Una competizione confusa nella teoria e brutta nella pratica.
Dal 2009 non si chiama più Coppa Uefa. La “nuova” Europa League si porta dietro il peso di una storia meravigliosa e irripetibile; una competizione nata per decretare la – seconda – squadra più forte d’Europa, sta morendo (oggi) nel mare magnum della cadetteria calcistica. Quando nel 1971 viene fondata la Coppa Uefa, il pensiero degli organizzatori deve essere stato più o meno questo: abbiamo messo l’una dinnanzi all’altra le migliori squadre d’Europa – è la Coppa dei Campioni – ma forse ci siamo dimenticati di un’altra fetta della torta.
Il primo grande errore fu senz’altro quello di abolire – nel 1999 – la vecchia e cara Coppa delle Coppe. L’eliminazione di quel torneo – l’ultima a vincerlo fu la Lazio di Eriksson – e il cambiamento di nome e formula della Coppa dei Campioni in Champions League rappresentano, unitamente, i due lati di un sandwich pronto a papparsi la vecchia e cara Coppa Uefa. Il nome l’ha cambiato tardi, ma la competizione è già morta da un bel po’.
Il ventennio d’oro, dal 1980 – anno di entrata in vigore del coefficiente per nazioni – al 2000 – anno di fusione con la Coppa delle Coppe –, vede tra le vincitrici una grande Inter, un immenso Napoli – quello di Maradona, niente di meno –, un Parma da sogno e un Real Madrid tritacarne – vincitore delle edizioni ’85 e ’86.
Prima di analizzare nel dettaglio le cifre che – nella loro innegabile freddezza – raccontano una distanza incolmabile tra Champions ed Europa League, è sul fronte estetico che è bene spendere alcune parole. Riguardo al trofeo, la coppa fisica s’intende, non c’è partita. A realizzare la vecchia Coppa Uefa, rimasta invariata dopo il passaggio di nome, è quell’italianissimo Silvio Gazzaniga che ha ideato, tra le altre, anche la favolosa Coppa del Mondo. L’estetica del trofeo è un punto a favore dell’Europa League. Realizzata in argento, alta 67 centimetri, la coppa è formata da una base con due dischi di onice in cui è inserita una fascia con le bandierine dei paesi le cui Federazioni sono membri della UEFA. La parte inferiore della scultura simboleggia degli atleti di calcio stilizzati ed è sormontata da una coppa in lastra sbalzata a mano. Racconta Gazzaniga:
“Un insieme corale di atleti in movimento dinamico fa da supporto alla slanciata coppa esagonale sostenendola con slanciate cuspidi allungate verso l’alto”.
Grazie al cielo esistono i tifosi. Le nostre pagine si sono dimostrate, in passato, tutt’altro che sorde dinnanzi a certe dinamiche extra-calcistiche. Il 2-0 (provvisorio) dell’Europa League sulla coppa dalle grandi orecchie è firmato dal clima delle partite. Il calore che investe le squadre di “seconda fascia” è un fatto difficilmente contestabile. Non è neanche vero che in base alla competizione aumentano o diminuiscono gli spettatori. Un discorso di questo tipo è valido forse ai gironi, ma è da indirizzare più alle squadre di “prima” fascia – sicure del passaggio del turno, tanto per intenderci – che a quelle di “seconda” o “terza” fascia, per le quali anche la partita del girone di Europa League è occasione di visibilità e incassi.
Quest’ultimo punto ci permette di passare alla questione montepremi. La UEFA ha comunicato i dettagli sulla distribuzione dei ricavi ai club che parteciperanno all’Europa League 2019/2020. 510 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti altri 50 milioni di euro circa di contributi aggiuntivi, provenienti dai club che disputano la Champions League. In totale, 560 milioni di euro circa. Come viene distribuito questo gruzzolo?
Alle 32 squadre – 8 gironi da 4 – della Champions, l’Europa League risponde con 48. Alle 24 qualificate se ne aggiungono 8 provenienti dal terzo posto del girone di Champions. Come a dire: se fai schifo in Champions, c’è comunque l’Europa League a saziare il tuo palato – per giunta già dalla fase finale! Anziché mandare a casa chi non è stato abbastanza bravo – o fortunato – da meritare il piazzamento tra le prime sedici d’Europa, la Uefa ha giustamente pensato di premiare i cadetti della Champions col tombolino dell’Europa League.
