Una scelta lontana anni luce dal mondo reale (e da quello del calcio).
Chi ci conosce e legge da tempo lo sa, quanto Contrasti sia una rivista che nasce (e cresce) per difendere le piccole e grandi identità del nostro Paese. E quale identità più profonda di quella cristiana per una penisola cresciuta all’ombra dei campanili – intesi sì come appartenenze locali ma soprattutto come appartenenza cristiana. Per citare Benedetto Croce, che ci piaccia o meno, noi italiani come popolo “non possiamo non dirci cristiani”, e della religione parlano la nostra storia, la nostra culturà, le nostre società.
Varie volte allora su queste colonne abbiamo sottolineato il legame del calcio italiano con la religione, ripercorrendone la storia, evidenziandone il ruolo degli oratori, approfondendo gli stessi pontefici sotto la lente sportiva – da Ratzinger allo stesso Bergoglio.
Eppure, crediamo che la decisione di fermare e rinviare tutti i campionati italiani (dalla Serie A ai Dilettanti) sia oggi, 21 aprile 2025, una scelta di facciata, ipocrita, persino controproducente. Senza appigli concreti nella società e nel senso comune, figurarsi nel mondo del calcio. Innanzitutto perché, come molti hanno scritto, l’Italia è uno Stato laico, e lo stesso Santo Padre non aveva alcun rapporto diretto con il calcio italiano – così come non li ha la Chiesa in generale. Non si capisce dunque per quale motivo interrompere i campionati, certo un gesto di rispetto verso un’istituzione centrale nel nostro Paese ma privo di una reale connessione o motivazione con il settore in questione.
Qualcuno ha addotto anche la ragione del periodo, una morte simbolica nel periodo della Resurrezione di Gesù, ma pure qui, siamo onesti: la Pasqua in Italia ha ancora una valenza religiosa così sentita e partecipata? Se l’avesse avuta, intanto, non si sarebbe neppure giocato questo fine settimana (a maggior ragione ieri) ma poi è sufficiente vedere gli auguri dei vari club per la festività: uova, decorazioni, simboli, una festa ridotta a marketing colorato e, ben che vada, ad occasione per stare un po’ con le proprie famiglie. E già qui si percepisce il grado di scristianizzazione e secolarizzazione delle nostre società, consapevoli a malapena di ciò che rappresentano le feste comandate.
In altri casi poi, a partire da quelli delle morti di alcuni tifosi, sicuramente eventi più ‘sentiti’ da parte di chi anima il mondo del pallone e delle curve, sì e no il calcio tricolore ha rispettato il minuto di silenzio, scatenando le ire delle tifoserie e aumentando la distanza percepita da queste ultime tra sé stesse e le politiche da palazzo, e autoreferenziali, della FIGC.
Ma il problema più grande è proprio la percezione di questo rinvio. Spesso si tralascia o si demonizza il senso comune, come se questo non fosse in grado di cogliere l’importanza e la complessità di determinate questioni. Ma in questo caso, per la scomparsa del ‘Papa della gente’, è emersa tutta l’incomprensione ad opera di milioni di italiani per una scelta del genere, quella appunto di fermare lo sport italiano. Non se ne è compreso il nesso ma neppure lo spirito.
Non se ne è capito il senso, e più che la critica a regnare è stata inizialmente la sorpresa. Il tutto con tifosi che si erano fatti centinaia, se non migliaia di chilometri per seguire la propria squadra in trasferta, e che hanno buttato soldi e tempo per dover ripiegare invece a casa – c’è chi l’ha presa con filosofia come i tifosi del Bari, che dopo un migliaio di km percorsi per giungere a Bolzano per la trasferta con il Südtirol, hanno deciso, una volta giunta la notizia, di allestire una grigliata nel parcheggio del settore ospiti per poi rimettersi in viaggio verso la Puglia.
Ma lo stop ha coinvolto tutte le serie, addirittura la Primavera, laddove l’Under 20 dell’Udinese era giunta a Roma, in pullman, per sfidare i giallorossi allo Stadio Tre Fontane (EUR) e ha dovuto registrare la notizia pregando che il match venisse recuperato l’indomani per evitare di tornare fino in Friuli – alla fine la garà verrà recuperata domani, anche perché le logiche (economiche e pratiche) per la Primavera sono ben diverse da quelle della Serie A.
Insomma, il fatto stesso che in tanti non solo con condividano, ma non si capacitino di questo stop è già indicativo della lontananza di una simile decisione dal sentire comune. Come poi se nel giorno della morte del Papa, in Italia, non si dovesse giocare. Ma a lasciare interdetti è soprattutto la “scelta etica” di un mondo, quello del calcio, che ormai da anni ha smarrito qualsiasi coordinata morale e ha perso il legame profondo con la società, chiudendosi invece nella sua bolla e votandosi al solo principio economico – nella ricerca, tutt’altro che morale, di ogni modo possibile per incassare denaro.
È questo contrasto, questa contraddizione, questa scelta santa di un mondo a dir poco profano che lascia tutti spiazzati.
Una decisione che una volta di più non considera i sacrifici e le esigenze dei tifosi, ma si basa inesorabilmente sulle logiche politiche di una Federazione che predica bene e razzola male, che dà buoni consigli perché non può più dare il cattivo esempio. Allora, nel massimo rispetto per il dolore della Chiesa e dei fedeli, nell’augurio al Papa che faccia buon viaggio nel suo ritorno alla casa del Padre, non possiamo che rivolgere anche un augurio al nostro calcio: che torni davvero nella società, come la Chiesa di Francesco, perché ne avrebbe disperato bisogno.