Interviste
16 Dicembre 2024

Troppe partite, troppi infortuni, un prodotto scadente

Intervista a Umberto Calcagno, presidente dell'AIC.

«Per massimizzare i ricavi nel breve periodo si sta, probabilmente, distruggendo il prodotto calcio. I calciatori ne risentono e, inoltre, l’aumento delle partite internazionali contribuirà a sottrarre risorse ai campionati nazionali, soprattutto se gli introiti non verranno redistribuiti in modo equo. Tutto questo creerà una forbice spaventosa tra due, tre, quattro squadre e il resto del movimento». Così ha esordito al telefono Umberto Calcagno, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori (AIC) e vicepresidente della FIGC.

Lo abbiamo raggiunto per un’articolata intervista in cui ha commentato, con noi, l’ultimo studio pubblicato da “Injury Time”. Il rapporto offre un quadro inquietante sull’incidenza crescente degli infortuni nel calcio professionistico europeo, mettendo in evidenza come i ritmi insostenibili stiano compromettendo la salute degli atleti, la qualità dello spettacolo sportivo e la sostenibilità economica del sistema.

Attraverso un’analisi dei dati delle principali leghe europee, come Serie A, Premier League e La Liga, emerge che l’aumento degli impegni internazionali – dall’inutile Nations League ai nuovi format europei – ha causato un +30% degli infortuni tra i calciatori impegnati in calendari particolarmente compressi. Questo fenomeno si traduce in un numero maggiore di giorni di assenza cumulativi, con ripercussioni dirette sia sulle performance delle squadre che sul valore economico dei giocatori. Secondo il rapporto, un calciatore di un top club perde in media il 15-20% della stagione a causa di stop forzati.



«I dati evidenziano chiaramente che la tipologia degli infortuni è legata al sovraccarico di gare. Tra i più comuni riscontriamo lesioni muscolari, distorsioni articolari e problemi cronici dovuti a tempi di recupero inadeguati», spiega Calcagno. «Siamo legati a doppio filo al prodotto televisivo: se massimizziamo i ricavi nel breve periodo vendendo un prodotto scadente, nel medio-lungo termine il prezzo di vendita calerà. Inoltre, c’è un oggettivo eccesso di offerta che rischia di generare danni irreparabili».

Calcagno attribuisce gran parte della responsabilità all’espansione dei calendari sportivi proposta da FIFA e UEFA. La creazione di nuovi tornei o l’estensione di quelli esistenti aumenta la pressione non solo sugli atleti, ma anche sui tifosi, travolti da un’offerta di gare sempre più vasta e frammentata. «I cicli di recupero sono sempre più brevi. Questo non solo incrementa il rischio di infortuni, ma incide sulla qualità delle prestazioni e, di conseguenza, sulla sostenibilità economica dei club», prosegue il presidente dell’AIC.

Un simile scenario genera una spirale pericolosa: giocatori più esposti agli infortuni significa squadre meno competitive e un prodotto televisivo di qualità inferiore. La questione non riguarda solo i club di vertice, ma coinvolge anche le leghe minori, aggravando ulteriormente le disparità economiche. «Il calcio è un sistema che non può prescindere dalla solidarietà. Se non si redistribuiscono equamente le risorse, rischiamo di compromettere la sostenibilità di tutto il movimento, dalla Serie A alle categorie inferiori». Dopo queste premesse, potremmo dire ‘introduttive’, siamo passati all’intervista vera e propria.



Presidente, con l’aumento delle partite crescono anche gli infortuni: è stata fatta una stima secondo la quale, con i nuovi format di FIFA e UEFA e l’incremento di circa 11 partite a stagione, si arriverebbe a una media di 107 giorni di assenza per calciatore di un top club. Come commenta questi dati?

«Questi dati sono la punta di un iceberg, di ragionamenti partiti ancor prima della pandemia, basti pensare che il primo rapporto, fatto insieme a FIFPRO, è datato 2017. Non ci siamo sbagliati perché perché già allora si capiva benissimo che il nostro mondo sportivo sarebbe andato verso la deriva. E i dati attuali confermano le nostre previsioni. Ci ritroviamo in un mondo che, per massimizzare i ricavi nel breve periodo, sta probabilmente distruggendo il prodotto. Tutelare la salute dei top players significa tutelare la parte migliore dello spettacolo.

Tutti quanti amiamo le nostre squadre, abbiamo a tutti i livelli una fede calcistica, ma sappiamo bene che questa fede è legata anche ai calciatori più rappresentativi che siano dell’Avellino o dell’Inter. Tutelare l’integrità dello spettacolo significa anche questo. Sennò si corre il rischio di andare allo stadio e non vedere in campo i nostri beniamini, sempre di più alle prese con gli infortuni. Tutti quanti noi sappiamo bene che in questo mondo serve generare ricchezza, il problema è come farlo: a discapito della saluta dei ragazzi?».

