L'Union Berlino ci ricorda perché abbiamo iniziato ad amare il calcio.
Quando, al minuto settantacinque di 1. FC Union Berlin – Borussia Dortmund, terza gara della Bundesliga stagione 19/20, l’attaccante svedese Sebastian Andersson ha insaccato la palla alle spalle di Roman Bürki, dando ai berlinesi la certezza dei loro primi 3 punti nella massima serie tedesca, il mondo calcistico è diventato un luogo leggermente migliore, dal sapore d’altri tempi. Sì perché l’Union Berlino rappresenta (a suo modo) un calcio ormai perduto, o almeno in via di estinzione, che tuttavia è stato capace di mantenere la sua identità e tradizione nella modernità del calcio contemporaneo.
Lontano da una concezione di football come business che ormai, sempre e comunque, ha la meglio sul gioco e sul tifoso.
Storia particolare quella dell’Union Berlino, che affonda le sue radici in quel XX secolo che per la Germania ha rappresentato un ottovolante di distruzioni, rinascite, follie e divisioni. Il club nasce ufficialmente nel 1906 col nome di SC Olympia 06 Oberschönweide (l’influsso del neoclassicismo berlinese allora in auge è evidente) come squadra del quartiere di Köpenick, nella zona sud-est della città. Fino all’inizio del secondo conflitto mondiale, l’SC Olympia si impose più volte nel campionato locale berlinese, accedendo quindi alle finali nazionali.
Il massimo risultato fu raggiunto nel 1923, quando la squadra si piazzò al secondo posto nazionale dovendo però cedere l’onore delle armi all’Amburgo nella finale persa per 3 a 0. Tutto cambiò nel 1945: gli Alleati vincitori sciolsero tutte le associazioni tedesche, ivi comprese quelle sportive. La squadra fu quindi rifondata con nuovo statuto nello stesso anno, ma durò appena 5 anni. Nel 1950, infatti, iniziò la suddivisione di Berlino in due metà, che sarebbe culminata nel 1961 con la costruzione del Muro: una parte della squadra riuscì a stabilirsi a Berlino Ovest, mentre l’altra rimase a Est. Fu proprio da questa metà orientale che nacque l’1. FC Union Berlin, denominazione assunta ufficialmente dal club nel 1966.
Gli anni della DDR furono ricchi di popolarità, ma avari di successi. La compagine dell’Union dovette infatti confrontarsi contro le ben più attrezzate Dynamo Berlin, Hansa Rostock, Lokomotiv Lipsia e Carl Zeiss Jena. Fu contro quest’ultima squadra che i giallorossi berlinesi conquistarono il loro unico trofeo, la FDGB Pokal, nel 1968. La riunificazione tedesca del 1990 colse l’Union in un momento di grave difficoltà economica: per due anni, nel 1993 e nel 1994, la neonata DFB negò ai berlinesi la promozione in 2 Bundesliga, conquistata sul campo, a causa di inadempienze finanziarie.
Rischiato il fallimento definitivo nel 1997,l’Union entrò nel nuovo millennio con una prestazione sorprendente nel 2001 quando, oltre alla tanto agognata promozione in 2 Liga, conquistò anche una insperata finale di coppa di Germania (persa 2 a 0 con lo Schalke 04) che le valse, per l’anno successivo, la gloria della partecipazione alla Coppa Uefa. Il saliscendi tra 2 e 3 Bundesliga ha avuto il definitivo epilogo la scorsa stagione, quando l’Union ha concluso il campionato al terzo posto guadagnandosi lo spareggio promozione con lo Stoccarda:
il 2 a 2 in trasferta e lo 0 a 0 casalingo hanno quindi spedito i berlinesi, per la prima storica volta, nel paradiso della Bundesliga.
Fin qui, la storia è interessante, ma non unica. Di underdogs che ottengono risultati sorprendenti è piena la storia del calcio. Ma l’Union Berlino deve il suo fascino e la sua popolarità a ben più che ai meri risultatiottenuti in campo. L’aspetto più coinvolgente di questa squadra, infatti, sono i suoi tifosi, un esempio di quanto il calcio possa significare nella vita delle persone e di come continui ad essere insostituibile nella sua ormai sempre più rara purezza. Prova lampante di questo attaccamento al club è la vicenda dello stadio di casa, il meraviglioso Stadion An der Alten Försterei.
