Il Mondiale vive di (antichissime) leggi proprie.
È passato un po’ di tempo da quando su queste colonne salutavamo a testa bassa la nuova epoca calcistica delle « Nazionali senza Nazioni ». Da quel giorno però qualcosa è cambiato. Senza semplificare un evento le cui conseguenze saranno realmente visibili tra (almeno) una quindicina d’anni, la pandemia che ha bloccato il mondo sembra aver invertito il corso del tempo.
Come dal chiarore di un’antica alba, lo spirito identitario – meglio, comunitario – è nuovamente sorto nel cuore dei popoli. Banalizzando all’estremo: è tornata la voglia collettiva di partecipare all’evento.
Quindi al concerto, alla partita di calcio dalla curva di uno stadio, al comizio politico. Qatar 2022, questo mondialaccio da tutti odiato e da tutti guardato, ce lo sta gridando. Dalla corsa clownesca di Antonio Rudiger contro il Giappone dei mai-domi Samurai (il termine adatto, dall’Induismo, è karman) all’1-2 dei terribili predoni sauditi contro l’Argentina di Lionel Messi. Alla stessa corsa di Messi contro il Messico di ieri sera, liberatoria e vitale, come quella di chi si è appena salvato senza sapere come: « Messi non ha sorriso. Non c’era niente per cui sorridere. Invece è corso via, le braccia tese, gridando nella notte. Non sembrava felice. Sembrava determinato, intenso, un po’ selvaggio », ha scritto Rory Smith sul New York Times.
José Barroso, su L’Équipe, ha sottolineato l’atmosfera che ha circondato questo gol, rendendolo unico e iconico, come quello di Richarlison contro la Serbia: « [al gol] è seguito un boato fenomenale nello stadio Lusail, dove 80.000 tifosi argentini e messicani hanno creato la migliore atmosfera dall’inizio di questo Mondiale. Il luogo, la sfida, il momento: questo semplice gol è stato più di un gol, ed è bastato vedere la reazione sfrenata degli argentini intorno al loro capitano, per capirlo. Bisognava anche vedere la reazione dell’interessato, lui che di solito è così riservato, quando gridava al pubblico, sull’orlo delle lacrime. »
Il tempo delle Nazionali senza Nazioni può attendere, almeno durante il buco nero di un mondiale talmente strano da invertire l’ordine delle cose. La nazionale qatariota lo ha imparato a sue spese: puoi pure prepararti con otto mesi d’anticipo, ma il mondiale è un’altra cosa. Non funziona come una competizione per club. È richiesto ai calciatori (e agli allenatori) qualcosa in più del “mestiere”. Non l’ha ancora capito il Belgio, per anni (fino al dicembre del 2021) in testa al ranking mondiale FIFA (buffonata inaudita, certo) e da anni vittima delle apparenze.
La “golden generation”, quella degli Hazard, dei De Bruyne, dei Lukaku, anche oggi è caduta dinnanzi ad una Nazionale magari più scarsa, ma molto più unita. Il Marocco innanzitutto e finalmente è una Nazione: fattore determinante in competizioni come questa. Poi, è chiaro, serve anche il talento di Ziyech e la sana follia di Sabiri, entrato in campo due minuti prima di segnare; serve il paperone di Courtois e l’allineamento dei pianeti. Che hanno le loro immutabili leggi: come accade per le Nazionali Nazioni, sempre un passo avanti alla tecnica, al gioco e agli schemi; ai pronostici e alle analisi degli esperti.