Grafica Assocalciatori

Si sta spremendo troppo il sistema calcio? Quali sono i rischi?

«Ci sono due tipi di pericoli. Quello che vediamo sugli infortuni ma anche quello economico finanziario, perché giocare di più significa aumentare le partite a livello internazionale, in quanto il nostro campionato è da sempre quello. Aumentare le partite a livello internazionale continuerà a levare risorse ai campionati interni e, quindi, se non si redistribuiranno anche meglio queste risorse noi avremo una forbice spaventosa tra due, tre squadre e tutto il resto. Ci sarà concentrazione anche di ricchezza spaventosa in mano a pochi. A me questa tendenza spaventa.

Noi oggi abbiamo in tutti i campionati più importanti europei 7, 8, 10 squadre che hanno fatturati importanti che derivano dai diritti televisivi interni. Abbiamo la serie B e la serie C che vivono di una distribuzione che riguarda i diritti nazionali. Quindi a cascata noi rischiamo di mettere a repentaglio il nostro calcio. Il calcio non può che esser solidaristico, non si può pensare di ricevere più introiti aumentando gli impegni internazionali senza una redistribuzione equa a cascata. Ho paura che per massimizzare ricavi si perderanno questi concetti. Sono molto preoccupato». 

Quali soluzioni potrebbero essere adottate?

«Probabilmente si dovrà aumentare il numero di giocatori in lista. Sarà un punto di caduto obbligato anche se non mi convice a pieno come soluzione. Il problema non è solo legato al numero di partite ma anche ai tempi di recupero. Sono sempre di più le gare back to back, ovvero in meno di cinque giorni. Non si tratta solo di infortuni, ma anche della qualità che si può esprimere. Anche Mbappé ne ha parlato, dichiarando che con questo numero di gare non riesce a rendere come vorrebbe. Ma è fisiologico in un calcio sempre più fisico e atletico. Non ci sono i tempi di recupero adatti. Si va ad incidere sul rendimento del calciatore e di conseguenza anche sul suo valore».

Alla luce di tutto ciò, il diritto alla salute degli atleti diventa essenziale per preservare il valore del prodotto televisivo?

«Non ci sono dubbi. Siamo legati a doppio filo. Se vogliamo massimizzare i ricavi nel breve periodo ma vendiamo un prodotto piu scadente, nel medio-lungo periodo i ricavi saranno inferiori. Poi, oggettivamente, adesso vedo un eccesso di offerta. Mettiamo caso che il prodotto non diminuisse di qualità: un’ampia offerta così vasta, così larga, può portare anche a dei danni a livello economico».



Il CIES, in uno studio del 2024, ha affermato che non esiste un impatto significativo tra l’aumento delle partite e gli infortuni. Cosa ne pensa?

«Non è così. Loro hanno preso dei casi molto particolari, inoltre bisogna anche vedere da chi è stato commissionato. Da lì si capisce già tanto. Non hanno fatto uno studio generale. I nostri, e quelli di FIFPRO, riguardano tutti, non i campioni. Dalle piccole squadri ai grandi club. Loro sono andati ad analizzare casi specifici paragonandoli ad altri. È uno studio che rispetto, ognuno può vedere le cose come meglio crede, ma non è stato certo uno studio con un range molto ampio nel suo campione».

Una soluzione provocatoria: ridurre le partite e, di conseguenza, gli stipendi dei calciatori?

«Ridurre il numero di partite è indispensabile, ma collegare questo taglio a una riduzione degli stipendi è un ragionamento miope. Il problema non sono i compensi dei calciatori, ma la distribuzione delle risorse. Se concentriamo la ricchezza nelle mani di pochi club, il sistema non sarà sostenibile. Ci vuole una redistribuzione più equa, che consenta di mantenere alta la qualità del gioco e di garantire dignità a tutti i professionisti del settore».

Ti potrebbe interessare

Non esiste solo il calcio
Altri Sport
Beniamino Scermani
21 Marzo 2021

Non esiste solo il calcio

Perché l'Italia non considera gli altri sport.
Fuori i mercanti dal tempio
Calcio
Michelangelo Freda
06 Aprile 2020

Fuori i mercanti dal tempio

È ora di finirla con lo strapotere dei procuratori sportivi.
Lotito e la Salernitana, una triste storia all’italiana
Calcio
Michelangelo Freda
13 Luglio 2021

Lotito e la Salernitana, una triste storia all’italiana

La telenovela della multiproprietà.
La Serie B è un enorme conflitto di interessi
Calcio
Michelangelo Freda
06 Giugno 2019

La Serie B è un enorme conflitto di interessi

L'annus horribilis della Serie B tra stravolgimenti, sentenze ad personam e clamorose smentite.
Il triste destino delle Squadre B
Calcio
Michelangelo Freda
29 Luglio 2022

Il triste destino delle Squadre B

Una riforma fallimentare (e rinnegata).