Mancano meno di 20 minuti alla fine del match. Il risultato è inchiodato sullo 0 a 0. E a noi non basta. Nella nostra tana, su ad Highbury, abbiamo pareggiato 1 a 1. Serve un gol. E alla svelta. La Juventus è una grande squadra. Praticamente 2/3 della Nazionale italiana che ha impressionato tutti due anni fa ai Mondiali di Argentina. Causio, Bettega, Tardelli, Scirea, Zoff, Cabrini, Gentile. Il Comunale di Torino è una bolgia. 70.000 tifosi della “Old Lady” sugli spalti con i loro cori, il loro incitamento, le loro coreografie. Sanno bene che la finale della Coppa delle Coppe è sempre più vicina, ad ogni minuto che passa. Io sono seduto in panchina. Non ho ancora compiuto 19 anni. Ne avevo 16 quando ho debuttato con i Gunners. E’ successo a Lipsia, in Coppa Uefa. Qualche altro piccolo cameo in prima squadra l’ho già fatto, contro Chelsea, Norwich, Middlesbrough.
Ma qui siamo a Torino e questa è la JUVENTUS ragazzi ! Da qualche minuto abbiamo iniziato a spingere con più intensità. E più la nostra intensità sale più la Juve inizia ad arretrare, a lasciarci campo. Anche sugli spalti il rumore è meno assordante. Un po’ di timore tra i 70.000 tifosi juventini inizia a serpeggiare. In fondo ci basta un gol e per fare un gol basta un secondo. Mi sto scaldando ai bordi del campo con i miei compagni. E’ una mite serata di fine aprile, ma io ho ancora la tuta addosso. Tanto mica devo entrare. Queste sono partite da uomini, non da ragazzini come me. Corricchio, faccio qualche piccolo esercizio fisico senza troppa convinzione. I miei occhi sono sul campo, dove sto sperando in una invenzione di Liam o in una zuccata di Frankie. Poi sento chiamare il mio nome. Avrò capito male.
Guardo i miei colleghi a bordo campo con me. Ci sono due Steve, un John ma un solo Paul. Paul sono io. Don Howe, il nostro grande Coach, la vera mente della squadra, si sbraccia. Mi avvicino quasi titubante. “Forza ragazzo, togliti quella tuta!” mi grida. Merda. Dice proprio a me. Mi tremano le gambe e anche le mani. Per poco non finisco lungo disteso mentre goffamente cerco di sfilarmi la tuta. Don mi da un paio di stringatissime istruzioni tattiche, poi mi batte una mano sulla spalla e mi dice “Vai dentro ragazzo, e segnaci quel benedetto gol”. Entro in campo. Sento 140.000 occhi tutti su di me. I miei compagni mi fanno coraggio. Qualcuno mi sorride, qualcuno mi guarda un po’ stupito, sorpreso come e più di me di vedermi in campo in un match del genere. Mancano 13 minuti alla fine.
Entro al posto di David, un centrocampista e mi piazzo vicino a Frank con Alan che si defila un po’ a destra. Frank è il nostro bomber. E’ un leader vero, anche se parla poco e sorride ancora meno. Qualcuno dice che presto se ne andrà dall’Arsenal e che io prenderò il suo posto al centro dell’attacco. Ora però sono in campo con lui. Le sue prime parole mi sorprendono “Ragazzo, tu stai in area e attacca sempre il secondo palo. Io cercherò di portarmi dietro Gentile per tenerlo lontano dall’area”. Frank Stapleton, idolo assoluto della North Bank, centravanti della Nazionale Irlandese che si sacrifica per la squadra e per me! Vabbè, quando mi sveglierò da questo sogno avrò qualcosa di grosso da raccontare agli amici! Il primo tocco di palla è disastroso. Il mio tentativo di controllo è in realtà un passaggio a Scirea, il loro bravissimo libero.
Cerco di rimediare andando su di lui in pressing come un indemoniato. Mi evita in dribbling con una facilità irrisoria, quasi fossi una cacca di cane sul marciapiede. Davvero un inizio niente male! Arriva una palla lunga da dietro di David. E’ esattamente a metà tra me e Frankie. Siamo entrambi due “target men”, due prime punte, due tipiche “torri” all’inglese. Io sono 188 cm e per me è naturale andare a cercare questi palloni per fare da sponda per un compagno. Ma è altrettanto naturale per Frank. Saltiamo entrambi su quella palla ed entrambi saltiamo più in alto di Gentile e arriviamo insieme su quella palla, peccato che dietro di noi non ci sia nessuno a raccogliere il passaggio! Frank mi manda letteralmente a quel paese.
“Cazzo ragazzo, ti ho detto di stare in area!”.