Chi si qualifica all’Europa League, riceve 2,92 milioni di euro. Diamo ora un’occhiata alla Champions: 30 milioni sono destinati ai 6 club eliminati dalla competizione ai playoff (divisi in 5 milioni ciascuno), mentre 488 milioni è la somma totale che andrà divisa tra tutte le qualificate ai gironi. Tradotto: 15,25 milioni per ogni squadra. Non serve un genio per accorgersi del paradosso: chi viene eliminato dai playoff di Champions riceve poco meno del doppio di chi si qualifica in Europa League.
Chi vince l’Europa League guadagna all’incirca 15 milioni – escluse le entrate dei diritti tv e del botteghino. Chi vince la Champions ne guadagna almeno 80, ma dato l’incasso delle entrate dai diritti tv e dal botteghino la cifra va alzata di almeno altri 10 milioni. Sulla singola partita il contrasto è meno netto: chi vince una partita di Europa League incassa 570.000 euro, 2,7 milioni chi la vince in Champions; chi pareggia in Europa League incassa 190.000 euro, 900.000 – il doppio di chi vince nell’Europa dei deboli – se la “x” accade in una notte di Champions.
Un altro dato, però, impressiona ulteriormente: quello della durata della competizione. Qui, Champions League ed Europa League sono colpevoli allo stesso modo. La semifinale del turno preliminare della Champions League 2019/2020 è stata lo scorso 25 giugno. La finale del turno preliminare il 28 di giugno. Il primo turno di qualificazione si è tenuto tra il 9 e il 10 luglio. Se calcoliamo che la finale di Istanbul sarà il 30 maggio del 2020, la Coppa dalle grandi Tempistiche dura quasi un anno. Stesso discorso per l’Europa League. Il turno preliminare è datato 28 giugno, la finale il 27 maggio.
Vincere l’Europa League è un’impresa. Si gioca di giovedì, talvolta in trasferte proibitive e con una partita di campionato dopo poche ore. La fase finale parte dai sedicesimi, piatto ricco delle migliori della competizione e delle “prime escluse” dalla Champions. Per chi raggiunge la finale, il numero delle partite stagionali si aggira (nel complesso) tra le cinquanta e le sessanta – calcolando magari anche le partite di coppa nazionale. Un’autentica follia. Ma ci si lamenta dei continui infortuni.
Difficilmente contestabile è il fascino delle notti di Champions, assolutamente ineguagliabile anche nelle partite della fase a girone. L’inno, poi, a cui abbiamo dedicato alcune pagine della nostra rivista, realizza di per sé il sorpasso sull’Europa League, “forte” del clima creato dai tifosi e dell’estetica della coppa. Ingeneroso, poi, è il confronto nelle sfide della fase a eliminazione diretta – lo scorso anno la Champions ci ha fatto davvero sognare; l’Europa League è stata tra le peggiori di sempre.
In conclusione: la formula è tutta da rivedere. Indegno l’arrivo ai sedicesimi di Europa League della terza classificata al girone di Champions League. Esagerato l’abbraccio del ranking – ciò che ha favorito l’arrivo di squadre impronunciabili: Qarabag, Krasnodar, Oleksandrija (squadra ucraina), Astana; e ci fermiamo qui per essere cortesi. Sul montepremi, poco da aggiungere – sono solo lo specchio di una competizione povera sotto molti aspetti. Eliminare i sedicesimi; ridurre a 32 le squadre partecipanti, creando più turni preliminari – magari da posticipare a metà luglio. Ridurre il numero delle squadre aumenterebbe la qualità della competizione e il prestigio di vincerla. Tutto questo, come è ovvio, non accadrà mai.
Il grande Jack O’Malley scriveva sul Foglio: «Noi, sconfitti, fumatori impenitenti, con il vizio della chiacchiera lunga attorno al tavolo, l’amore per la birra e le grigliate di carne, noi sporchi, brutti e cattivi non possiamo non amare la bellezza imperfetta e fuori tempo massimo dell’Europa League». Il nostro articolo, riconoscendo la bontà di queste parole, si schiera sul versante opposto, quello della nausea (altro che amore!). Che il dibattito abbia inizio.