Tra Menotti e Bilardo, l'equilibrio di un allenatore vincente.
I due uomini chiave per la conquista del terzo titolo mondiale dell’Argentina portano lo stesso nome di battesimo. Il primo è Lionel Messi ovviamente, che ha finalmente fatto quello che qualsiasi appassionato di calcio sognava: trascinare la propria Nazione alla conquista della Coppa del Mondo, in modo da liberarsi definitivamente da tutte le pressioni che lo circondavano ogni volta che vestiva la maglia albiceleste, dai paragoni con l’altra divinità calcistica del Paese, sino alle sempreverdi accuse di mancanza di leadership. Come affermato dal giornalista spagnolo Sergio V. Jodar in un articolo apparso su Panenka
Messi senza il Mondiale “era diventato un pensiero insopportabile, come quando ti dicono che Babbo Natale sono mamma e papà (…) la Coppa senza Messi aveva il sapore di una birra analcolica”. Un qualcosa di insipido, di incompiuto.
Alla fine ce l’ha fatta, dimostrando ampiamente il suo status a tutti quelli che ancora (pochi, per fortuna) potevano anche solo avere dei piccoli dubbi sulla questione, giocando un torneo degno della sua immane grandezza. Lasciamo che siano i bar sport e i social ad occuparsi del superfluo dibattito su chi sia meglio tra lui e Maradona. Qui parleremo invece dell’altro Lionel, Scaloni, l’uomo che è alla guida della Selecciòn dal 2018 e che ha portato nella bacheca del suo Paese prima la Copa America (dopo 28 anni di attesa) poi la terza Coppa del Mondo, scrivendo con pieno merito il suo nome nella storia di questo sport.
Per una breve biografia su Lionel Scaloni.
Il calciatore
Scaloni condivide con Messi diverse cose oltre al nome, tra cui le lontane origini marchigiane, l’aver iniziato la propria avventura calcistica nelle giovanili del Newell’s Old Boys di Rosario e la lunga carriera nel calcio spagnolo: da giocatore Scaloni fu un difensore di buon livello, che spese gran parte della carriera (otto anni e mezzo) con la maglia del Deportivo la Coruña, di cui fu anche capitano vincendo una storica Liga nella stagione 1999-2000 e disputando le semifinali di Champions League nella stagione 2003-04, dopo aver eliminato agli ottavi e ai quarti le due finaliste della precedente edizione: la Juventus e il Milan campione in carica.
Scaloni concluderà poi la sua carriera nel campionato italiano, con le maglie di Lazio e Atalanta, ma senza troppa fortuna a causa di numerosi problemi fisici che ne mineranno il rendimento, costringendolo ad appendere gli scarpini al chiodo a 36 anni.
Per una breve biografia su Lionel Scaloni.
L’allenatore
Un anno dopo darà ufficialmente inizio alla sua carriera da allenatore, venendo contattato da Jorge Sampaoli che lo volle come vice-allenatore sulla panchina del Siviglia. Dopo una discreta annata sulla panchina della squadra andalusa, Sampaoli viene chiamato a guidare la Nazionale argentina, e Scaloni decide di seguirlo, sempre con l’incarico di vice-tecnico.
Tuttavia la loro esperienza alla guida dell’albiceleste si rivelerà una delle più fallimentari della storia del Paese sudamericano: dalla qualificazione per il Mondiale in Russia ottenuta solo all’ultima giornata, con una vittoria contro l’Ecuador per 3 a 1 (con leggendaria tripletta di Messi) sino all’umiliante sconfitta in amichevole contro la Spagna per 6 a 1. Il Mondiale argentino in terra russa del 2018 è disastroso, ma date le premesse era difficile essere ottimisti: un pareggio contro l’Islanda (1 a 1, con annesso rigore sbagliato da Messi), una sconfitta senza storia per 3 a 0 contro la Croazia futura finalista e una risicata vittoria contro la Nigeria, che basterà per passare il girone, per poi venire sconfitti agli ottavi dalla Francia futura vincitrice per 4 a 3, nel match che rivelò al mondo il talento di Kylian Mbappè (autore di una doppietta e di un rigore procurato).
Sampaoli, che nel corso della manifestazione era stato esautorato da quasi tutto lo spogliatoio, creando una situazione di crisi rivelatasi ingestibile, si dimette immediatamente dall’incarico e, nell’attesa di trovare un ct disponibile ad accettare la panchina albiceleste, questa viene affidata ad interim proprio a Scaloni, giusto il tempo di giocare qualche amichevole in preparazione alla Copa America in Brasile nel 2019.
