Contrariamente a quanto avviene durante la guerra delle Falkand, anche i britannici in principio vengono attratti dai nuovi territori del Rio de la Plata. Solo per fare un esempio, la famiglia Brown consegna al Sud America due dei suoi più autorevoli generali; il primo, in divisa, a guida gloriosa dell’armata argentina, è l’ammiraglio Guillermo Brown. Il secondo invece indossa la maglia albiceleste, e un gol a Messico ’86 lo consacra in eterno come simbolo di quella nazionale vittoriosa: è il Tata, di recente scomparso.
Come spesso accade in questo lembo di Terra, la tratta da Buenos Aires a Montevideo viene percorsa congiuntamente alle mandrie di bovini, fiorente attività per chi arriva dall’Europa. Per questa ragione, tra le altre, gli irlandesi O’Neill si stabiliscono nella cittadina uruguaiana di Paso de los Toros. È tra recinzioni e vie sterrate che vede la luce, il 14 ottobre del 1973, Fabian O’Neill. Il calcio sudamericano dona al calcio un album di rimpianti divenuti oramai ripetitivi, delle cui vicissitudini sono già stati versati fiumi d’inchiostro. La vita di Fabian O’Neill, però, è differente, e merita di essere ricordata ancora una volta.
“Si me muero me muero, a mi no me importa nada”.
I soldi, le prostitute, la fama, non rientrano minimamente nei pensieri giornalieri del Mago. In realtà le preoccupazioni non l’hanno mai minimamente intaccato. Gli basta pettinare la sfera, disegnando sinuose figure geometriche prive di disciplina e accompagnarle con una generosa dose di whisky. Fabian il limite lo oltrepassa presto. A 9 anni i primi bicchieri sostituivano qualche allenamento di troppo, eccessivi forse per uno con quella tecnica lì.
Al Club Defensor circola ancora voce sulla veneranda età di nonna O’Neill; tanti sono stati i compleanni per cui il ragazzo avrebbe saltato dozzine di sedute. Un milonguero che sembrava emulare le fantasie contemporaneamente raccontate, su larga scala, da un altro trequartista charrua: Enzo Francescoli. L’ossimorica lentezza elegante nel tocco, alla quale segue un brevissimo ma ardente spunto che si tramuta in giocata decisiva, ecco cosa accomuna O’Neill con El Principe, al punto da convincere il Nacional a buttarlo nella mischia del Superclàsico del Centenario.
Ogni singolo Peñarol-Nacional con il numero dieci in distinta si tramuta in un cabaret derisorio per i carboneros. Complicato uscirne vivi per una partita di tale portata. Eppure, l’interminabile elenco di tunnel perpetrato ai danni della difesa giallonera esprime a pieno la spavalderia di un non curante del pericolo, di un ragazzo obbediente soltanto al proprio istinto.
Il disdegno rivolto tanto ai dettami del Nacional quanto alla disciplina calcistica attrae un istintivo su tutti, l’ex patron del Cagliari, Massimo Cellino. Si dice che non ogni male viene per nuocere; difatti il vuoto della dipartita di O’Neill dal club è praticamente colmato subito; perché il testimone al Nacional viene consegnato al Chino Recoba.
Nel frattempo, Trapattoni fa il nome di Fabian per sostituire proprio Enzo Francescoli, in un intreccio dalle coincidenze cinematografiche. A metà anni Novanta il capoluogo sardo costituisce un porto sicuro dove gli uruguagi sanno di essere amati senza dover rinunciare alle proprie classiche passioni carnali; a battezzare questa sorta di tradizione sarà in panchina il maestro Tàbarez.
Effettivamente, il biglietto da visita di Fabian è strabiliante. Si presenta al San Paolo di Napoli nelle vesti di giocoliere, ambidestro, e con una visione di gioco fuori dal comune. Sembra davvero in procinto di esplodere, sebbene alterni il S. Elia con lo stabilimento di Assemini, sede della famosa birra Ichnusa. Cellino ha già ideato la costruzione del gruppo attorno al suo ennesimo diez sudamericano, ripetendo quanto avvenuto in presenza di Francescoli; optare per un allenatore urguayano.
