È tornato il tormentone Donnarumma. Nell’edizione odierna del Corriere della Sera, Carlos Passerini ha lanciato una bomba ripresa dai principali quotidiani nazionali: «Il tremendo avvio di Szczesny sta facendo tornare i bianconeri sui propri passi: con Gigio la porta sarebbe coperta per dieci anni». Senz’altro, e i conti della Juventus? Già in profondo rosso, si aggraverebbero ulteriormente, anche perché Gigione adesso costa. Eccome se costa, anche se al PSG non gioca. Non ancora, perlomeno.
È triste, Donnarumma. È stato fatto fuori dal clan sudamericano, riporta sempre sullo stesso giornale Stefano Montefiori. Keylor Navas, oltre ad essere un eccellente portiere, evidentemente è anche ammanicato. Scherzi a parte, qui c’è poco da ridere e molto su cui riflettere. Donnarumma ha abbandonato il Milan che gli offriva un discreto stipendio, non distante da quello del club parigino peraltro, per fare cosa? Per vivere da panchinaro la stagione della consacrazione definitiva, dopo aver vinto un Europeo da protagonista. Ma è triste, Gigione.
E la furia social, chiamiamola così, ha individuato un solo colpevole: Mino Raiola. Eccolo il mostro dalle mille teste che coi vari De Ligt, Pogba e Balotelli fa sempre lo stesso giochino: li coccola, li riempie di soldi e anche di dolci al cioccolato, quanto basta per provocargli quel mal di pancia che si cura solo cambiando aria.
Il giochino c’è, ma è possibile che la colpa sia solo di Raiola? Giuseppe Pastore ha scritto che «Donnarumma non ha pensieri propri, almeno non ne ha riguardo alla sua professione: fa sempre e comunque “quel che dice Mino” (cit.), quasi sempre spalleggiato dai familiari del giocatore. È un asset di proprietà di Raiola prima ancora che di questo o quel club. Il ragazzo (ma vale anche per gli altri) fa oggettivamente la figura del babbeo ma non se ne rende neanche conto. È un punto di vista se vogliamo triste, che non depone a favore della brillantezza di Donnarumma, ma sempre più diffuso presso i giovani calciatori di alto livello, quasi tutti completamente disconnessi dalla realtà. Qui giacciono Mino e i suoi fratelli, che di loro si nutrono spesso e volentieri».
In un mercato sempre più povero e sbilanciato, dove le squadre di Premier e il PSG fanno un altro gioco, lo scacchiere dei trasferimenti è tutto in mano – ancor più di prima – ai calciatori e a chi ne cura gli interessi, cioè i procuratori. Le società che decidono di ribellarsi a questo meccanismo (Commisso con Mendes, Milan-Maldini con Raiola) sono sempre di meno, ma costituiscono una speranza. Chi non ne ha è il calciatore singolo, a meno che non si chiami Kimmich e decida di sedersi solo al tavolo del club, per trattare il proprio futuro. O si ricordi la lezione impartita dai nostri genitori: mai accettare caramelle dagli estranei.