Calcio
06 Settembre 2025

Spalletti o non Spalletti: era questo il problema?

Due tesi, due modi di pensare la recente crisi degli azzurri.

All’interno della nostra redazione si è scatenato un dibattito: quante colpe ha avuto Spalletti, ossessionato dalla tattica e dimentico dell’aspetto psicologico, nella crisi che ha coinvolto gli azzurri negli ultimi mesi prima dell’esonero (ci riferiamo soprattutto all’Europeo) e quante sono invece le colpe di calciatori perlopiù viziati e lontani dall’amore che dovrebbe caratterizzare il vestire la maglia tricolore? L’articolo che state per leggere prende atto di queste due tesi, ospitandole entrambe. Buona lettura.


Spalletti come Bielsa: ecco perché Gattuso farà bene


di Gianluca Palamidessi

Non è vero che il mondo si divide tra teorici e pratici. Ognuno di noi, a seconda dei momenti, dei successi come – soprattutto – degli insuccessi, è stato prima teorico, poi pratico, poi un po’ teorico, infine leggermente più pratico. Abbiamo parlato di «momenti», ma forse sarebbe più giusto parlare di «contesti». La lingua che parliamo offre diversi esempi in merito, contro qualsiasi pretesa d’assolutismo ontologico. Pesca, in base all’accento posto sulla «e», vuol dire due cose completamente diverse. Addirittura la stessa parola con lo stesso accento sulla «e» significa una cosa in Liguria e un’altra a Roma. Avete capito.

Il punto, traducendo il discorso sul piano calcistico in generale e della Nazionale in particolare, vale anche per Gattuso e Spalletti. In linea di massima, Spalletti è un allenatore straordinariamente bravo e preparato, molto più di Ringhio – nomignolo il cui significato, da giocatore ad allenatore, è rimasto invariato. Spalletti è intelligente, è scaltro, sa come far giocar bene le sue squadre, la sua carriera dimostra che sa anche come portarle al successo. Ma era l’allenatore adatto per la Nazionale di calcio? quindi per una squadra che nella migliore delle ipotesi si ritrova con lo stesso (oddio, quasi sempre lo stesso) gruppo di calciatori una volta ogni tre mesi di media?

Siamo sicuri che, in un contesto di questo tipo, dove conta più il cuore che il pensiero, Spalletti fosse l’allenatore giusto?

Sul Corriere della Sera, Fabrizio Roncone aveva sollevato dei dubbi in merito. Dubbi che ci sentiamo di sottoscrivere: «qualche giocatore ha riferito [a Gattuso] che Spalletti li rimbambiva. Te tu ti vai a mettere lì, così poi ci si ritrova tutti insieme laggiù. Calcio relazionale. Lo chiamava così. E, dopo averglielo spiegato, continuava pure a parlargli addosso nello spogliatoio, nella hall dell’albergo, a cena. Poverini: una pressione psicologica insopportabile, debilitante, al punto da essere poi presi a pallate, quasi, da chiunque. Rino ha capito di dover cambiare approccio. Nei quattro giorni di ritiro, a Coverciano, li ha accarezzati con sorrisi complici e premurosi e, sul prato, s’è solo sentito qualche urlaccio. Forza! Vallo a prendere alto! Devi chiudere prima!».

Questa storia ricorda profondamente quella di Marcelo Bielsa ai tempi dell’Albiceleste, nel 2006, quando rimase nella memoria collettiva del pueblo argentino – già molto sanguigno di suo – come il peggior allenatore nella storia della Nazionale di calcio. I motivi della crisi prima, e della rottura poi, con gran parte dello spogliatoio? Gli stessi che, a quanto pare, avrebbero tolto l’aria ai nostri azzurri – certo, pure non esenti da colpe. Lo stesso Bielsa, d’altra parte, lo aveva ammesso candidamente: «Quando ci si impegna in maniera spropositata, come ho fatto io al Newell’s, si raccolgono più delusioni che soddisfazioni». E in un articolo uscito su These Football Times che ripercorreva la sua carriera in Messico, all’Atlas, tornano le fisime di cui sopra: «era diventato stressato e ansioso, apparentemente esausto a causa del suo stesso modo di allenare, mentre la sua squadra mostrava i sintomi del burnout, un disagio tipico delle squadre di Bielsa durante tutta la sua carriera».

