori gremiti e colorati come quello casalingo dei Butei, dei Napoletani al Ferraris dietro allo striscione “Curva A”, degli Interisti al Bentegodi, solo per citarne alcuni, hanno permesso di rifarsi gli occhi, dopo un anno e mezzo di deserto.
Certamente una strategia che può pagare, ma senza dubbio l’azzardo è alto; al giorno d’oggi entrare e comportarsi come sarebbe sacrosanto comportarsi in una curva significa esporre il fianco ai cecchini della repressione. Nel breve i ragazzi di curva sembrano farla franca, ma chissà nel lungo periodo. All’Olimpico di Roma sono stati sanzionati 22 tifosi per assembramenti, mentre dall’ex San Paolo arrivano voci di multe salate per il mancato rispetto del posto assegnato. I tifosi allo stadio sono mancati proprio a tutti.
Questa spaccatura nel fronte delle tifoserie organizzate, che ricorda appunto il dibattito sulla sottoscrizione della Tessera del tifoso di circa dieci anni fa, testimonia quanto l’interpretazione della cosiddetta “Controcultura ultras” possa essere variegata, tanto tra una città e l’altra, quanto all’interno della stessa curva. Forse si sarebbe potuto intuire che gruppi con radici che affondano negli Anni ’70 come gli UTC della Samp, i Forever Ultras del Bologna, i Fedayn Roma, difficilmente avrebbero digerito capienza ridotta e limitazioni varie, ma mai sottovalutare il dibattito interno che può scaturire in circostanze così particolari. Per esempio, tifoserie come la Curva Ovest Ferrara hanno deciso di entrare a loro rischio e pericolo, per cercare di rilanciare uno spirito aggregativo ridotto al lumicino dalla pandemia. Di quanto il tema della sopravvivenza sia critico arriva inaspettata dimostrazione addirittura da Bergamo: gli Atalanta Supporters si sciolgono; un fulmine a ciel sereno. Oggi si spera che, fedele allo striscione Lunga vita agli Ultras che campeggiava ai suoi piedi, la curva bergamasca posso ripartire sotto una nuova guida.
Invece la Curva Nord “Maurizio Alberti”, attiva da sempre nel combattere la repressione sui gradoni e nelle strade, offre forse la posizione più peculiare: al seguito del Pisa soltanto in trasferta, dove la capienza, seppur ridotta, permette comunque di soddisfare tutte le richieste. Per il bene di tutti, c’è da augurarsi che se mai i Pisani dovessero organizzare una delle loro trasferte oceaniche nella prossima primavera, le attuali limitazioni siano soltanto un ricordo lontano. Ampliando la prospettiva a livello continentale, si nota come in Bundesliga le tifoserie organizzate abbiano deciso di attendere dai Lander il via libera alla capienza completa, mentre in Francia i gruppi, con il corrispettivo del Green Pass alla mano, sembrano piuttosto vivaci negli stadi senza limitazioni di posti. Oltremanica i botteghini registrano il pienone e la situazione andrà addirittura migliorando.
La risposta vera, fuori dai denti, è che una cosa giusta da fare non esiste. Non c’è una soluzione percorribile che non presenti lati negativi, per questo abbiamo dovuto seguire il criterio della priorità, e la priorità, in questo momento, è la nostra sopravvivenza. Non possiamo più rimanere lontani dalla nostra curva, dalla nostra gente, dalla nostra squadra, dai nostri colori, e torneremo subito a fare quello per cui siamo nati: governare la Ovest, aggregare, portare entusiasmo, diffondere i nostri valori.
Estratto da un comunicato della Curva Ovest Ferrara (3 settembre 2021)
Ritorniamo infine alla nostra amata Penisola e soffermiamoci ora sui suoi palazzetti, dove vige il limite del 35% di capienza. Nemmeno l’uccellino richiamato nella smorfia napoletana sembra fornire una giustificazione alla scelta di questa esatta percentuale, ma qui è il caso di approfondire il comunicato sottoscritto da oltre venti tifoserie, ribadito dagli espliciti striscioni: “100% di capienza, abbiamo perso la pazienza”. I gruppi organizzati non metteranno piede dentro ai palasport finché i posti saranno limitati; posizione dolorosa ma necessaria, anche per richiamare l’attenzione sulle condizioni finanziarie del basket italiano. Come già successo in passato, gli ultras della palla a spicchi nostrana riescono a dimostrare maggior compattezza rispetto ai colleghi del calcio, una posizione condivisa che ci si augura possa dare loro ulteriore credibilità nel confronto richiesto a Lega e FIP sulle strategie da adottare per smuovere le istituzioni. Sarebbe l’ora che, dopo tante chiacchiere e smielati elogi sull’importanza dei tifosi, alle parole seguissero i fatti. Dentro e fuori i tifosi aspettano.