La scelta, erronea, ricade su Gregorio Pèrez, assistente di Washington Tàbarez sulla panchina della Celeste durante i mondiali nostrani. La fatalità è davvero elementare; Pèrez è stato uno dei manager storici del Peñarol, nonché direttore della Manya proprio nel periodo in cui nella metà campo opposta, ma solo al fischio d’inizio, con calzettoni abbassati e sorriso irrisorio, la legge rispondeva a Fabian O’Neill.
Definire il rapporto conflittuale sarebbe riduttivo. Qui si oltrepassa di gran lunga l’indifferenza. La dirigenza è costretta al cambio di allenatore, e si va di male in peggio. Secondo gli antichi greci, per conoscere la vera natura di un uomo bisogna donargli il potere. Purtroppo o per fortuna, il soggetto in questione non è Pericle, ma Carlo Mazzone; sarà lui a reggere le redini del Cagliari. L’oligarchia cagliaritana basata su Sor Carletto e O’Neill si rivela una bomba a orologeria; nessuno lascia un briciolo d’influenza sull’altro e il risultato è l’assoluta disfatta.
Si retrocede in Serie B. A risollevare le sorti dei Mori ci sarà Gian Piero Ventura. Con lui, il neopromosso Cagliari si nutrirà di mate, tecnica e sostanza. O’Neill nel 1998-99 disputa la sua miglior stagione di sempre al fianco di Diego Lòpez, facendo impazzire la Roma di Zeman con una doppietta che difatti la escluderà dalla successiva Champions League. A 26 anni, questo tuttocampista col compasso sempre aperto ha folgorato la Serie A, e in particolare un suo collega di reparto, con ben altro seguito. Zinedine Zidane vuole giocare con lui alla Juve e, per Zizou, O’Neill sarà tecnicamente il miglior calciatore con cui abbia condiviso lo spogliatoio.
Zinedine Zidane vuole giocare con lui alla Juve e, per Zizou, O’Neill sarà tecnicamente il miglior calciatore con cui abbia condiviso lo spogliatoio.
L’apparenza della ribalta è il vero nemico di Fabian, che inizia a rifugiarsi nel gancho al higado, classico sintomo di chi sta accarezzando la cirrosi epatica. La delusione torinese si ripeterà a Perugia, ed è soltanto il preludio di un oscuro inabissarsi. Si narra abbia sperperato i 14 milioni guadagnati dalla famiglia Agnelli in un lampo; ragion per cui il ritorno in patria è l’unica alternativa possibile e voluta. Neanche 30enne, Fabian O’Neill dice addio a quello sport trasformatosi in lavoro; lui non è fatto per lavorare, nemmeno può importargliene.
Il ritiro è un passaggio doloroso, contornato da molti psicologi e altrettante operazioni alla vescica, periodicamente inutili. Ha scelto di stanziarsi nella Capitale presso l’attività della suocera, il bar “La Nueva Lata”. Con la moglie Andrea e il figlio Favio sta vivendo la sua dimensione, occupandosi premurosamente di svuotare ogni bottiglia invenduta dal bancone. Di rado, vaga alla ricerca di talenti. Gli è stata proposta la via dello scouting, ma O’Neill in giacca e cravatte sugli spalti sarebbe un paradosso.
I diamanti si celano nel sottosuolo e per estrarli bisogna sporcarsi le mani. È un hobby quello di vagare tra campetti di terra battuta e adocchiare prospetti, accendere il cellulare e digitare un numero; basta così. Commissioni, percentuali, non rientrano nell’idea calcistica di Fabian O’Neill, il suo è un contributo passionale al futuro del pallone. Dimenticavamo. Una delle sue gemme nascoste affidate al Nacional si chiama Luìs Alberto Suàrez. Gracias, Mago Fabian.