Anche se poi alla fine sono i risultati a sancire un verdetto insindacabile, e a Spalletti è andata male per tanti altri motivi, non c’è dubbio sul fatto che il suo approccio, ossessivo-compulsivo, abbia prodotto l’effetto opposto rispetto a quello sperato. Un po’ come chi si avvicina troppo ad un quadro per osservarne i dettagli si perde l’insieme dell’opera, allo stesso modo Spalletti ha provato a sopperire alle lacune caratteriali della sua squadra – oggettivamente un branco di smidollati, per essere gentili e comprensivi – con uno sforzo tecnico-tattico non solo non adatto al contesto giocatori ma soprattutto al contesto della Nazionale in quanto tale.

Ecco perché, paradossalmente, Gattuso potrebbe fare meglio di Spalletti. Viene in mente quella frase di Buffon, com’era? «A calcio vince non chi è più forte ma chi è più bravo», una cosa del genere. Ecco, anche in panchina, soprattutto in un contesto così armistiziale come il nostro, tra una federazione lacunosa e assente e calciatori che sembrano tenere più a se stessi che al tricolore che portano sul petto, un generale come Gattuso può essere più bravo del forte Spalletti nel riportare quella “fiducia, [quel]la voglia di far bene e di rappresentare al meglio il nostro paese” (cit. Barella) che ultimamente si era smarrita dietro fumosi e asfissianti discorsi tattici. Il calcio rimane un gioco semplice. In Nazionale forse è semplicissimo.


La fatica dell’agonismo e l’agonia della fatica


di Mattia Zaccaro Garau

L’idea che a debilitare, cioè a rendere debole, un calciatore possa essere qualcuno che, da commissario tecnico della Nazionale, gli parla (va bene, magari troppo spesso, ma di calcio) – non è solo ridicola ma anche insultante. E non parlo di insulto in modo qualunquistico, non mi rifaccio alla trita questione che i calciatori, in quanto classe privilegiata, non debbano soffrire i dolori e le difficoltà che l’esistenza riserva a ognuno di noi. Non ne faccio una questione ideologica – bensì del tutto reale.

Semplicemente, non posso e non voglio normalizzare la stato di fatto per cui un gruppo di ragazzi tra i venti e trentacinque anni si senta legittimato a protestare perché durante un ritiro della Nazionale di calcio (che può durare una settimanella scarsa durante le qualificazioni, quindi ogni trimestre, o tre/quattro durante le competizioni estive) l’allenatore rompa loro l’anima con discorsi, magari anche ossessivi, sugli aspetti tattici del gioco.

E la questione non è neanche il risultato penoso che poi questo atteggiamento di Spalletti ha prodotto: è sotto gli occhi di tutti che ha fallito e che le responsabilità fossero in buona parte sue. Eppure, il tecnico di Certaldo era così anche quando ha vinto in altri ambienti. Il punto è che, se proprio avevano da ridire sui metodi pedagogici di Spalletti, potevano farlo presente subito al diretto interessato o almeno al presidente federale Gravina. O financo esporsi dopo – ma in prima persona, alzando fiera la faccia di chi non è d’accordo e non ha paura di dirlo. Invece hanno preferito spifferarlo, in una sorta di camera caritatis tardiva e paracula, al nuovo c.t. Questo mi rende questo gruppo azzurro insopportabile, pur tifandolo.

Sì, Spalletti, magari troppo cervellotico, certamente troppo nervoso per il ruolo, teso, vibrante – anche nel suo modo da sfinge, quanto meno era vivo, di carne e ossa. Gli altri, i calciatori? Polvere di social. E almeno l’ex c.t., come chi ama male perché ama soprattutto sé stesso, ha finito per distruggere l’amato – e quindi si è distrutto da solo. E dico ‘almeno’ perché fortunatamente lui, l’Allenatore, è una delle poche rappresentazioni odierne della teodicea: sempre l’unico che paga per le sue colpe e spesso anche per quelle degli altri (e quindi, in questo calcio, mi rimane più simpatico degli altri).

In ultimo, poi, la mia domanda, poi, è questa: ma da che cosa sono stati distolti i giocatori, di così importante, durante i ritiri della nostra nazionale da essere turbati dai discorsi, udite! udite!, sul calcio, di Spalletti? Da TikTok? Da qualche telefonata alla partner o al partner? Da qualche altro giocatina a un qualche poker on-line? Da qualche partita a Call of Duty? Se l’etica non esiste, allora davvero tutto è permesso. Ma ringraziate Iddio (alla Siniša Mihajlović, non alla Cetto La Qualunque) di non dovervi alzare alle 4:30 per iniziare a lavorare alle 6:00! Non confondiamo la fatica dell’agonismo con l’agonia della fatica. Quella sì che può immobilizzare, paralizzare. Quella sì che debilita.


Copertina: Matteo Ciambelli / Insidefoto


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