Ed è così che la sua storia da commissario tecnico ha inizio. Nel frattempo la Selecciòn sotto la sua guida vince sette delle nove amichevoli disputate e la Federazione, non essendo riuscita a trovare un sostituto convincente, decide di confermare Scaloni in panchina, malgrado lo scetticismo dell’opinione pubblica locale.
Scetticismo che si tramuta in pessimismo quando l’Argentina all’esordio in Copa America subisce una brutta sconfitta per 2 a 0 dalla Colombia, per poi racimolare un deludente pareggio per 1 a 1 contro il Paraguay: solo la vittoria nell’ultima partita contro il Qatar (invitato assurdamente per l’occasione nel torneo sudamericano) consente a Messi e compagni di passare il turno, dove però, dopo aver sconfitto il Venezuela ai quarti, vengono estromessi dai padroni di casa brasiliani in semifinale.
I giornalisti in patria rimarcano le loro perplessità, i tifosi si dividono tra ottimisti e pessimisti, mentre i giocatori (soprattutto i senatori) sono tutti schierati dalla parte del loro tecnico, spingendo la Federazione per una conferma. Che puntualmente arriva. Ed è proprio nella Copa America 2021 che si compie il primo capolavoro della carriera di Scaloni, che coincide (e non è un caso) con la prima vera rivelazione con la maglia della Selecciòn da parte di Messi.
Partendo da quest’ultimo, semplicemente non si era mai visto una Pulgacosì convincente e decisiva con la Nazionale, che a 34 anni gioca la miglior competizione internazionale della sua carriera (al di sopra anche del sopravvalutato Mondiale del 2014), che al di là delle singole statistiche (con 4 gol e 5 assist è il miglior realizzatore e rifinitore del torneo) dà finalmente l’impressione di essere davvero diventato trascinatore morale prima ancora che tecnico.
L’albiceleste torna a vincere il trofeo (ma più in generale, un trofeo) dopo quasi 30 anni di attesa (dalla Copa America del 1993) nel migliore dei modi possibili, ovvero battendo gli odiati rivali brasiliani in finale per 1 a 0, con gol decisivo dell’uomo delle finali per eccellenza,Angel di Maria.
I meriti dell’allenatore rischiano di passare in secondo piano rispetto alle performance clamorose del suo omonimo, ma Scaloni è riuscito a fare quello che nessuno dei suoi predecessori da ormai un ventennio a questa parte era mai riuscito anche solo ad ottenere, conquista di un titolo a parte: dare un’identità alla Selecciòn, nel gioco e nella psicologia del gruppo, nello spirito di squadra, di un collettivo mai così unito nella sua storia recente.
Il doppio capolavoro di Scaloni.
Tra Menotti e Bilardo
Questa squadra è il perfetto anello di congiunzione tra il pensiero “menottista” e quello “bilardista”: se il primo prediligeva un calcio orientato allo spettacolo (la famosa ricerca del “bel gioco”) in cui tutte le qualità individuali dei giocatori venivano messe al servizio dell’estetica collettiva, il secondo guardava unicamente al risultato, da raggiungere in qualsiasi modo (il fine giustifica i mezzi), appellandosi unicamente alle qualità tecniche di pochi giocatori per ricercare gli episodi estemporanei che svoltano una partita, difendendo con le unghie e con i tacchetti la vittoria finale.
Lionel Scaloni è la “sintesi hegeliana” di queste due differenti filosofie: il suo è un calcio votato al pragmatismo, in cui si cambia modalità di gioco semplicemente sfruttando tutte le possibili variabili che una partita offre, alternando nello stesso match un pressing aggressivo e un possesso palla veloce ed organizzato. Se le cose vanno per il verso giusto, non è una vergogna (anzi) difendersi nella propria metà campo.
D’altronde questo è stato confermato da Scaloni stesso in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, nella quale afferma che “quando abbiamo la palla e giochiamo in attacco possiamo definirci menottisti, mentre quando non l’abbiamo e ci chiudiamo dietro, siamo bilardisti”. La parola d’ordine è sempre la stessa: equilibrio.
La vittoria della competizione cambia totalmente le carte in tavola, e adesso Scaloni viene esaltato (con pieno merito) da chiunque. Giornalisti e tifosi sono così esaltati da questa squadra che hanno coniato un preciso neologismo per definire la nuova Nazionale: la Scaloneta. Pare che tutto sia nato quando la Copa America era ancora in corso, quando dopo la netta vittoria per 3 a 0 sull’Ecuador ai quarti di finale, la definizione (già utilizzata, seppur in maniera limitata) è spopolata tra i tifosi.
