Se uno sport (?) diventa pensione per stelle decadenti.
Decenni di ignoranza e pregiudizi a bollare come “minori” una serie di sport radicati nelle varie culture, per poi ritrovarci mani e piedi aggrappati al padel: si sa che le disgrazie non arrivano mai sole e così, insieme a Roberto Speranza, l’innecessaria eredità lasciataci dalla pandemia è stato questo sport (?) giunto da un luogo non ben definito (Argentina? Messico?) e approdato in Europa dopo decenni di migliorie e riadattamenti, vicissitudini e varianti: non una moda ma una scoperta periodizzante destinata a durare, uno spettro che ancora a lungo s’aggirerà per l’Europa sportiva del terzo millennio.
Toni beffardi a parte, queste colonne non daranno adito alla solita trattazione trita, ritrita e snobistica da ortodossi del tennis, sedicenti patrizi dello sport, su cui pure ci sarebbe molto da dire perché si sa, non c’è nulla di più noioso dei moralisti in assenza di morale. Loro nume tutelare è Nicola Pietrangeli, campione di tennis, giammai di simpatia, che dopo aver etichettato come “trionfo delle pippe” la disciplina venuta dalle Americhe è stato prontamente redarguito dal più gradevole Adriano Panatta, che ha fatto notare come
“il purismo del tennis rischi di diventare spocchia”.
Neppure si vuol tentare una fenomenologia prêt-à-porter della disciplina o un’indagine sociologica sull’utente medio (comunque molto semplice: tendenzialmente 30/40enne, tendenzialmente single e tendenzialmente affetto da sindrome di Peter Pan, convinto che la Jeep Renegade sia un suv, la resilienza una qualità e che quelle di Gio Evan siano poesie, vabbè). Non c’interessa, dunque, della disputa in atto tra tennisti snob e padelisti che ci credono troppo: d’altronde si sa, tutti i padelisti felici si somigliano mentre ogni tennista infelice è infelice a modo suo.
Piuttosto, l’oggetto dell’amara dissertazione è il clamore mediatico che viene riservato non ai livelli professionistici del padel – che potrebbe anche essere legittimo – quanto allo sport come refugium peccatorum di ex atleti ormai bolliti, anticamera del dimenticatoio e dell’oblio definitivo: difatti, per intere generazioni di sportivi non ancora pensionati ma non abbastanza qualificati da potersi assicurare un futuro dignitoso, ben oltre il viale del tramonto compare salvifica la soglia di un circolo padel, un ultimo barlume di notorietà.
Anche qui, al netto della nicchia di nomi illustri, l’indagine sociologica è piuttosto immediata: calciatore noto per qualche stagione a cavallo tra Anni ‘90 e i primi 2000, acconciatura non di rado ferma ad allora e fondo pensionistico inesistente, stella decadente nella galassia di chi anela ad una qualsiasi sistemazione tra salotti, incarichi dirigenziali di variabile prestigio o anche, nella peggiore delle ipotesi, social tv. Il problema centrale, dunque, non è negli interpreti ma nei canali che sovraespongono uno spettacolo così insulso, inconsistente, mostrando in mondovisione una schiera di ex stelle sovrappeso e sudaticce che goffamente si muovono scoordinate in un rettangolo che non è il loro.
L’attenzione al padel come consolazione previdenziale smaschera ancora una volta tutta la mediocrità e l’inadeguatezza deontologica di un sistema giornalistico anch’esso tramontato a forza di amichettismo e logiche di mercato e notorietà, a cui risulta letale la commistione tra fama, sponsor e copertura mediatica. Se la massima aspirazione narrativa sono le bandeje di Cassano e gli (pseudo) smash di Candela, è fisiologico -vivaddio! – che quotidiani e notiziari perdano credibilità e lettori: e poiché forma e sostanza vanno sempre di pari passo, uno spettacolo sportivamente così turpe non poteva che essere reggersi sulla retorica del King, delle Legends e dei Bomber cucita addosso a personaggi a cui di leggendario, nella migliore delle ipotesi, è rimasto il conto corrente.
Se questo è lo stato del giornalismo, ripetiamo con ancor più vigore l’intramontabile appello alla disinformazione di CB, e fregandocene di quattro bolliti con la pancetta che fingono di divertirsi per incassare qualche marchetta dagli sponsor – certo non li biasimiamo, il fine giustifica i mezzi – la nostra solidarietà va a professionisti e sportivi “minori” di cui forse si parlerà alle Olimpiadi: sperando che, in questo stato di bomberismo perenne, a parlarne non sia la BoboTV.