Questa la versione che passa a reti unificate, e invoca addirittura il protocollo razzismo.
Sul prato della Rhein Neckar Arena si stava per concludere la passeggiata del Bayern Monaco, in vantaggio per 6-0 sui padroni di casa dell’Hoffenheim, quando uno striscione alzato nel settore ospiti ha turbato il sabato pomeriggio degli sportivi tedeschi. A poco più di un quarto d’ora dal 90°, il presidente dei locali Dietmar Hopp è stato apostrofato come “hurensohn” nel messaggio esposto dai tifosi bavaresi, e si è immediatamente scatenato un putiferio.
Rifacendosi al protocollo antirazzismo, l’arbitro ha prima sospeso la gara momentaneamente, poi, visto che il messaggio è stato esposto di nuovo, ha portato le squadre negli spogliatoi. Una volta tornate in campo, le due formazioni hanno inscenato un “torello” fino al termine dell’incontro. Ovviamente l’apparato mediatico si è scatenato ed un coro di voci indignate si è levato dagli addetti ai lavoratori, tant’è che Karl-Heinz Rumenigge ha invocato «pene esemplari per i soliti idioti che non dovrebbero nemmeno entrare in un stadio» (parafrasi della tradizionale formula di condanna dei tifosi, valida a qualsiasi latitudine).
“Mi vergogno profondamente di questo caos. Posso solo dire che è giunto il momento in cui tutti gli organi del calcio tedesco agiscano insieme contro questo genere di cose. Questa è la faccia brutta del calcio. E mi vergogno profondamente per Hopp, un grande uomo d’onore” (Karl-Heinz Rummenigge)
Ad aver reso ancora più amaro il sangue dell’a.d. bavarese potrebbe essere stata la consapevolezza di dover condividere il pacchetto azionario della società con alcuni di questi miseri individui. Infatti il Bayern Monaco, così come tutti i club delle prime due serie tedesche, ha una proprietà suddivisa tra gli investitori privati esterni e la componente azionaria interna al club ed ai suoi soci: la quota riservata a questi ultimi non può essere inferiore al “50% + 1” dell’intera capitalizzazione, allo scopo di mantenere il controllo nelle mani dei tifosi e fare in modo che gli investitori privati non possano detenere la maggioranza.
Nel panorama tedesco, le uniche eccezioni sono concesse agli investitori che sostengono un club da più di venti anni. In questo senso sono significativi gli storici legami tra Wolfsburg e Volkswagen, così come tra Bayer Leverkusen e Bayer AG: parliamo qui di realtà industriali che si sono sviluppate in simbiosi con il tessuto sociale e produttivo, con il “territorio” per essere più chiari. Grazie a questa deroga, tuttavia, dal 2015 anche Dietmar Hopp ha potuto egemonizzare il pacchetto azionario dell’Hoffenheim, accrescendo la propria quota di azioni fino all’attuale 96%. Da allora è stato annoverato tra i principali nemici delle tifoserie tedesche, tanto quanto le lattine marchiate RB.
Cofondatore del colosso SAP, produttore del software gestionale, dal 1989 è entrato nella proprietà della squadra di Shinsheim, portandola dalle leghe regionali fino alla qualificazione all’ultima Champions League. Per questo è oggi per molti tifosi una delle più serie minacce al modello di gestione dei club basato sulla “50 + 1 Regen”: negli ultimi venti anni questa visione strategica ha permesso infatti di sviluppare la competitività economica e sportiva del movimento tedesco, allo stesso tempo tutelando la fondamentale figura del tifoso.
Non stupisce allora che Hopp sia per diverse tifoserie la personificazione del malcelato desiderio di alleggerire tale vincolo, promuovendo de facto un’ulteriore spinta alla privatizzazione nella proprietà dei club. Un rischio concreto che stravolgerebbe il modello tedesco, meritevole di tutelare quei tifosi che sempre più sono visti come fruitori di uno spettacolo, inadatti ad avere voce in capitolo sulla gestione dei club, ma che rappresentano invece il cuore del calcio.
Come hanno spiegato nei rispettivi comunicati Schickeria e Red Fanatic, tra i principali gruppi della Sudkurve dell’Allianz Arena, la protesta ha voluto smascherare l’atteggiamento ipocrita della federazione tedesca, presso cui Hopp ha un ascendente sempre più forte; la stessa posizione è stata assunta dai tifosi dell’Union Berlin, che li hanno imitati ottenendo i medesimi effetti nella partita casalinga contro il Wolfsburg, e da quelli del Colonia.
L’antefatto di queste ultime manifestazioni risale a dicembre, quando i tifosi del Borussia Dortmund avevano contestato il presidente dell’Hoffenheim ed erano stati puniti con il divieto di accesso, per i successivi tre incontri, all’arena situata al primo civico di Dietmar Hopp Strasse (esclusi curiosi casi di omonimia, ogni commento di carattere toponomastico appare superfluo).
Provocatoriamente i bavaresi avrebbero dato del figlio di buona donna a Hopp proprio per dimostrare la sproporzione delle reazioni della DFB e dell’opinione pubblica rispetto all’effettiva gravità dei fatti: dal canto loro, i sostenitori del Bayern sono convinti che sia ridicolo ricorrere al protocollo razzismo di fronte ad un insulto trasversale e e persino inflazionato negli stadi tedeschi, con buona pace di vergini ed anime candide.
Tant’è che se ogni partita venisse sospesa per ogni “hurensohn”, il campionato sarebbe impossibile da giocare. In questo contesto, la federazione tedesca sarebbe particolarmente prodiga nel difendere con il pugno di ferro la reputazione di uno dei suoi massimi foraggiatori, ma allo stesso tempo si dimostrerebbe superficiale nel trattare casi più gravi e spinosi: come poter mettere sullo stesso piani gli insulti razzistirivolti di recente a Torunarigha, giocatore di colore dell’Hertha Berlino, e un (seppur pesante) insulto personale a un imprenditore?
Insomma uno dei tanti esempi di pesi differenti ma stesse misure, che rischiano di sottovalutare una questione molto più seria come quella della discriminazione. Di nuovo l’impegno contro il razzismo sembra essere strumentalizzato, usato come pretesto per un altrettanto pericoloso divieto di espressione; soprattutto, ci verrebbe da dire, quando nel “mirino” finiscono certi personaggi.
Facciamo un viaggio alla scoperta dello spirito che ha animato le origini del nostro calcio, al riparo dalla compostezza e dal conformismo dell’attuale Serie A.
Quando storia e calcio si mescolano e danno vita ad uno spettacolo memorabile. Mondiali di Spagna ’82: Francia e Germania si contendono un posto in finale, ma in palio c’è qualcosa di più importante. Dai campi di battaglia a quelli da calcio, analisi di un intreccio storico-calcistico tra due nazioni.
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