Il tutto poi è sfociato nella nascita di un omonimo movimento culturale (!) attivo su Twitter ed Instagram, che conta più di 200.000 followers sul primo social e ben 500.000 sul secondo (“Sarrismo” spostati). L’origine precisa del termine è da attribuire comunque ad un famoso giornalista locale, Rodolfo “Gringo” Cingolani, che afferma di averlo coniato durante un dibattito sportivo nel programma Tyc Sports, sempre mentre la Copa America era in corso, naturalmente attribuendogli un significato positivo, visto che la Nazionale stava andando gonfie vele.
Lo stesso ct, in un’intervista proprio per Tyc Sports, in cui è intervenuto Cingolani stesso, ha ribadito che il soprannome dato alla sua squadra “mi rende nervoso, ma d’altra parte non ci posso fare nulla. Io comunque non sono nessuno, alleno la Nazionale, cerco di far andare bene le cose, non pensando a cosa potrebbe accadere se le cose andassero male, anche se devo essere preparato anche a questo. La cosa più importante è che ora le persone siano felici di veder giocare la Nazionale”.
Non a caso dopo la sconfitta con l’Arabia Saudita all’esordio mondiale, l’ambiente si è compattato ancor di più intorno a Scaloni e ai suoi. Messi è sceso dal cielo in campo (contro il Messico), Scaloni ha fatto il resto, con scelte anche forti. L’Argentina è arrivata fino in fondo grazie ad un cambio di uomini (l’unica cosa che davvero conta, il fattore umano), mettendo in campo giocatori che sono sì giovani ma soprattutto tanto forti e pronti caratterialmente.
Ci riferiamo ai decisivi cambi a centrocampo e in attacco, nel primo caso con l’inserimento nel cuore del gioco di due giocatori come Enzo Fernandez (classe 2001, esploso con il Benfica) e Alexis Mac Allister (classe 1998, già messosi in luce al Brighton) che sono riusciti a garantire per tutto il torneo quantità e qualità in grande abbondanza, mentre davanti la promozione a titolare di Julian Alvarez (“condannato” ad essere riserva di Haaland nel Manchester City) a scapito di uno spento Lautaro Martinez ha completamente galvanizzato il gioco offensivo della Selecciòn, finalmente capace di concretizzare le numerose occasioni da gol, principalmente procurate dalle invenzioni del numero 10.
Una menzione d’onore la meritano i tre “fedelissimi” di Scaloni, a cui nonostante le (troppo severe) critiche iniziali, il tecnico non ha mai rinunciato, schierandoli ad ogni partita, e venendo alla fine del percorso ben ripagato: si tratta di Emiliano “Dibu” Martinez, Nicolas Otamendi e Rodrigo de Paul. Il “Dibu” aveva già la fama di para-rigori da tempo, quando nella semifinale della scorsa Copa America contro la Colombia (decisa proprio dai tiri dal dischetto) neutralizzò ben tre dei cinque tentativi dei giocatori colombiani.
Nel Mondiale si è ripetuto contro l’Olanda ai quarti (parando i tiri di Van Dijk e Berghuis) e con la Francia in finale (parando il secondo rigore francese di Coman, oltre al miracolo su Kolo Muani all’ultimo minuto del match), lasciando la sua pesante impronta sulla vittoria finale (l’esultanza “fallica” alla premiazione di miglior portiere poi è già un cult…).
Il finale del percorso non poteva che essere questo, quando dopo la nuova partita del secolo contro la Francia, alla fine il vecchio e angelico Messi ha avuto la meglio sul giovane e indiavolato Mbappè. Nella bella storia dell’Argentina, è rimasto (immeritatamente) ai margini l’altro Lionel, Scaloni, un allenatore che, come scritto in un articolo pubblicato su Clarìn da Martin Voogd, “non era nei piani di nessuno, e ha sorpreso il mondo (…) resistendo alle critiche attraverso il lavoro (…) senza esperienza ma armato di buon senso (…) circondato da un gruppo di collaboratori in cui regna la capacità e non il clientelismo, hanno messo insieme una rete di protezione affinché Messi si liberasse da tutti i suoi fantasmi.”
Così il Destino si è compiuto. Per entrambi i Lionel.