Beh, se non altro ritrovo il Frank Stapleton che conosco! Intanto i minuti passano. La Juventus è ora decisamente spaventata e si chiude sempre di più. Ma fare gol ad una difesa italiana che si chiude è quasi come vincere alla Lotteria nazionale. Improvvisamente troviamo un varco sulla sinistra. E’ da un po’ che ci stiamo provando da quella parte. In fondo i nostri due giocatori più creativi, Liam e Graham, sono entrambi mancini. Per 88 minuti i risultati però sono stati scarsi. Ora però riusciamo a servire “Rixy” nella sua posizione, sulla linea laterale a una trentina di metri dalla linea di fondo. La fascia è ben presidiata dai giocatori bianconeri ma Rixy prova a partire in progressione. Lo spazio sembra davvero troppo poco ma improvvisamente trova un punto di riferimento inaspettato. C’è Frank, sulla linea laterale, a fare da sponda e a triangolare con il nostro numero 11.
Noi tutti sappiamo bene che al nostro riccioluto e biondo mancino bastano pochi centimetri di spazio per riuscire a mettere uno dei suoi fantastici cross. In fondo è proprio così che meno di un anno fa abbiamo vinto la FA CUP contro il Manchester United a Wembley, grazie ad un suo cross “al bacio”, quella volta per Alan. E anche oggi, come allora, mancano meno di 120 secondi alla fine. Rixy punta deciso la linea di fondo. Guadagna mezzo metro su Claudio Gentile. Per Rixy equivale ad un miglio marino! A meno di mezzo metro dalla linea di fondo riesce a pennellare il suo cross. “Ragazzo, attacca il secondo palo” mi ha detto Frank appena sono entrato. E così faccio.
La palla scavalca tutta la difesa della Juve. Perfino Cabrini ha fatto un passo verso il centro per chiudere su Alan. La palla mi arriva precisa sulla testa. Non devo quasi saltare. Sono a due metri dalla porta. La metto dentro. Nel Comunale di Torino scende un silenzio irreale. Zoff guarda i suoi compagni, allarga le braccia come a dire “E questo chi è? da dove cazzo è sbucato?”. Poi si mette le mani nei capelli. Ha capito che per la Juventus è la fine. Corro verso la panchina, cerco di arrivare da Don, credo. In realtà non capisco più niente. I compagni mi sommergono. Mi arrivano addosso contemporaneamente David e Willie, i nostri due difensori centrali. Come dire 170 kg circa in un colpo solo. Non riesco nemmeno a gridare. Ma non è per l’emozione. E’ solo che quasi mi sfondano la cassa toracica! Siamo in finale di Coppa delle Coppe. Siamo la prima squadra britannica che espugna il campo della Juventus. Siamo ad un passo da un trionfo europeo. Il “gol benedetto” chiesto dal nostro grande Coach l’ho segnato io. Sono sul tetto del mondo.
Paul Vaessen giocherà ancora una ventina di partite con i Gunners. Segnerà qualche gol, uno anche in un derby con il Totthenam. Giocherà alcune ottime partite a conferma che il “dopo-Stapleton” i Gunners ce l’avevano già in casa. Ma proprio contro il Totthenam Hotspurs di romperà il legamento crociato del ginocchio destro. 3 interventi, una protesi dolorosa quanto inutile. Tutto inutile. Nell’estate del 1982, quando non ha ancora 22 anni, dovrà abbandonare il calcio. Il dolore, fisico e morale, di chi si è visto strappare i suoi sogni in un modo così crudele lo avvicineranno alla peggiore delle compagne: l’eroina. L’Arsenal, colpevolmente, lo scaricherà senza nessun tipo di appoggio, ne morale ne economico. In pochi anni la vita di Paul Vaessen, il nuovo Frank Stapleton, diventerà identica a tanti altri ragazzi come lui caduti nella spirale della tossicodipendenza. Eroina, carcere, tentativi di riabilitazione, poi ancora eroina, carcere, altri tentativi di riabilitazione.
Arriva anche un figlio, un breve periodo di serenità, un corso di fisioterapia. Ma il dolore al ginocchio aumenta, ora è zoppo. L’eroina lenisce il dolore al ginocchio e al cuore. In un regolamento di conti in quel torbido mondo si prende sei coltellate. In sala operatoria il suo cuore di ferma due volte. Lo salvano per miracolo. Il calcio lo ha reso uno storpio, si trascina la sua gamba tra un lavoretto e l’altro, tra un buco e l’altro. Racconta spesso del suo “quarto d’ora di gloria” ma ormai quasi nessuno gli crede. Arriva a pesare poco più di 60 kg, lui che è quasi 190 centimetri. Non ha ancora 40 anni quando in una calda giornata di agosto il suo corpo senza vita viene ritrovato in un piccolo appartamento di Bristol. E’ una overdose a stroncarlo. Da giorni aveva un terrore in più con cui fare i conti; la possibilità di vedersi amputare la gamba. Occorre una delicata e costosa operazione per evitarlo. E’ un mercoledì. La madre cerca di rintracciarlo disperatamente nelle ore precedenti. Il giorno prima è arrivata la conferma che i fondi per l’operazione sarebbero arrivati. Troppo tardi. La notte di Torino, la “sua” notte, è lontana molto più di 20 anni. Sembra un’altra vita, peggio, sembra la vita di un altro. Si, si può salire sul tetto del mondo, ma cadere da lassù ti uccide. Riposa in pace Paul.
Brano estratto da Storie maledette, di Remo Gandolfi (Urbone, 2017).