I tifosi degli Hammers sono stanchi dopo anni di illusioni e prese in giro.
I tifosi del West Ham hanno iniziato il 2020 ponendosi la stessa questione dei dieci anni precedenti: che ne sarà degli Irons? Con l’incombenza del nuovo anno, i più decidono di stilare una lista di buoni propositi da attuare nei mesi a venire. Meglio allora non optare per qualcosa di generico o che sia troppo fuori portata, per non dire irraggiungibile: il rischio che fa da contraltare a questo spruzzo di ottimismo, infatti, è quello di fallire miseramente.
Tutto ciò è inevitabilmente amplificato quando si prendono degli impegni nei confronti di altre persone; come nel mondo del calcio, terreno fertile di promesse e proclami, che da sempre assurge a termometro dei sentimenti e delle percezioni della gente. Per informazioni chiedere ai co-proprietari del West Ham, David Gold e David Sullivan, imprenditori del settore delle pellicole e negozi erotici che, in occasione dei dieci anni della loro direzione, hanno dovuto subire l’ennesima contestazione.
Quella dello scorso 18 gennaio però non è stata la classica manifestazione contro la proprietà, tra rabbia, frustrazione e cori velleitari e un po’ fini a se stessi, bensì una protesta dai connotati più sottili e mirati. I supporters degli Hammers, riuniti in massa davanti allo stadio di casa, si sono infatti dedicati a smontare pezzo per pezzo i contenuti di un vecchio documento risalente agli inizi della nuova proprietà. Uno sterminato ed arrogante elenco di obiettivi, un libro dei sogni che fungeva da biglietto da visita assicurando (almeno) la partecipazione del club in Champions League entro sette anni.
I tifosi hanno quindi messo in evidenza gli errori macroscopici della dirigenza, partendo dalla stretta attualità: ad un decennio di distanza, il club è nuovamente invischiato nella lotta per non retrocedere dopo il solito mercato contrassegnato da calciatori strapagati e non all’altezza. Ecco allora che, seguendo il filo claret and blue della protesta e degli eventi, dobbiamo partire dall’analisi di alcuni dei “dieci punti” che avrebbero dovuto rendere grande il West Ham: questo è il necessario incipit per approfondire la situazione di una delle compagini più celebri d’oltremanica.
Scegliere il giusto manager
All’epoca i proprietari volevano selezionare un tecnico di grande spessore che potesse elevare lo status del club. A maggio 2018 quindi, archiviate le parentesi dai risultati altalenanti di Allardyce, Bilic e Moyes, ritennero che il profilo dell’esperto Manuel Pellegrini potesse essere l’ideale. In effetti, l’ingegnere cileno si presentava come l’unico allenatore della storia degli hammers ad aver mai vinto un titolo nazionale, un curriculum di tutto rispetto; peccato che, alla fine, riuscirà a farsi ricordare solamente come quello più pagato, grazie ai ben 7 milioni di sterline annui.
In quasi quindici mesi in panchina, il tanto agognato salto di qualità non è mai avvenuto neanche lontanamente, ma si può dire che mal calcolate fossero le stesse fondamenta: inculcare nella squadra un ipotetico stile da top club, in campo e non solo, che poco si addiceva alla tradizione societaria. I giornali inglesi criticavano Pellegrini anche per la testardaggine nel concentrarsi soprattutto sui suoi dettami tattici – come possono permettersi appunto i grandi club – invece di studiare le caratteristiche dell’avversario di turno.
A fine dicembre, inevitabile, è arrivato l’esonero, vera e propria pietra tombale sui buoni propositi iniziali. Per rimettere in piedi la stagione è stato richiamato David Moyes, ancora a libro paga e ormai divenuto il Nedo Sonetti d’Inghilterra: quest’ultimo, fra un catenaccio e l’altro, sta tentando disperatamente di abbandonare un pericolosissimo terzultimo posto in classifica.
