Racconto dell'ultimo, e storico, scudetto del Bologna.
“Così, giocano solo gli angeli in paradiso”. Sono le parole di Fulvio Bernardini, uno dei pochi dottori del nostro calcio. Fuffo, al quale è dedicato il centro sportivo di Trigoria, esprime tutta la propria estasi in veste di allenatore del Bologna, panchina sulla quale è riuscito a sedersi grazie al suo consolidato WM elastico, uno schema tattico talmente innovativo da essere poi utilizzato dal Brasile dell’esordiente Pelè.
La godereccia reazione del tecnico romano viene palesata dopo un derby regionale contro il Modena, vinto dai suoi rossoblù per 7-1. Bernardini è stato il primo allenatore del Dopoguerra ad aver fatto uscire lo Scudetto dall’autostrada A4, quella che unisce Torino e Milano. Ha portato il tricolore sulle sponde dell’Arno, in casa viola, e adesso sta facendo percorrere al titolo l’intero Appennino tosco-emiliano, con destinazione Piazza Maggiore. La crescita sportiva felsinea riflette quella generale del Paese, un processo di ampliamento, sociale ed economico, derivante dall’appena conclusosi boom economico.
L’Emilia Romagna sfida in molteplici ambiti il triangolo industriale, e la Torre degli Asinelli non abbassa lo sguardo dinanzi alla Mole Antonelliana. La contesa si inasprisce nel settore automobilistico. Nel 1963, infatti, Ferruccio Lamborghini ha inaugurato lo stabilimento di Sant’Agata Bolognese, mediante cui consoliderà la supremazia meccanica emiliana, già forte di Ferrari e Ducati. Le sfreccianti vetture nate da Borgo Panigale a Maranello, passando per la neonata sede targata Lambo, esaudiscono il desiderio consumistico, sempre più presente nella società italiana e internazionale, quasi stufa della semplicità FIAT.
Il nuovo che avanza, concetto racchiuso nella Bologna dell’epoca. La netta svolta coinvolge la gioventù, prototipo europeo di una beat generation che scombussolerà l’intero pianeta. L’imperversante trasgressione, padrona nelle camerette dei ragazzi bolognesi che rifiutano qualsiasi forma d’inibizione, condividendo pensieri e ideali attraverso manifestazioni, musica e atteggiamenti esattamente opposti al conformismo delle loro famiglie. Il comunismo emiliano, caposaldo politico nazionale, è elogiato persino da Palmiro Togliatti in punto di morte, principalmente per la convivenza in città fra rossi e cattolici.
Controverso binomio, forte al punto da presentare varie amministrazioni orientate verso il centrosinistra, precursori del compromesso storico e della presenza socialista presso la Stanza dei Bottoni, durante i governi Moro. La squadra del presidente Dall’Ara ha una matrice proletaria, innanzitutto nell’approccio arcigno e combattivo alla gara, volutamente contrario al potere milanese, indiscusso dominatore in patria e in Coppa dei Campioni. Eppure, il divario ideologico fra le reginette di San Siro e i bolognesi è smussato da un fine umanista, un personaggio in grado di nobilitare il difensivismo estetista del Bologna attraverso la propria eleganza, è Giacomo Bulgarelli.
Diplomatosi al Liceo Classico San Luigi, Bulgarelli è la figura su cui Bernardini pone il lume del suo pensiero artistico; difficile da cogliere, è apprezzabile soltanto ad occhi attenti. Il centrocampista detta i tempi di una rosa formata da giocatori non eccelsi sulla carta, bensì valorizzati da un clima in cui la qualità del singolo viene esaltata da un inedito clima solidale, unitario nelle componenti di calciatori, club e cittadini. L’organico è perfezionato dai nordici Haller e Nielsen, romantici nella loro malinconica fantasia e fondamentali per controllare l’emotività del gruppo.
Il danese è parte integrante della catena di montaggio realizzativa del Bologna scudettato, la coppia formata da lui e il friulano Pascutti è complementare, un sodalizio che abbraccia tecnica e finalizzazione, doti di rilievo nell’uno e nell’altro. Malgrado una partenza altalenante, in cui la vittoria fatica ad arrivare, lo “squadrone che tremare il mondo fa“ ingrana in autunno, cominciando una striscia positiva che, con l’avvento del ’64, assumerà connotati realistici.
