30 ottobre 2016. Andrea Dovizioso, in sella alla Ducati ufficiale, vince il Gran Premio di Malesia, la sua prima gara dopo 8 anni, quando ancora correva in Honda. Sembra una gara qualsiasi, ma è proprio lì che nasce il pilota che quest’anno ha combattuto per il Mondiale. Cosa porta un ragazzo che aveva vinto in 10 anni di MotoGp solamente un Gran Premio a vincerne addirittura 6 nella stessa stagione, a totalizzare 8 podi con soli due ritiri, lottando fino all’ultima gara per la vittoria del Mondiale contro quel fenomeno di Marc Marquez?
In duello al GP d’Austria
La risposta a questa domanda è frutto di un percorso che ha portato Dovizioso a raggiungere la maturità, sia dentro che fuori dalla pista. Infatti Andrea dall’inizio del 2016 si avvale della collaborazione di un mental coach, il dottor Amedeo Maffei, uno psicologo che studia il rapporto tra il cervello e le potenzialità fisiche. Grazie al lavoro intrapreso da ormai 2 anni, Andrea ha acquisito sia una maggiore consapevolezza nei propri mezzi che una migliorata resistenza mentale, in modo da gestire i momenti critici durante la gara e la sua preparazione. Da un’intervista rilasciata dal dottor Maffei, si scopre che il suo lavoro è consistito nel rimuovere dei freni, anche inconsci, che aumentavano solo la fragilità propria di ogni uomo. Il dottore a tal proposito riferisce che Andrea eraeccessivamente modesto, e ciò gli impediva di superare un muro costituito dai suoi timori interiori; muro che il Dovi ora ha demolito con la sola forza della volontà.
Per resistere a Marquez è servito ben altro che un motore potente
Cambiata la mentalità, si è trasformato anche il modo di condurre il mezzo: senza ansie e tensioni che prima lo frenavano, ora corre per sé, per vincere, senza preoccuparsi di battere un rivale specifico. Il Dovizioso formato 2017 in effetti è cambiato rispetto al passato, si è evoluto migliorando nei punti in cui riteneva di essere più debole, convincendosi di poter lottare ad armi pari con la migliore generazione di piloti che il Motomondiale abbia mai avuto nella sua storia (24 titoli mondiali vinti dai primi 7 della classifica): mettendo sull’asfalto una grinta inusuale, ha dimostrato una cattiveria agonistica nei corpo a corpo che gli ha permesso di vincere gare che negli anni precedenti avrebbe sicuramente perso. Specialmente in Austria e in Giappone, una sull’asciutto e l’altra sul bagnato, in cui è stato protagonista di grandi bagarre con Marc Marquez, capace a 24 anni di vincere 6 mondiali totali, di cui 4 nei suoi primi 5 anni nella classe regina. Sia a Zeltweg che a Motegi Dovi ha dato una prova di grande carattere, resistendo agli attacchi del funambolo spagnolo. Infatti in entrambe le gare Marquez, dietro all’ultima curva, ha provato un numero da circo: qui Andrea ha fatto la differenza, difendendo la prima posizione e permettendosi, in Austria, di mandarlo a quel paese per la manovra azzardata. A queste doti si aggiungono delle particolari abilità di Dovizioso da collaudatore, abilità sempre sottovalutate. In effetti quest’anno, la Ducati, grazie al lavoro certosino di Andrea insieme all’ingegner Dall’Igna e al suo team ha raggiunto un livello di competitività che non si vedeva dai tempi di Stoner, pilota mai dimenticato dai tifosi ducatisti. La moto italiana, da sempre famosa per la potenza del motore grazie al quale raggiunge velocità di punta molto più alte delle moto avversarie nei lunghi rettilinei, aveva sempre avuto problemi di guidabilità, specialmente in percorrenza curva.
Spesso la propria ombra è il fantasma più difficile da affrontare
Oltre ad aver cambiato approccio alla vita e alle corse, Dovizioso è riuscito anche a conquistare il cuore degli appassionati italiani, risultato non semplice data la presenza ingombrante di quel fuoriclasse di Valentino Rossi. Andrea ci è riuscito grazie alla sua semplicità. Dovizioso infatti è un ragazzo normale, calmo, lontano dallo stereotipo del pilota spaccone e pieno di sé; ha una moglie e una figlia, pochi amici fidati e un particolare legame con la sua città natale in cui torna a riposare appena può. Piace insomma per la sua diversità, per la sua normalità rispetto a un ambiente che vive sempre all’eccesso, ossessionato com’è dal successo e dalla sua ostentazione. Andrea ha conquistato i tifosi perché, in fondo, è come ognuno di noi vorrebbe essere, una persona che ha guardato in faccia i propri fantasmi e li ha sconfitti, diventando un uomo, prima che un pilota, migliore. Ora è un uomo nuovo, un uomo che sa gestire il momento critico ed ha un approccio sia alla vita che al weekend di gara, anzi arrabbiato che non sia successo prima, conscio del fatto di avere talento e una notevole forza interiore, di cui prima non era consapevole. La domanda che ora ci si fa è: riuscirà Andrea a ripetere, o addirittura migliorare, quanto fatto lo scorso anno, magari vincendo il primo Mondiale in MotoGp?
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