Ingaggiare calciatori affamati e volitivi
Senza dubbio il punto in cui sono stati concentrati i maggiori errori dirigenziali, denotando una profonda mancanza di programmazione a livello sportivo. Ogni anno infatti, puntualmente, la rosa viene smontata e rimontata dando vita ad un continuo via vai di calciatori. Come l’albero maestro di una nave in mezzo alla tempesta, è rimasto il solo capitano Mark Noble, nato e cresciuto con la maglia claret and blue, presente da ormai quasi una quindicina di stagioni ed unico appiglio alla tradizione societaria.
La scelta dei vari giocatori si è attenuta fedelmente sempre allo stesso copione. Come ha dichiarato Sam Allardyce, la priorità assoluta consisteva nel ricercare un numero nove di respiro internazionale per poi passare ad esterni dal dribbling appariscente, lasciando, di conseguenza, scoperte le altre zone del campo. Una strategia che secondo il Guardian è paragonabile al “cercare di cucinare una torta senza le uova”, partorendo una rosa finale dalle evidenti fragilità, con difensori e centrocampisti di contenimento non all’altezza (e al valore) dei giocatori offensivi.
La scorsa estate per esempio il West Ham ha ingaggiato la punta francese Haller, prelevato per 40 milioni dall’Eintracht, e Pablo Fornals, trequartista del Villareal approdato a Londra per 28 milioni; il tutto compensato dalle cessioni dei vari Chicharito, Arnautovic, Obiang e Andy Carroll. Una campagna acquisti schizofrenica e sbilanciata che ha solo creato confusione e minato la stabilità dello spogliatoio. Se è vero infine, come afferma Verga nei Malavoglia, che il pesce puzza dalla testa, scelta assai discutibile è stata affidare le operazioni a Mario Husillos, direttore sportivo alla guida del Malaga mestamente retrocesso, che avrebbe dovuto formare con Pellegrini un sodalizio unito e vincente.
Continuare a risanare il debito
Nel 2010 il club fu messo in vendita perché oberato dai debiti: allora rappresentava una preda talmente ambita dai compratori di tutta Europa che si diede vita ad una sorta di gara d’appalto, vinta al fotofinish da Gold e Sullivan che bruciarono la concorrenza di Cellino (il quale riuscì a comprare un team inglese solo qualche anno più tardi, il Leeds United).
Il risanamento avrebbe dovuto per forza di cose occupare un posto rilevante nell’agenda dei vertici societari, ma dando un’occhiata all’ultimo bilancio emerge una situazione alquanto delicata anche sotto questo punto di vista: alla voce risultato netto compare infatti una sostanziosa perdita che si aggira intorno ai 30 milioni.
Le ragioni sono da rivedere nei mercati folli portati avanti nel corso degli anni che, oltre ai cartellini dai prezzi monstre, hanno portato in dote stipendi pesantissimi per giocatori inefficaci. Pescando a caso dal cilindro delle nefandezze si possono citare i 240 milioni spesi – di cui ben 150 nelle ultime due estati – per portare avanti l’ambizioso progetto Pellegrini, o le 100.000 sterline a settimana per Jack Wilshere, che in in diciotto mesi ha collezionato la miseria di 14 presenze.
Da tutto ciò emerge una dirigenza ormai arroccata in un castello di silenzi ed azioni incomprensibili, che sta perdendo inesorabilmente il contatto con la realtà e con l’affezione dei propri tifosi, ancora e sempre visceralmente attaccati alla causa.
Come testimonia questo videodel marzo di due anni fa, in un delicato match contro il Burnley, uno scalmanato proveniente dagli spalti ha deciso di invadere il terreno di gioco dell’Olympic Stadium – ex Boleyn Ground/Upton Park – per compiere un gesto clamoroso quanto simbolico.
Nella noncuranza generale si è diretto verso il cerchio di centrocampo piantando lì una bandiera con lo stemma del club. L’idea alla base, nella sua lucida follia, conteneva un messaggio importante rivolto agli inquilini del castello: per il bene del West Ham, riportate la squadra ed i tifosi al centro del progetto.