Storia e dilemmi dell'AIC, e del suo capo fondatore.
Storicamente, nel nostro Paese, il termine “avvocato”, nel calcio e non, ha un unico connotato. Eppure, a oltre cinquantanni dalla sua ascesa nella politica sportiva, quella di Sergio Campana resta una figura intramontabile; il primo visionario a interpretare il ruolo di legale dei calciatori. Inevitabilmente, ponendosi dal lato opposto rispetto ai facoltosi presidenti, è stato considerato un rivoluzionario in piena regola, anch’egli avvocato. Campana è il massimo esponente della nuova coscienza pallonara, forte del successo azzurro all’europeo casalingo del ’68, e soprattutto talmente intrisa negli stessi giocatori della nazionale da farli radunare tutti, un mese dopo il trionfo dell’Olimpico, presso lo studio milanese del notaio Barassi.
Bulgarelli, Mazzola, De Sisti, Losi e Rivera, sono coloro i quali siedono al tavolo dei negoziati, riunione in cui però vi partecipano idealmente anche i due personaggi simbolo del calcio sessantottino, Paolo Sollier e Gianfranco Zigoni. Un comunista e un libertino, uomini che riportano in campo il fervore delle piazze, impulsivi e sregolati come le improvvise manifestazioni studentesche, e ovviamente decisi nel fondare il Sindacato dei Calciatori. Il lato buio del fenomeno calcistico.
Nessuna qualifica professionale, tantomeno diritti lavorativi, sottoposti al rischio perenne del ritiro anticipato o dei mancati pagamenti, senza diritto di replica. Malgrado la nascita dell’Associazione italiana calciatori, la situazione sportiva generale rimane inquieta. Esempio lampante è quanto accade al Teatro Sistina, cornice della colletta romanista, ossia l’aiuto finanziario dei tifosi per una squadra incapace di sostenere la trasferta di Verona. Difatti, è proprio il capitano della Roma, Giacomo Losi, a carpire la necessità di un leader competente all’Aic, e trova la persona ideale. Un ex centravanti di Vicenza e Bologna, laureato in giurisprudenza, una carriera spesa fra studi e allenamenti. A Bassano del Grappa vive l’unico giocatore laureato, Sergio Campana, ed è alla sua porta che bussano.
Un colletto bianco dalla faccia pulita, stranamente ribelle nella divulgazione, mix perfetto dell’Italia del tempo. Esprimeva differentemente le influenze sociali di Gigi Meroni e dei cortei studenteschi, concentrando il dissenso in dichiarazioni precise e impeccabili, fastidiose agli occhi delle varie dirigenze. Il patron viola, Artemio Franchi, si scaglia da subito contro l’Asso calciatori, promettendo severe ammonizioni e controlli sulle probabili assenti tassazioni ai giocatori. La creazione di tale sistema ostile rafforza il divario fra le parti, complicatosi a causa di un’opinione pubblica in linea di massima contraria allo stipendio da 30 milioni di lire, e quindi in balia di una confusa indolenza.
Sergio Campana si guadagna il rispetto delle fazioni, comprendendo antropologicamente i bisogni di una generazione di giocatori umile, dall’estrazione contadina oppure operaia, i cui ricavi sono spesso destinati alle famiglie. Il ’69 è l’anno dell’allunaggio, di Battisti a Sanremo e di Woodstock, di Gheddafi in Libia e del Vietnam, della creazione di Internet e di Piazza Fontana. I sindacalisti del pallone vogliono iscrivere l’associazione al processo storico in corso, ci riescono abolendo la legge sul 40%. La norma prevede che, se il professionista non raggiunge le 30 presenze stagionali, la sua retribuzione viene dimezzata. Sergio Campana si dimostra intollerante alla sordità dei proprietari, decidendo di proclamare un impensabile sciopero calcistico. Da buono stratega, Campana sa che, sotto quest’incombente possibilità, i club avrebbero dato risposta, ottenendo quanto richiesto senza ricorrere al sabotaggio.