Costruito nel 1920, lo stadio (il cui nome può essere tradotto come “Stadio nei pressi dell’Antica Casa del Guardiaboschi”) deve il suo appellativo al vicino bosco, che tuttora si attraversa per raggiungere lo stadio, con annessa casa del guardiaboschi, oggi sede societaria dell’Union Berlin in magnifico stile rurale tedesco antico. Un primo ampliamento tra gli anni ’70 e ’80 conferì all’Alten Försterei due tribune centrali e una capienza complessiva di oltre 22.000 posti, ma la struttura iniziò a risultare obsolescente già a partire dagli anni ’90, ottenendo l’agibilità solo grazie al prolungamento annuale di permessi temporanei.
Questi prolungamenti terminarono nel 2006, l’anno dei mondiali tedeschi: l’ondata di ammodernamento degli stadi in vista del circo FIFA non poteva più ammettere simili deroghe di sapore vintage. Due soluzioni si presentarono quindi all’Union: trasloco o ammodernamento. I tifosi e la società optarono per la soluzione minoritaria: ammodernamento. A differenza di tutti gli alti club, che abbandonarono le loro storiche e gloriose strutture (uno su tutti il Bayern ed il suo Olympiastadion) i giallorossi decisero di non rinunciare alla loro casa, che li aveva ospitati per quasi 50 anni e in due Stati diversi (DDR e Bundesrepublik).
Già, ma l’Union non era un top club di Bundesliga: né le casse traboccavano di introiti dagli sponsor né la DFB o il comune di Berlino avevano intenzione di salvaguardare un impianto che non avrebbe ospitato nemmeno un allenamento del Mondiale 2006. E allora, i lavori se li sarebbero fatti da soli: oltre 2000 tifosi si offrirono come volontari e affrontarono 140.000 ore di lavoro per il restauro dello stadio. Grazie a loro, l’Alte Försterei riaprì i battenti l’8 luglio 2009 con un derby d’inaugurazione contro l’Herta.
La società non si dimenticò di questo fondamentale contributo e, nello stesso, anno, vendette 4141 azioni della struttura a soci e tifosi, facendone il primo (e finora unico) caso di stadio tedesco parzialmente proprietà dei tifosi. Più che uno stadio, quindi, una vera e propria casa, e come tale arredata come più piace ai proprietari, con le curve che mantengono i nostalgici posti in piedi tanto rimpianti in Inghilterra e Germania (come dimostra la Curva Sud del Bayern che ancora li reclama in campionato e che si oppone ai seggiolini obbligatori dell’UEFA nelle gare europee, causa dell’immancabile striscione Gegen den Modernen Fussball [contro il calcio moderno]).
È proprio questo concetto distadio come casa che ci traghetta direttamente al presente.
Perché il 18 agosto di quest’anno, alla prima, storica partita casalinga di Bundesliga, la società ha promosso una coreografia del tutto speciale nella sua semplice, travolgente e struggente bellezza. Non c’erano striscioni offensivi, razzisti, né vuote e retoriche proclamazioni di superba appartenenza, di cattiveria o minacciosità della curva. I tifosi hanno invece esposto le fotografie dei loro compagni di tifo scomparsi in anni recenti per rivendicare che essi erano lì, con loro, a vedere per la prima volta l’Union scendere in campo per un match di Bundesliga.
Per ricordare, a se stessi e al mondo, che anche grazie al loro contributo la squadra era lì, sull’erba dell’Alte Försterei, a giocarsi tre punti in massima divisione contro il Lipsia (scherzo del destino, un derby dell’est). Il risultato finale di 0 a 4 non ha sorriso ai padroni di casa, ma poco importava. Si trattava di una festa, più che di una partita. Inoltre, la settimana successiva, sarebbe arrivato il primo punto, in trasferta, e la scorsa giornata la prima vittoria casalinga. Non contro una squadra qualsiasi, ma contro i giganti del Borussia Dortmund, per 3 a 1.
Il pallone di Andersson, quindi, l’hanno spinto in rete non solo i 22.012 spettatori allo stadio, ma un po’ tutti quelli che amano il calcio. Perché per qualcuno sarà anche retorica ma in fondo, del football, ci si innamora per la sua bellezza, per la sua imprevedibilità e per la sua semplice, disarmante purezza. Sentimenti autentici, che rischiamo a volte di lasciare un po’ per strada. Ecco perché dovremmo sostenere almeno idealmente l’Union Berlino: perché quella purezza ancora la possiede e speriamo con il cuore che, pur crescendo, non la smarrisca mai.