I Mondiali come essenza del calcio.
Stando agli antichi miti norreni l’utilizzo sapiente della magia è ciò che prima di ogni altra cosa distingue il dio dagli uomini. Eppure questi ultimi, quando provano ad entrare in contatto con quelli, si servono di speciali “bacchette magiche” con su incise le rune – scavate nel legno unicamente da alcuni speciali sacerdoti (Tacito, Germani). Il passaggio dal politeismo al monoteismo ha eliminato la componente magica dal rito religioso, così come la scienza si è posta come obiettivo fondamentale rendere il mondo un posto «disincantato» (Weber).
Eppure Hölderlin lo aveva annunciato, il ritorno degli dèi: proprio al crepuscolo degli uomini, risorgeranno come la fenice dalle ceneri i “divini”. E con loro gli stregoni. Quello che abbiamo visto ieri sera – e già dalle 16 alle 18.45 italiane – in Argentina vs Olanda è stato rivelativo. Come un fulmine scagliato da Zeus, come l’antica profezia di un veggente realizzatasi sotto gli occhi di un re decrepito. È tornato il calcio degli stregoni e delle stregonerie, tanto imprevedibili ed esaltanti da lasciarci in silenzio – ma non da lasciare in silenzio Adani, a quanto pare; anche ieri protagonista indesiderato di uno spettacolo indimenticabile.
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Cosa volete che ne possa dire un grafico sugli xGoal della partita di ieri? Come potrà parlarvi l’esperto di tattica e il video-nerd-maker del movimento tra le linee di Gakpo? Per quanto ancora saremo costretti all’analisi, quando il passaggio di Lionel Messi per Molina provoca neuronali paralisi? Dove ha visto, quello con la 10, il filtrante per il compagno di squadra, dopo quella finta ad Akè e quell’accenno di pressing di Van Dijk? Molina poi fa un gran gol, niente affatto scontato: ma si badi bene alla sua esultanza! Cerca Messi come Tommaso d’Aquino cercava un senso alla mole di libri da lui scritta in tutta un’esistenza, dichiarando infine in preda ad una crisi mistica:
«è tutta paglia».
Di fronte all’intuito di van Gaal, vero stregone del gioco, carismatico a sufficienza da togliere Depay nel momento clou della partita e mettere dentro due molossi sopra il metro e novanta come De Jong e Weghorst, c’è solo da cadere in terra o affermare, con voce rotta dal pianto interiore del mai-visto-prima: «questo è un genio». 1-2, all’80’. Poi punizione al limite, al 100’ di gioco – vale a dire, l’ultima azione della partita. Il calcio è lo sport più bello del mondo, perché è un gioco senza senso (non ha mai una direzione prestabilita).
Weghorst segna una doppietta da subentrato, cosa nella quale mai nessuno era riuscito prima: esulta al gol del 2-2 come un bimbo spaventato dai battiti del proprio cuore. Lo avete visto Weghorst? Non era di questo mondo, non almeno in quei minuti concessigli da van Gaal nell’ultimo quarto d’ora. Aveva gli occhi iniettati di sangue, lo sguardo sempre alto e fiero: e anche quell’incoscienza che dopo il gol dell’1-2 lo ha portato a dare un colpettino all’unico dio presente in campo. Una cosa è la stregoneria, un’altra è la religione.
A volte però i due domini si toccano: così Emiliano “Dibu” Martinez, con lo sguardo di un pazzo e le braccia di un supereroe, ha nuovamente inciso il proprio nome sul tronco della storia albiceleste parando i primi due rigori ai giocatori forse più forti in quel momento dagli undici metri – Berghuis e Van Dijk. Il destino, in un mondo governato da maghi, stregoni, elfi e nani, non può entrare nelle vicende degli uomini: c’è però il fato, questo sì, che è al di là del bene e del male, di Messi o Ronaldo che sia. Nel presentare la partita, Mario Kempes a La Vanguardia aveva detto che «Messi non ha bisogno di una corona per essere re. È come Cruyff». Se siamo qui a parlarne, però, dopo tutto ciò che Messi ha vinto e fatto nella sua carriera, un motivo ci sarà. L’elezione viene dal cielo, ma è sancita sulla terra. Il calcio degli stregoni è proprio questa roba qua.