Nel 1972 il clima è nuovamente scosso quando Gianni Rivera è squalificato per tre mesi in seguito a delle colorite proteste arbitrali; Campana intravede terreno fertile. E’ distante il concetto del calciatore intellettuale, attivo nel dibattito politico e culturale. Sergio Campana è sicuro di poter affermare l’atleta persino in ambito letterario. L’Aic promuove dunque un progetto di concorsi artistici, dalla fotografia alla scrittura, i cui premi vengono consecutivamente assegnati alla penna narrativa del centrocampista proletario, Paolo Sollier. La strada tortuosa dell’emancipazione ha un vasto chilometraggio, e un biennio dopo Campana torna a rintoccare. Il 14 aprile del ’74, l’Aic fa ritardare di 10 minuti l’ingresso in campo di tutte le formazioni, gesto di solidarietà nei confronti di Augusto Scala, il quale sta tentando di rifiutare la cessione dal Bologna all’Avellino.
E’ il preludio di uno shock collettivo, emblematico per la completa consacrazione mediatica di Sergio Campana. La sessione di mercato estiva del ’78 è scossa dal sopraggiungere dei Carabinieri all’Hotel Leonardo Da Vinci: Campana ha chiamato personalmente le Forze dell’Ordine per denunciare la mediazione di manodopera con scopi di lucro dei vari entourages. Le autorità sequestrano i contratti della Lega, in modo da indagare sull’oscurità delle trattative, evento chiave per l’abrogazione della legge sul vincolo. Sergio Campana ci ha visto lungo, e con la benedizione di Giulio Andreotti può agguantare la fine della mercificazione dei giocatori.
La legge 91 riconosce lo status di lavoratore e dipendente al calciatore, il quale può liberarsi, tramite il versamento di un indennizzo, al termine della durata contrattuale. Il calcio è ufficialmente cambiato, e con sé le carte in tavola. La sentenza Bosman apre a un nuovo ciclo di mobilitazioni. Stavolta Campana va fino in fondo, è disposto a cancellare il rito domenicale degli italiani, fin quando l’Aic non godrà del diritto di voto in consiglio federale. Il 16 marzo 1996 i calciatori si astengono dal lavoro, dai campioni alla c2: portavoce della contestazione sono Gianluca Vialli e Beppe Bergomi. Il giorno senza calcio fa discutere, con una popolazione delusa, privata del proprio principale diletto.
Una sorta di esperimento sociale che fa piombare Campana nell’abisso delle critiche, un burrone che è costretto a risalire con pazienza. Quasi ottantenne, Campana passa il testimone a Damiano Tommasi, lasciandogli un incarico immediato e di rilievo, quello d’indire il secondo sciopero calcistico effettivo. Le prime due giornate di campionato del 2011 sono rimandate, azione motivata dal mobing societario sui calciatori in scadenza. L’appuntamento sportivo, fonte di distrazione dalla tristezza dell’estate in conclusione, aveva, a detta dei tifosi, tradito la propria passione, venendo meno alla sacralità donatagli dal pubblico, ora vittima infuriata. Nello Stato degli scioperi, fermare il calcio è un’impresa. L’ultima definitiva battaglia di Sergio Campana termina col decreto Melandri, concedendo ad atleti e tecnici delle rispettive discipline di presenziare alla giunta Coni e votare in occasione delle Assemblee Elettive.
Dopo mezzo secolo di lotte, Sergio Campana depone le armi, lasciando a Tommasi il compito di proseguire nel conservare il ruolo degli sportivi al potere. Di recente, l’Aic ha allargato il suo impiego nella previdenza, nella maternità fra le calciatrici e nei fondi di sussistenza per gli svincolati. Sergio Campana ha rotto le catene della schiavitù calcistica, cambiando drasticamente il gioco. A oltre cinquantanni dalla fondazione dell’Aic, l’obiettivo è liberare i giocatori dalla restrizione della propria immagine, quella di individui, volutamente o meno, segregati nella propria influenza.