A marzo il Bologna aggancia il Milan in vetta, espugnando il Meazza con i doppi sigilli del tandem offensivo. Il campionato è oramai una lotta di supremazia che divide il Belpaese. Fulvio Bernardini e i suoi uomini sentono il primato in pugno. Proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, i quotidiani riportano che i test antidoping effettuati all’Hotel Jolly, in seguito alla partita col Torino disputatasi un mese prima, hanno accertato che nelle urine di Pavinato, Tumburus, Fogli, Perani e Pascutti vi fossero dosi di anfetamina eccessive. In società regna la versione complottista dei fatti, ragion per cui la dirigenza non tarda ad affidarsi legalmente all’avvocato civilista Mario Cagli per presentare ricorso.
Intellettuale e giornalista vicino a Umberto Eco, Cagli è affiancato dai penalisti Gabellini e Magri, in modo da costituire un competente triumvirato che si rivolgerà il 7 marzo 1964 alla Procura della Repubblica di Bologna, dove ad attenderli ci sarà il magistrato Pellegrino Iannacone. Questi ha disposto il sequestro delle provette incriminate conservate a Coverciano, sede dei Medici Sportivi in mano all’immenso dottor Fino Fini. Il tragitto che porta le boccette dagli esaminatori ha dell’incredibile, a detta di Fini le stesse furono prelevate da un Maggiore dei Carabinieri ma poi lasciate fuori dall’idoneo refrigeratore, così da alterarsi.
Al bar Otello, covo della curva bolognese, le proteste dei tifosi crescono a dismisura, in particolare dopo la decisione della Commissione di penalizzare la compagine di tre punti complessivi. Bernardini è squalificato, una radiolina diventerà sua fedele compagna per comunicare in occasione dei match a lui proibiti. Logicamente, le contendenti approfittano del momento confusionario, in particolare l’Inter del Mago Herrera che sta risalendo la china. La vicenda pare essere orchestrata appositamente per rendere ancor più appetibile un’edizione, già di per se, irripetibile.
Dopo attente contro-analisi, il Bologna è definitivamente assolto, le prove sono state manomesse. Riammesso anche Fulvio Bernardini, il Bologna è di colpo ancora capolista. Quello che ne segue è una dimostrazione verosimile dell’esistenza del dio del calcio. Inter e Bologna terminano la stagione regolare in parità assoluta, dunque sarà lo spareggio a decretare il vincitore finale. Il Presidente della Federazione Pasquale vorrebbe evitare l’evento tramite dubbie proposte, ma l’influenza di Renato Dall’Ara prende il sopravvento, la Capitale ospiterà la partita di domenica 7 giugno.
I due Presidenti sono agli antipodi, il ruspante emiliano si occupa di maglierie, mentre Moratti è un petroliere. I colleghi sono i significativi portavoce delle squadre che rappresentano, avranno modo di incontrarsi nei saloni della FIGC per discutere del premio partita. Mancano quattro giorni alla partita, quando Dall’Ara è vittima di un infarto, muore, ponendo il proprio veto sul finale di questo film che è ancora tutto da scrivere.
E’ un’annata inaspettata, non può finire come normalità vorrebbe. La Milano calvinista si contrappone all’alternativa e riformista Bologna, umana rispetto all’aliena macchina lavorativa del Settentrione. Se l’Inter si prepara alzando la Coppa dei Campioni al Prater, il Bologna è in ritiro a Fregene, in compagnia di un sostenitore d’eccezione, Pier Paolo Pasolini. Il clima, la freschezza e la forza morale consentono al Bologna di colpire gli avversari nel secondo tempo, la punizione di Fogli commuove di gioia i 20.000 al seguito dei petroniani. Lo scatto in velocità di Nielsen che brucia Picchi e Burgnich è evocativo, il momento preciso in cui il Bologna si laurea campione d’Italia.
Il successo bolognese è figlio di modestia e coraggio, amico degli esclusi dai grandi traguardi. Se Bernardini è stato il direttore di tale orchestra, Bulgarelli e Dall’Ara si sono votati alla causa dell’onestà, genuina potenza rispetto alla presunzione milanese. L’intitolazione della curva a Bulgarelli e dello stadio a Renato Dall’Ara torna attuale, è la testimonianza evidente della portata di una conquista impensabile. Prima del Leicester, del Verona di Bagnoli e di Danimarca e Grecia sul tetto d’Europa, a Bologna è stata scritta una favola.